La casa delle parole

22 Dic 2006

Questa volta a denunciare la lontananza fra paese reale e politica, fra cittadini elettori ed eletti non è l’esperto di sondaggi, o il politologo o uno di noi, che frequentiamo la società civile. Tante volte lo abbiamo fatto che siamo diventati noiosi a noi stessi. Questa volta il grido di allarme viene dal colle più alto, è stato Giorgio Napolitano a lanciarlo nel suo incontro natalizio con i vertici dello Stato. Converrà rileggere le sue parole: ”Siamo in un momento di preoccupante distacco tra la politica, le istituzioni e i cittadini. Non c’è parte politica che possa, in ultima istanza, trarne vantaggio: può piuttosto riceverne grave danno la prospettiva di una più sicura tenuta e di una compiuta maturità del nostro sistema democratico”.Ora possiamo benissimo decidere che questo discorso pronunciato da un Presidente che non si stanca di predicare il confronto “dignitoso” e il reciproco riconoscimento tra maggioranza e opposizione altro non sia se non l’ennesimo sforzo di richiamare le parti in causa a una dialettica politica meno bellicosa e più produttiva. Oppure possiamo analizzarlo ulteriormente e alla fine chiedersi cosa sia possibile fare per correggere quella lontananza.
Il Presidente ha denunciato il distacco dopo aver constatato che il voto di aprile aveva premiato soltanto di poco uno schieramento sull’altro e aver ribadito quanto sia necessario cambiare il modo di approvazione e il contenuto della legge finanziaria: troppo lungo e contorto il processo legislativo e troppo riempita di questioni non inerenti alla legge stessa.

Una zuppa di ingredienti più o meno compatibili, compreso (ma lui non lo dice esplicitamente) quello assolutamente indigeribile contenente le norme sulla prescrizione dei reati contabili.Il distacco tra cittadini e politica è emerso molto vistosamente nei giorni della discussione e dell’approvazione di questa finanziaria. Ma come noi di LeG diciamo ormai da tanto tempo esso risale almeno al momento della formazione delle liste dei candidati alle elezioni: pessima legge elettorale, della quale hanno pessimamente approfittato un po’ tutti. Non ripeterò dunque l’elenco delle tappe dello scontento. Mi limito questa volta a sottolineare che il problema è ormai vistosamente all’attenzione delle più alte cariche dello Stato, preoccupate della deriva che possa attendere un paese così connotato.Come rimediare? Come avvicinare istituzioni e cittadini? Se ne discute da così tanto…ricette varie si sono susseguite col passare degli anni. Ma oggi, oggi cosa si può fare?Sono d’accordo con Ezio Mauro quando risponde che bisogna far nascere al più presto il Partito democratico. Un soggetto politico nuovo, che raccolga una parte consistente dell’elettorato di centro sinistra, al di là delle radici storiche, delle ideologie che un tempo dividevano, al di là delle spinte alla visibilità che così spesso sono state motivo di litigi e scontri assolutamente incomprensibili e ingiustificati.

Dunque, almeno a questa maggioranza può essere di aiuto il formarsi di una forza unita e democratica, aperta ai cittadini in modo tale da far sentire a casa propria sia chi viene da altre e ormai logore vecchie case sia chi di casa non ne ha mai avuta nemmeno una. Un tetto comune, sotto il quale tornare a parlare, a comunicare e discutere. La casa della parola.Ecco, in questi giorni sta accadendo qualcosa che in un primo tempo avevo ritenuto non opportuno: oggi si dice infatti che il Pd è essenziale allo scopo di evitare la crisi delle istituzioni, oggi si dice che il Partito democratico è una necessità. Dunque, va fatto. Io avevo pensato invece che sarebbe stato bello che nascesse sulla scia di una grande passione, di una spinta ideale, di una tensione positiva. E non soltanto perché altrimenti il centro sinistra rischia di regalare alla destra le prossime elezioni o perché altrimenti il sistema rischia la crisi. Invece ora mi rendo conto che va bene così: deve nascere punto e basta. Deve nascere perché ce ne è assolutamente bisogno. C’è bisogno di questo sforzo della politica di governare il Paese in modo comprensibile, condiviso il più possibile, ma soprattutto trasparente. C’è bisogno che i leader siano legittimati da forme nuove di partecipazione alla loro scelta, forme che li rendano vicini (non solo attraverso una nuova legge elettorale) al territorio e alla gente che li esprime, ai quali essi debbano rendere conto delle azioni e dei progetti. C’è bisogno di fare le ore piccole in sale di periferia a spiegare, a capire, a scontrarsi e convincersi.

C’è bisogno di guardare la politica in faccia e non in Tv. Solo così si può sperare di riavvicinarsi ad essa, alla grande umanità che può esser propria dei servitori del popolo, ma che oggi populisticamente nessuno può riconoscere loro. C’è bisogno che qualcuno torni a dimostrare che la politica è anche sacrificio e non solo spartizione di posti e di potere.E’ un cammino lungo, e non sarà facile convincere dell’onestà di chi dichiara di volerlo affrontare. Ma bisogna percorrerlo, è l’unico che abbiamo davanti. Vorrei riuscire, in questi giorni di festa, a trasmettere un po’ di fiducia e di ottimismo. Se tutti vogliamo che la politica cambi, si rinnovi e diventi una casa di vetro, se siamo veramente tanti a pretenderlo, ci riusciremo. Buon Natale!
P.S.
Io vorrei proprio conoscere i nomi di quei senatori che sono riusciti a inserire nella legge finanziaria le norme sulla prescrizione dei reati contabili che erano state cancellate dopo un iniziale tentativo di inserimento, rifiutato a quanto risulta sia dal governo che dalla maggioranza.Vorrei proprio sapere con quale coraggio alcuni si sono fatti carico di imbrogliare o ingannare il resto del Parlamento e tutti i cittadini italiani. Vi confesso che passerei sicuramente un Natale migliore se non dovessi sospettare di tutti e di nessuno.

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