La politica impazzita

13 Nov 2006

Altro che “rinnovamento della politica”, formula popolare ma abbastanza generica con la quale da anni ormai ci si batte perché qualcosa cambi. Lo scenario di questi giorni suggerisce di passare ad altro, di inventare nuove e più drammatiche definizioni per un progetto futuro.Forse bisogna discutere ormai di come “costruire la politica”, oppure, formula che contribuisce a dare il senso di una emergenza, di come “ricostruire il sistema”. Detto in parole povere: non c’è osservatore dotato di un minimo di autonomia e esperienza che, guardandosi attorno, non pensi che la confusione è davvero troppa e che se si continua così il collasso, un collasso mai sperimentato prima, è inevitabile e dietro l’angolo.Si discute molto, dopo le dichiarazioni di Prodi a Bologna, sul come mai gli italiani si siano tanto disamorati dell’interesse comune da sentirsi del tutto estranei ai concetti di rigore e sacrifici senza i quali è impossibile comprendere il significato e gli obiettivi di questa legge finanziaria. Un disamore che testimonia comunque la lontananza dalla politica anche di chi pochi mesi fa accorreva appena si sentiva chiamato a esprimersi contro Berlusconi. Si discute sul problema della capacità di comunicazione del governo, si accusano i partiti della maggioranza di non volere o sapere più parlare al proprio elettorato.Contribuisce a un giudizio così allarmato il confronto che tutti facciamo con gli avvenimenti statunitensi. Un paese in cui il Presidente e capo dell’esecutivo la cui politica è stata sonoramente bocciata dalle elezioni di midterm non perde il posto e continua a governare fino alla scadenza del mandato ma un presidente che d’ora in poi avrà a che fare con un congresso forte, autonomo, autorevole, e fiero di rappresentare il popolo che lo ha eletto.

A un potere forte (anche se ora indebolito) si contrappone un altro potere forte. E’ la legge dei pesi e contrappesi su cui si basa la democrazia americana e per ristabilire la quale, dopo gli anni del Bush superpotente su un congresso succube, si sono battuti convincendo gli elettori, i democratici della Pelosi e della Clinton. Il panorama italiano suggerisce ben altro: il quadro che abbiamo davanti ci mostra in maniera netta soltanto una accozzaglia di debolezze. Debole è il presidente del Consiglio a causa di una maggioranza risicata uscita dalla legge elettorale porcheria, costretto a governare con il consenso di nove partiti e lui stesso privo di un proprio partito. Ma debole è anche il Parlamento, frammentato all’inverosimile, diviso da ansie personalistiche estreme, percorso da ambizioni e interessi privati, distante, come mai nella storia italiana, dalla base che lo ha eletto ma non scelto. Provate, in una serata qualunque, a chiedere ai vostri amici chi sono i parlamentari della sua regione. Diranno tre o quattro nomi nel migliore dei casi. Nessuno sa chi li rappresenta alla camera e al Senato (e forse questo non è nemmeno sempre un male). Ma un tale scollamento non è mai stato così evidente.Si dirà: i partiti, o quel che resta dei partiti, sono guidati da oligarchie forti. Non è vero: non basta che il potere sia in poche mani a farne un potere forte. Serve qualche altra cosa, e questo per ora non c’è. Debole è la oligarchia diessina, debole quella della Margherita, deboli quelle del centro destra .Se questa è la diagnosi e se la previsione per un paese così dominato da un collage di debolezze non può non essere nerissima, girano nel mondo politico ricette sulle quali val la pena di riflettere a fondo.

Mi pare che le soluzioni proposte si articolino in due filoni principali: il primo che affida a meccanismi tecnici, di ingegneria istituzionale la soluzione dei problemi; il secondo che si affida soprattutto a rimedi essenzialmente politici. C’è ad esempio Walter Veltroni che nella importante intervista a Repubblica propende per una Costituente per scrivere insieme le nuove regole del gioco, avendo identificato nella lentezza del sistema decisionale la causa del male. Chiede Veltroni un premier più forte. Eletto direttamente dai cittadini, col compito anche di vedersela con un Parlamento per sua natura farraginoso e antiquato. Tra le molteplici risposte a questa tesi c’è quella di Giorgio Napolitano che sembra paventare una situazione in cui un Presidente del Consiglio con poteri già forti o fortissimi si contrapponga a un Parlamento indebolito da scelte del governo che lo esautorano. Una situazione cioè in cui a un potere forte se ne contrapponga uno di controllo che però non è in grado di esercitare la sua funzione.Nessuno sembra comunque nutrire dubbi sul fatto che la responsabilità maggiore delle disfunzioni attuali vada fatta risalire alla legge elettorale. Per cambiare la quale però tutti sono d’accordo, non c’è in questo momento una maggioranza parlamentare. “Prima raccogliete le 500.000 firme per il referendum poi il Parlamento sarà costretto a fare una nuova legge” mi diceva l’altro giorno un importante esponente della maggioranza. Facile? Chi è passato attraverso la fatica, la tensione, le difficoltà della raccolta di firme per il referendum costituzionale sa bene che non è una passeggiata.

E in quel caso c’era un ampio arco di forze disposto a impegnarsi in una stessa battaglia. Qua le cosa saranno diverse: per le firme ci saranno tavoli di centro sinistra (non di sinistra) e tavoli di destra. Berlusconi non si sa cosa farà, ma Fini è già d’accordo. E qualcuno sarà tentato di non firmare affatto. Sarà difficile incalzare i cittadini a fare la fila davanti al notaio, e, vi assicuro, 500.000 firme non cascano dal cielo.Alcuni sembrano invece affidare a una operazione tutta politica la possibilità di uscire dal pantano: facciamo il Partito democratico e tutto si risolve. A parte il fatto che il Pd ancora non è nato e i suoi avversari si rafforzano di giorno in giorno, nemmeno questa da sola può essere la soluzione.Ricostruire un sistema richiede un alto livello politico e istituzionale, una ferrea volontà di successo e soprattutto un grande senso di abnegazione. Ma è anche di questo che si sente la assenza, in questo tempo di difficoltà. Richiede, ad esempio, che si provi a sopperire con la buona volontà e l’impegno ai guasti della legge elettorale: perché i parlamentari non si muovo alla “conquista” di quei collegi che non dovettero conquistare al momento del voto? Perché non li invadono con la loro presenza appena sono liberi dagli impegni parlamentari e come si faceva una volta, si mettono ad “ascoltare” tutte le voci che vengono dai cittadini? I dubbi e le incertezze, le richieste di aiuto e di spiegazione, le riflessioni sulla politica e i giudizi sul presente.

Perché non fanno oggi quello che non ebbero bisogno di fare la scorsa primavera?A ricavare un beneficio dalla presenza degli eletti sul territorio sarebbero essi stessi per primi e poi la politica nel suo complesso. Questo si può fare, nessuna legge elettorale per quanto oscena lo impedisce. E se non lo si fa, abbiano almeno il coraggio di dire che quella legge va bene così com’è, che non la cambieranno mai e quanto è più facile e piacevole non dover fare campagna per esser eletti, basta andare d’accordo con il leader e continuare a fare in Parlamento quello che egli ti chiede, costi quel che costi, andrà bene così anche per la prossima volta. Gli italiani saranno impazziti, ma i loro politici non sanno dare, non sanno e non vogliono sacrificarsi nemmeno un poco per vincere la sfida. Egoismo, voglia di visibilità, incapacità e rifiuto di intravedere il bene comune sono il male che affligge con qualche eccezione, la politica italiana, maggioranza e opposizione. Poco ci consola che il popolo, la società nel suo insieme, non sia certo molto diversa. Di debolezza in debolezza, di transizione in transizione non si va da nessuna parte, soprattutto non si imbocca la via verso il futuro.

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