Il premier: “magistrati indegni contro di me”

06 Apr 2006

Redazione

Da Corriere.it Il Video: Berlusconi attacca i giudici e I documenti mostrati dal premier // Pubblichiamo un articolo dall’archivio del settimanale L’espresso, con la ricostruzione del caso Mills. Firmato da Peter Gomez e Leo Sisti, è apparso sul numero del 16 marzo, con il titolo “Fumo di Londra”. Il caso ha fatto scalpore anche in Gran Bretagna. Dopo l’inchiesta italiana, l’avvocato Mills è stato messo alla porta dalla moglie, Tessa Jowell, ministro della Cultura del governo Blair. Ricevuta la richiesta di rinvio a giudizio dai magistrati milanesi, Mills all’inizio di marzo concede un’intervista alla rivista Legal Business e rivela: “Berlusconi non c’entra, ho la prova. Per puro caso ho trovato la prova conclusiva che i soldi vennero da Diego Attanasio”.
Fumo di LondraDal 4 febbraio del 2004 l’Home Office, il ministero dell’Interno inglese, era al corrente del “regalo” da almeno 600 mila dollari ricevuto da David Mills come ricompensa per le testimonianze addomesticate rese in due processi contro Silvio Berlusconi. Ad avvertire il National criminal intelligence service (Ncis), un organismo antiriciclaggio che da quel dicastero dipende, erano stati i commercialisti dello studio londinese Rawlinson & Hunter.

Ma, come “L’espresso” è in grado di rivelare, la notizia non fu comunicata agli investigatori del Serious fraud office (Sfo) che fin dal 2001 stavano portando avanti, al fianco della procura di Milano, un’indagine su Mills e sull’acquisto di diritti televisivi a prezzi gonfiati da parte di Mediaset. Venne invece soltanto girata a uno speciale ufficio dell’Inland revenue, il fisco inglese. Non è chiaro se questa mancata denuncia sia stata una svista o un tentativo di tenere il marito di Tessa Jowell, il potente ministro della Cultura del governo Blair, fuori dai guai. Già sette anni prima, nel 1997, un’analoga informativa era stata fatta arrivare al Ncis dalla Guinness Mahon Private Bank, l’istituto di credito dove Mills aveva i suoi conti. Allora i banchieri di Mills avevano comunicato che l’avvocato inglese di Berlusconi si era ritrovato in mano 5,8 miliardi di lire provenienti da una società off-shore del Biscione. Nel 2004 la storia si ripete. E in una lettera, inviata al Ncis da uno dei soci di Rawlinson addetto alle segnalazioni antiriciclaggio, si fa esplicito riferimento alla vicenda che oggi ha portato Tessa Jowell sull’orlo delle dimissioni. Nel documento si legge: “Mr. Mills è il marito di un attuale ministro del governo ed è conosciuto dal Sfo per la questione italiana”. La blairiana di ferro, come viene soprannominata Tessa, vive un periodo di grande imbarazzo. Soprattutto da quando il 26 febbraio il “Sunday Times” di Londra svela che anche lei è sfiorata dallo scandalo.

Tutto per colpa di un prestito ipotecario acceso anni fa, a firma congiunta dei due coniugi, per l’acquisto di una casa a Kentish Tow, a nord di Londra. Prestito, ecco il veleno dell’affaire, estinto 19 giorni dopo grazie a quei famosi 600 mila dollari di “regalo” proveniente dal gruppo Berlusconi. Un disastro per l’immagine pubblica di Tessa, che avrebbe dovuto essere a conoscenza dell’origine sospetta di quei soldi. E che ricorre a un colpo di scena per recuperare terreno. Sabato 4 marzo annuncia di volersi separare dal marito. Una presa di distanza choc, a effetto immediato. Due giorni dopo è Tony Blair in persona a concedere un sostegno pieno al suo ministro: “Deve andare avanti nel suo lavoro”. Per corroborare una decisione che ha l’aria di un sacrificio in nome della politica, David e Tessa prendono subito fisicamente le distanze l’uno dall’altra: week end da divisi, lui nella casa londinese, lei nella villa di campagna di un amico Lord. Poi Mills corre a Miami a visitare un figlio che risiede in Florida. La stampa britannica si scatena. Ormai da giorni, dall’ultima settimana di febbraio, troupe tv e giornalisti inglesi stazionano davanti al palazzo di Giustizia di Milano o nello studio dell’avvocato italiano che difende Mills, Federico Cecconi. Il quale, per evitare l’assedio, è costretto a incontrare il suo cliente all’estero, in Svizzera, per studiare una linea difensiva. Linea che mira a riparare i danni delle prove, basate su interrogatori di testimoni e su documenti, raccolte dalla Procura.

Perché su come quel “gift” (il regalo) arriva nei suoi conti David Mills ha offerto più versioni nel corso del tempo. La più clamorosa è quella del 18 luglio 2004. Quel giorno viene sentito dai pm De Pasquale e Robledo, che hanno in mano una lettera da lui consegnata cinque mesi prima a Rawilnson & Hunter. È una lettera-confessione che Mills ignorava fosse stata data ai magistrati tramite il Serious fraud office. E nella quale ammette di aver ricevuto alla fine del 1999 da “una persona collegata all’organizzazione B (Berlusconi, ndr)” un pagamento da considerare come “un prestito a lungo termine o un regalo”. È così che fa mettere a verbale: “Carlo Bernasconi (uno stretto collaboratore di Berlusconi, ndr) mi disse che Silvio Berlusconi, a titolo di riconoscenza per il modo in cui io ero riuscito a proteggerlo nel corso delle indagini giudiziarie e dei processi, aveva deciso di destinare a mio favore una somma di denaro”. I famosi 600 mila dollari. Passano quattro mesi e Mills innesta la retromarcia: altra versione. Il 7 novembre si presenta ancora ai magistrati di Milano. Ha in mano una memoria di 12 pagine. E racconta che i soldi avrebbero un punto di partenza diverso. Gli sarebbero stati consegnati da un suo cliente italiano, l’armatore campano Diego Attanasio (che però smentirà). Ora tutto questo balletto ha una data d’inizio ben precisa: il 2 febbraio 2004. Quel giorno, un lunedì pomeriggio, Mills varca la porta di un ufficio londinese di Jermyn Street, a due passi da Piccadilly Circus.

È atteso da uno dei soci di Rawlinson & Hunter. Bob Drennan, interrogato alcuni mesi dopo da De Pasquale e Robledo, preciserà di aver visto un uomo visibilmente “preoccupato”, che “non pensava con lucidità”. Ancora: un uomo angosciato dalle inchieste italiane e, soprattutto, da quella aperta appena 12 giorni prima dal fisco inglese. Mills comunque viene al sodo e presenta all’amico due fogli di carta da lui siglati. È la ormai nota lettera-confessione. Mills vuole sapere come regolarsi con l’ufficio delle tasse. Tre giorni dopo, il 5 febbraio, altro meeting. Stavolta Mills ha di fronte un secondo commercialista di Rawlinson, David Barker. Il quale racconterà ai magistrati: “La mia personale reazione fu un senso di sorpresa, se non di sbigottimento. Non credevo che un avvocato potesse scrivere una missiva del genere. Ne dedussi che lui ignorava i nostri obblighi derivanti dalle norme anti-riciclaggio. Pensai che fosse una lettera molto approssimativa. Per molte ragioni mi sono sorti dei sospetti… Intuivo che c’era un collegamento tra le testimonianze rese da Mills nei precedenti processi e il pagamento ricevuto successivamente. (…) Mi sembrava che il denaro fosse stato dato a Mills con modalità leggermente inusuale: gli era stato fornito sotto forma di quote di un hedge fund (…)”. Anche Mills, del resto, era perfettamente al corrente dei rischi cui andava incontro: “Era turbato perché se i pm italiani fossero venuti a conoscenza del pagamento, avrebbero subito cercato di collegarlo alle sue testimonianze.

(…) Disse che in Italia era ancora in piedi un’imputazione di natura fiscale legata a una società, però ormai prescritta. Aggiunse anche che non se la sentiva di finire ancora sotto processo e che non stava bene di salute… Espresse anche timori per le conseguenze sulla carriera politica della moglie”. Per questo Mills sperava di poter raggiungere un accordo con il fisco inglese che mettesse per sempre a tacere l’imbarazzante storia del “regalo” di Berlusconi. Barker si dichiara così disposto a supervisionare il contenuto di una lettera inviata all’ufficio delle imposte da Sue Mullins, commercialista personale di Mills. E si arriva alla terza versione dei 600 mila dollari. Tracce di questa corrispondenza verranno rinvenute a casa di Mills durante la perquisizione dello scorso gennaio. In una missiva del 4 maggio 2004 la signora Mullins riconosce che il regalo fu dato a Mills da Carlo Bernasconi, evitando però di ricollegare la somma all’atteggiamento tenuto dal legale nel corso dei processi a Berlusconi. E anzi fa passare la presunta mazzetta come una donazione legata a “degli spettacolari guadagni di oltre il 70 per cento” realizzati da Bernasconi grazie ai consigli finanziari di Mills. Ad ogni buon conto la missiva si conclude con un pressante invito: “Il tema di questa lettera, data la vicinanza di Bernasconi a Silvio Berlusconi (per quanto Mills non avesse ragione di credere che quest’ultimo sapesse qualcosa del regalo) è molto delicato essendo esposto a ovvi equivoci e quindi vorrei chiedervi di usare la massima discrezione”.

Una cautela inutile. Perché ormai da più di tre mesi lo studio Rawlinson & Hunter aveva deciso di dire tutta la verità. Lo ricorda Bob Drennan ai pm italiani e ai funzionari dello Sfo: “Insistetti io per stilare il rapporto, semplicemente perché non c’era altra scelta (lo imponeva la legge, ndr). Credo che la settimana successiva il Ncis, ci abbia informato di aver spedito la nostra relazione allo Special Compliance Office (un ufficio del fisco, ndr). Avevo indicato specificatamente al Ncis con le mie parole che si trattava di una questione di alto livello, per via del ministro del governo; che si trattava di una questione fiscale connessa ad un caso penale sul quale lo Sfo aveva indagato per conto degli italiani. Per quale ragione loro non ve lo inviarono, non lo so”. Su tutto questo rimane una domanda. Come mai la denuncia al Ncis è finita (per sbaglio?) in un anonimo ufficetto delle tasse dell’Inland revenue senza nessun seguito? Mistero. Ora però Mills deve guardare al futuro. Per il suo avvocato italiano, Federico Cecconi, la strategia difensiva è volta a contestare la relazione fatta dai revisori della Kpmg di Milano per conto della Procura. Sarà un caso, ma mercoledì 8 marzo, sua moglie (ex?) Tessa Jowell, come ha confermato a “L’espresso” l’ufficio stampa della società, era attesa negli uffici londinesi, a Black Friars, del gigante mondiale dell’auditing per un “evento privato”: un discorso sulla violenza domestica in occasione della giornata mondiale della donna.

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