“The good company”, impresa e Costituzione

13 Ott 2005

Redazione

In che modo i principi fondamentali della nostra Costituzione si rispecchiano nel mondo dell’impresa. E’ stato questo l’interrogativo che ha animato la tavola rotonda modenese di martedì sera. A discutere di Impresa nella Costituzione della Repubblica, nell’auditorium Enzo Ferrari di Maranello, si sono ritrovati teorici e tecnici: il professore di sociologia Luciano Gallino, l’economista Giovanni Solinas e il giudice di Cassazione Gherardo Colombo; l’assessore regionale al lavoro e pari opportunità Mariangela Bastico, il presidente Legacoop Emilia Romagna Egidio Checcoli e l’assessore provinciale Morena Diazzi. Il mondo del lavoro e delle istituzioni a confronto con lo sguardo puntato al futuro, dopo la legge 30, più nota come legge Biagi, la recente riforma del diritto societario e l’approvazione del decreto legge sulla tutela del risparmio.
E’ Sandra Bonsanti che coordina la serata a lanciare la sfida: è possibile fare impresa secondo il dettato costituzionale? Esiste l’impresa buona, the good company, di cui l’Economist ha tentato di tracciare il profilo, qualche settimana fa?“Una cosa è certa – spiega Gherardo Colombo – libertà è un concetto che va tenuto distante da arbitrio, ha valore solo nell’ambito di regole che la definiscono. La libertà d’impresa non può confliggere con l’interesse collettivo e non può limitare i diritti della persona”.

Colombo individua due strade possibili per lo sviluppo, “una passa attraverso la competizione che elimina l’avversario, l’altra attraverso la partecipazione. E la Costituzione – dice – ha scelto il secondo modello di sviluppo”. Ecco perché, provocatoriamente, alza il tono del dibattito: “Se la Carta ripudia la guerra – chiede – la produzione di mine anti-uomo si trova in sintonia con il dettato costituzionale?”. Pubblico attentissimo in sala. Il discorso si muove entro due cardini: la legge, l’etica.
Tocca a Luciano Gallino spiegare la modernità e la lungimiranza della Costituzione anche sulle questioni imprenditoriali. E se nell’articolo 41 legge il tema della responsabilità sociale dell’impresa, nel 46 scorge, per esempio, le indicazioni per i consigli di gestione, “attuate in minima parte e solo in aziende come la Olivetti, fino agli anni ’60, ma del tutto disattese dal decreto legge appena varato in Senato”. Certo, molte cose sono cambiate dagli anni ’50, “prima di tutto – dice ancora Gallino – sono cambiati gli scopi del fare impresa, tutti concentrati nella massimizzazione del valore degli azionisti e non più come una volta nella produzione, nell’aggiornamento tecnologico, nella creazione di lavoro o nella distribuzione delle ricchezze”. Così grandi investitori, giro vorticoso di denaro, debutti in Borsa e scalate azionarie hanno stravolto le regole del mercato e “reso le indicazioni costituzionali pure eresie.

Ora le decisioni si prendono guardando unicamente agli azionisti, i dipendenti non contano. Se si applicasse la Costituzione, bisognerebbe modificare l’impresa contemporanea”.
Lo spettro della cronaca aleggia in sala e i casi Enron, per gli Stati Uniti, ma anche Parmalat e Cirio per l’Italia, si materializzano. “Ricucci e Tangentopoli?”, azzarda Sandra Bonsanti. “La Costituzione è stata disattesa – insiste Gallino – la riforma del diritto societario del 2003 e la legge sulla tutela del risparmio non vanno in direzione della Carta”. Il giudice Colombo, pm ai tempi di Mani Pulite, rincara la dose: “L’amministratore pubblico che non si dimostra imparziale viola il codice penale ma anche la Carta. Gran parte del denaro delle tangenti è servito a comprare finte tessere di partito per garantirsi un consenso di fatto non vero”.
Giovanni Solinas che è professore di economia all’università di Modena e Reggio Emilia sposta l’attenzione sul punto di partenza: “Nei capitalismi di oggi la partecipazione è l’unica condizione di esistenza”. Poi spiega: “Il cuore della questione sta nell’informalità, in un sistema cioè in cui i compiti non siano decisi in modo verticistico e preciso, dove l’informalità deriva da obblighi basati su valori condivisi. Poi conta molto il mondo al di fuori dell’impresa”. Così, sintetizza: “Ci sono le leggi e i contratti che costituiscono il quadro di riferimento e ci sono nelle piccole imprese sistemi noprmativi di livello basso.

Arbitro della contesa, del gioco partecipativo è la polis. E la Costituzione, ancora una volta, ha visto lontano”. Egidio Checcoli della Legacoop ha difeso il ruolo delle cooperative che, “nel solco della Costituzione sono imprese che ridistribuiscono ricchezza sul territorio”. A Mariangela Bastico il compito di illustrare l’esperienza modello della Regione Emilia Romagna che, “sulla base del Titolo V, ha inserito nello statuto un richiamo esplicito alla Costituzione, puntando sulla qualità del lavoro e sulla responsailità sociale dell’impresa”.

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