L’Udc e il deserto

31 Ago 2005

Da un po’ di tempo si sente citare nel piccolo mondo politico italiano una coppia che più strana di così non potrebbe essere: Berlusconi-Prodi o Prodi-Berlusconi. Quasi fossero due compagni di strada indissolubilmente legati. Aggiunge Giuliano Ferrara: “Berlusconi e Prodi vedono, attorno a loro stessi il deserto…”.

Dietro questo slogan, questo spot comunicativo, c’è certamente la tentazione di mettere entrambi i politici sullo stesso piano e se per caso dovesse cadere per rinuncia o altro il primo, anche il secondo tornerebbe a Bologna.

Il punto è però un altro. Il deserto che Berlusconi vede attorno a sé è una cosa, quello che vede Prodi un’altra. Uno il deserto accanto a sé lo ha fatto lui stesso: arido come un Sahara, popolato solo di macerie polverizzate, senza un’oasi a rasserenare l’animo del beduino . Cinque anni di un ciclone chiamato inciviltà, furberie, inganno, mania di grandezza, vanità, scemenze varie.

L’altro, Prodi, il deserto lo osserva e lo studia: come aggredirlo, come trovare la forza di sconfiggerlo, di cominciare a ricostruire il Paese ferito nella sostanza e nell’immagine? Qualche sera fa a cena in una pineta di Castiglione il professore discuteva con entusiasmo della possibilità di aggredire i collegi sicuramente persi chiamando a raccolta con primarie vere la società civile, le persone locali benemerite nel loro campo e si infervorava all’idea di far fuori (dai collegi) i peggiori dell’era berlusconiana.

Milioni in campo per riconquistare il deserto e restituire la fertilità.

Questo e altro si potrà fare, ma colpisce intanto questo auspicio che circola nella destra: se proprio dovremo fare a meno del cavaliere perché il suo fascino è tramontato, allora l’opposizione rinunci a Prodi e si cerchi un altro leader. Rinunci, magari, anche a vincere le elezioni e consenta al centro di fiorire, alla destra di governare con i suoi programmi e le sue idee.

Troppo comodo. Se Berlusconi non sarà candidato premier dipenderà dal fatto che i suoi cinque anni di stabilità sono stati cinque anni di stabile pessimo governo e anche i suoi alleati lo sanno e temono il giudizio degli elettori. Il centro sinistra ormai può farsi male solo con le sue mani, cioè esasperando i contrasti che saranno duri sulla distribuzione dei posti (sapete che la provincia di Firenze è già in crisi virtuale per lo scontro Margherita-Ds?).

Non sarà facile vivere il tempo degli ultimi giorni di Berlusconi nel deserto da lui costruito. Può accadere di tutto. Anche di vivere in un’Italia con due Costituzioni: una quella vera, che tutti amiamo e che è alle basi della nostra storia; l’altra quella dei “saggi” della casa delle Libertà, che potrebbe essere rapidamente approvata in seconda lettura sia da Camera che da Senato in tempo per far contenta la Lega. Non sarebbe promulgata, essendo sottoposta a referendum nell’autunno del 2006. Dunque formalmente non sarebbe in vigore. Ma credete davvero che quella devolution che minaccia l’unità del Paese, che fa strage delle garanzie, del bilanciamento fra i poteri dello Stato non diventerebbe subito un tema di propaganda televisiva berlusconiana? Non pensate che i cittadini italiani farebbero alla fine fatica a riconoscere verità e menzogna, che vivremmo giorni di assoluto caos istituzionale, in una confusione dei poteri che non può non giovare al più forte, cioè al più ricco?

Questa mia preoccupazione è tanto forte che ho apprezzato l’invito rivolto da Rutelli ai leader dell’Udc: fermate la devolution… e la loro risposta: ci rifletteremo.

Da una sosta, da una pausa non può che venire del bene a chi cerca di sconfiggere il deserto. La possibilità, ad esempio, di riprendere dopo le elezioni insieme un a riflessione sui pochi aggiornamenti necessari, risparmiare al Paese l’ingente spesa per il referendum (quanta ricerca potrebbe invece 4esser finanziata?), e, a mio avviso un’ultima importante questione. Da qui infatti, da un “no” motivato a questa riforma solitaria, potrebbe partire la ricostruzione di quel tessuto di idee e valori comuni che hanno tenuto insieme la Repubblica, attraverso le bufere del secolo scorso che non produssero mai deserti ma terre da coltivare. C’è bisogno, sì, di padri costituenti: ma oggi questa espressione mi pare che si addica assai più a chi vuole salvare la nostra carta dai suoi distruttori che non a coloro che hanno la folle ambizione di firmarne un’altra. Cari Follini, Casini, Tabacci: proteggeteci dai mercanti del deserto.

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