Questione morale e primarie

20 Ago 2005

Tempo di primarie, ci lasciamo alle spalle le certezze di cose già sperimentate e ci avventuriamo in una terra abbastanza nuova. Ci saranno sorprese? Io tendo a pensare che gli elettori di centrosinistra andranno in folla a sostenere la candidatura di Romano Prodi. Credo che moltissimi vorranno dare una mano al leader che dovrà mandare a casa Berlusconi e operare affinché l’Italia cominci ad essere innanzitutto un paese “normale”.
La vera scommessa, lo dicono molti osservatori, sarà però la misura della partecipazione. Ho detto moltissimi: ma quanti, davvero? Quanto ha inciso ad esempio sulla voglia di esserci, la voglia di partecipare, la recente polemica fra forze dell’Unione sulla questione morale, intrecci politica-affari, scalate, Opa e via dicendo?
Non tutti diciamolo subito hanno compreso il nocciolo della questione, perché per non offendere nessuno spesso si è alluso e non spiegato, spesso si sono lasciate le frasi a metà, spesso ci si è indignati ma non si è entrati nel cuore del problema. Il quale, per quanto riguarda la questione Unipol, mi pare consista in due domande. La prima tecnica e “legale”, la seconda politica. La prima: è conveniente per Unipol inglobare una banca tanto grossa e importante, ed è legale che ciò avvenga? La risposta di parte Unipol è decisa: conviene e abbiamo le carte in regola. Dice Pierluigi Stefanini presidente della Coop Adriatica, a “L’Espresso”: ” Non vogliamo speculare ma avere una banca che produca ricchezza…vogliamo rendere più plurale il settore bancario e fare in modo che attraverso le cooperative tante persone partecipino all’economia del nostro Paese”.

Conveniente per Unipol e verrebbe fatto di dire per la democrazia. Sul punto della fattibilità, è noto, i pareri sono diversi e Guido Rossi ritiene che è obbligo passare attraverso un cambio di statuto.
Ma ciò che mi interessa veramente è la domanda politica: perché un partito come quello dei Ds deve seguire con tanta passione la scalata di Unipol? Solo per contiguità di sentimenti? Oppure c’è dell’altro e è di questo che dobbiamo discutere, che dovrebbero discutere insieme, senza litigare ma cercando soluzioni, tutte le forze dell’Unione? Prodi ha parlato per primo del tema del costo della politica e io credo che questo sia il vero nocciolo della questione. Di cosa vivono i partiti che conosciamo oggi? Quali fondi hanno a disposizione?
La situazione, a mio avviso, è gravissima. Da una parte c’è il disinteresse molto forte dell’elettore italiano quando si sente chiamato a finanziare, a sostenere, a aiutare una forza politica a lui vicina. Non c’è l’abitudine a dare una mano, a finanziare, a contribuire. Si tratta di educare la gente al fatto che la politica costa e che tutti siamo chiamati a sostenerla. In cambio l’elettore chiede, ovviamente, di poter avere fiducia, di non esser tradito. Ma intanto le buone intenzioni si scontrano, giorno dopo giorno, con la dura realtà: quel che rimane dei grandi partiti e le loro aggregazioni riescono a mantenere in piedi una rete organizzativa e di funzionari soltanto o quasi esclusivamente quando abbondano gli incarichi pubblici.

Soprattutto a livello locale ma non solo, il “potere” pubblico è distribuito in vista di questo unico obiettivo: consentire al partito di sopravvivere economicamente. Dunque, se c’è la necessità o l’opportunità di assumere personale in enti locali ci si rivolge esclusivamente a quel personale che ha anche un ruolo di partito: una folla di funzuinari, consiglieri, consulenti, presidenti di commissioni, assessori a livello comunale, provinciale, regionale che fa anche un doppio lavoro.
Questo vizio c’era anche prima. Ma credo che mai come oggi la competenza sia assolutamente sacrificata a vantaggio della appartenenza. Tanto è vero che questo problema è stato denunciato anche dalla direzione dei Ds, ma limitatamente a ciò che avviene in alcune regioni. Questa bizzarria del sistema politico è tanto più grave in quanto è veramente sotto gli occhi di tutti. Gli scontri fra partiti dell’Unione a livello locale toccano la vita dei singoli cittadini. L’ingiustizia si vede e si tocca con mano. La distribuzione di un potere ritenuto iniquo salta agli occhi di tutti.
Non c’è questione morale, a mio avviso, che non debba ricominciare dalla netta separazione fra pubblico e privato.
Non c’è politica del bene comune che parteggi per gli affari di una parte soltanto. Non c’è consenso che si compri una volta e poi si “mantenga” coi soldi di tutti.
Non c’è rinnovamento della politica se prima i politici non faranno mostra di una disponibilità a lasciare la scena e il potere.
Non c’è fascino della politica se mancherà di credibilità e di autorevolezza.
Berlusconi ha convinto gli italiani che per vincere non basta controllare, influenzare gli strumenti della politica, bisogna “possederli”: giornali, Tv, deputati e senatori, giudici e tribunali.
Il centro sinistra deve mostrare la sua diversità.

Che c’è, è nelle sue stesse radici. Se oscilla, o è poco trasparente rischia di deludere prima ancora che la gara vera sia iniziata.

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