La posta in gioco

29 Mar 2005

Era forse inevitabile che appena il tema della Costituzione fosse diventato il tema della politica, si sarebbe aperta nuovamente la strada delle differenze, delle rivendicazioni, delle strumentalizzazioni. Così che oggi non c’è soltanto la polemica fra maggioranza e opposizione, ma a sinistra comincia a serpeggiare la più pericolosa delle tentazioni: quella di dividersi fra chi è contro senza se e senza ma, fra chi dice no alla costituzione di Berlusconi ma ne vorrebbe una quasi uguale, fra chi non vuol cambiare nulla e chi vuol cambiare qualcosa.
E questo tipo di discussione ne trascina con sé un’altra: la discussione sul mezzo per fare gli eventuali cambiamenti: articolo 138, una nuova costituente, una Bicamerale, altre diavolerie del genere. Vorrei far chiarezza su alcuni punti che hanno fin qui ispirato l’azione di Libertà e Giustizia.
Primo: sin dalle prime iniziative (ricordo le pagine di pubblicità da noi acquistate nel febbraio del 2004, quando la riforma era per la prima volta in Senato) noi spiegammo la nostra consapevolezza di quanto alta fosse la posta in gioco. Dicemmo subito che nessuna forza nel nostro Paese avrebbe potuto farcela, da sola, a contrastare questa sciagura e dicemmo anche che eravamo sicuri che Berlusconi sarebbe andato avanti, contrastati, in questa nostra certezza, da chi assicurava di avere notizie riservate dall’interno della Casa delle Libertà secondo le quali i centristi si sarebbero opposti e tutto sarebbe finito lì.
Dicemmo che nessun partito, nessun sindacato, nessuna associazione o movimento poteva assumersi la responsabilità di andare in ordine sparso.

Solo una profonda unità delle forze di opposizione, basata sul principio che la Costituzione è il bene supremo, il bene di tutti, e che nessuno può farne uno strumento di parte avrebbe costruito l’arma per vincere il referendum. Dicemmo che dovevamo muoverci subito ( secondo la vignetta di Altan: “La Costituzione è in pericolo! Interveniamo o ci riserviamo il piacere di dire che l’avevamo detto?”) perché nel paese dell’informazione ferita, dominata dal monopolio berlusconiano informare i cittadini non sarebbe stato uno scherzo..
Dicemmo anche allora, e lo ripetemmo nelle manifestazioni nazionali di giugno a Milano e ottobre a Roma con Astrid, Comitati Dossetti, con i partiti, i movimenti e i sindacati che l’unità andava costruita sul “NO” al referendum, per dare ai cittadini un chiaro e semplice messaggio. I sostenitori di eventuali riforme alternative o di singoli aggiornamenti della Costituzione avrebbero potuto precisare in un secondo momento, idee e programmi. A questa posizione ci siamo sempre attenuti, sacrificando ad essa quell’idea di Costituzione che anche noi abbiamo il diritto di avere.
Così è nato anche il coordinamento nazionale presieduto da Oscar Luigi Scalfaro e che vedrà l’8 aprile prossimo riunito per la prima volta il comitato scientifico presieduto da Leopoldo Elia.
Una scelta, la nostra, volta a superare non solo le legittime diversità di vedute, ma anche quella tentazione perdente di andare a rivangare il passato per distribuire attestati e voti a destra e a manca: un vizio forte anche se comprensibile della sinistra, ma deleterio quando la posta in gioco sia la Costituzione.
Non possiamo permetterci di perdere e di dividerci.

Questo è il nostro credo più profondo. Dobbiamo, per forza, stare uniti. Il che non vuol dire rinunciare a discutere, ad approfondire, a fare progetti. Ma anche essi, i progetti, devono venire dopo. A chi intendesse rivendicare la propria idea, un’idea che separa invece di unire, diremmo di rinunciare, pena la responsabilità di confondere invece che informare, di disorientare invece che battersi.
Nessuno, meglio di Gustavo Zagrebelsky, lo ha detto quando dopo aver sostenuto che “In materia costituzionale occorre non dividere e approfondire le divisioni, ma unire”, si è rivolto ai cittadini, ai movimenti, alle associazioni. C’è bisogno di noi, di tutti gli italiani, “occorre trovare parole nuove, discorsi diversi da quelli uditi mille volte e sempre meno ascoltati”: occorre, dice l’ex presidente della Corte, far capire che “La posta in gioco non è il successo o la sconfitta di questa o quella parte politica, ma il modo di essere del nostro vivere insieme”.
Tutto ciò che viene da proposte del passato non solo è vecchio in sé, ma è stato superato e reso improponibile dalla riforma di Berlusconi. Scopo del referendum, non dimentichiamolo mai, è preciso e circoscritto: spazzare via questa riforma. Naturalmente il NO va argomentato (purtroppo non è difficile) ma la discussione approfondita attorno a una eventuale riforma migliore (che comunque non è l’emergenza di questi anni) ci sarà tempo di farla dopo che la grande battaglia democratica del “NO” per salvare la Costituzione repubblicana sarà vinta.

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