Scuola: 70 anni dopo, l’articolo 38 della Costituzione non ha esaurito la sua carica programmatica

31 Gennaio 2016

«La scuola è aperta a tutti»: così dice la Costituzione italiana al primo comma dell’articolo 38 e parla qui con tutta la sua caratteristica concisione e chiarezza. Negli anni in cui il testo fu concepito, questa norma non descriveva una realtà, ma fissava e stabiliva un programma. […]

Nel 1948 la norma era assai lontana dal sancire una realtà effettiva. Dal fascismo e dallo Stato monarchico l’Italia democratica e repubblicana aveva ereditato una scuola in verità ben chiusa. Negli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento il 60% di adulti e adulte era privo di ogni titolo di studio. Quelli in tale condizione o non erano nemmeno mai entrati in un’aula scolastica, come poteva accadere ai nati prima del periodo giolittiano (solo allora cessò il fenomeno dell’elusione completa della scolarità), oppure erano stati espulsi dalle aule prima di arrivare alla licenza elementare. Il traguardo di questa licenza, per quanto da decenni fissato in leggi, con il censimento del 1951 risultò che era stato raggiunto solo dal 40% di adulte e adulti. Il 30% era fermo a esso, mentre il 10% si era spinto oltre e l’1% aveva raggiunto la laurea.

Grandi passi avanti
Vale la pena di aprire una breve parentesi aritmetica. Sommando tutti gli anni di scuola fatti in una certa epoca dai singoli individui di un Paese e dividendo la somma per il numero degli individui si ottiene il numero di anni mediamente fatti dalle persone a una certa data, ossia si ottiene ciò che si chiama indice di scolarità di un Paese. Nel 1948 l’indice di scolarità italiano era di circa tre anni. Questo dato aiuta a capir meglio la realtà di fatto dell’epoca se lo si mette a confronto con i dati di altri Paesi. Allora, più esattamente nel 1950, l’indice di scolarità complessivo dei Paesi sviluppati era di circa sei, sette anni, mentre l’indice dei Paesi sottosviluppati era di due, massimo tre anni. L’Italia, perlomeno l’Italia scolastica, apparteneva dunque alla vasta schiera dei Paesi sottosviluppati. […]

Sono passati ormai quasi settant’anni dalla redazione della Costituzione e si può e deve constatare che la popolazione e le scuole hanno camminato sulla via della realizzazione di ciò che v’era di programmatico nell’articolo 38. È stato un cammino faticoso, a strappi, poco o niente progettato dai gruppi dirigenti, ma piuttosto subìto se non osteggiato. Molto si deve alla spinta popolare per raggiungere livelli più alti di istruzione e all’impegno delle famiglie, in molte parti della società e del Paese un vero oneroso sacrificio.

I senza scuola, gli analfabeti confessi, i quasi due terzi di adulti e adulte senza licenza elementare e naturalmente anche gli altri scolasticamente più dotati hanno mandato a scuola i loro figli e finalmente anche le figlie. E figli e figlie di decennio in decennio hanno affollato le aule, hanno preso la licenza elementare, poi, con gli anni Ottanta del Novecento, hanno cominciato a prendere quasi tutti la licenza media. E con gli anni Duemila i e le nipoti dei senza scuola si sono spinti oltre, fino a conquistare il diploma mediosuperiore in percentuali cresciute ormai oltre il 75% delle classi anagrafiche.

Scolasticamente sviluppati
Il progresso della scolarizzazione tra le classi giovani ha mutato un po’ alla volta la fisionomia scolastica della intera società. I non scolarizzati sono ormai pochi punti percentuali. L’indice di scolarità è cresciuto in tutto il mondo. Rispetto al 1950 l’indice di scolarità dei Paesi sottosviluppati è salito da due o tre anni a sei anni, nei Paesi sviluppati è salito da sei o sette a dodici, tredici anni. In Italia nel primo decennio del nuovo millennio l’indice di scolarità ha raggiunto i 12 anni. L’Italia ha fatto dunque più di altri Paesi: è uscita dalla fascia dei Paesi sottosviluppati ed è saltata nel gruppo dei Paesi scolasticamente sviluppati.

La scuola ha saputo raccogliere la spinta popolare, ha saputo accogliere figli e nipoti dei senza scuola cercando di portarli alla conquista di saperi intellettualmente complessi. Insomma la scuola si è mossa secondo il dettato costituzionale.

Possiamo dunque dire che ormai l’articolo 38 ha esaurito la sua carica programmatica e propositiva? Cerchiamo di capire se ci sono chiusure che occorre rimuovere perché la scuola, come la Costituzione chiede, sia davvero aperta a tutti e risulti quindi all’altezza dei compiti e delle richieste che promanano dalla vita e dai problemi della società di oggi.

Chiusure e disattenzioni
Non sono poche le strozzature e le gravi disattenzioni che impediscono alla scuola di essere pienamente, effettivamente aperta anzitutto a tutti i suoi principali destinatari tradizionali: bambini e bambine, adolescenti, giovani. Vediamo alcuni casi salienti. (1) I disabili, nonostante l’impegno encomiabile che il Paese ha avuto rispetto ad altri europei, non hanno ancora i necessari supporti didattici e edilizi. (2) Mancano i necessari supporti didattici anche agli alunni di aree di antica e misconosciuta alloglossia e (3) mancano soprattutto ai figli di famiglie di origine straniera segnati anch’essi dall’alloglossia dell’ambiente. (4) Difetta o manca del tutto il tempo pieno generalizzato che è una necessità sociale nella scuola di base per figli di famiglie monoparentali o con madri che lavorano ed è una impellente necessità anche culturale in tutte le aree e fasce sociali depresse per cattive condizioni economiche o bassi livelli di istruzione di famiglie e ambiente. (5) Manca nella scuola media superiore, la secondaria di secondo grado, quel ripensamento radicale di metodi e programmi da gran tempo inutilmente richiesto: l’impianto, anche edilizio, ma soprattutto didattico e culturale resta quello della scuola riservata a percentuali minoritarie di un Paese contadino concepita a inizio Novecento dai progressisti di allora, avviata a realizzazione da Giovanni Gentile, variamente manomessa nel periodo fascista, ma mai riorganizzata per riuscire a salvare la qualità portando le intere coorti anagrafiche al diploma superiore.

È un obiettivo, quello della unione di massima inclusività degli allievi e massima qualità delle loro competenze, che altri Paesi raggiungono con successo, dal Giappone alla Corea e alla Finlandia: richiede solo investimenti e attenzione alla qualità degli insegnamenti. Purtroppo la scuola media superiore italiana soffre di un’ancora alta percentuale di abbandoni e di un livello penosamente basso delle competenze dei diplomati italiani messi a confronto con i coetanei degli altri Paesi e perfino con le competenze dei fratelli minori, i licenziati della media inferiore: i cinque anni di superiore girano a vuoto. Quella della media superiore per una gran parte dei giovani (si può stimare almeno la metà) è una falsa apertura. Occorre ripensarla radicalmente se si vuole rispettare nella sostanza la Costituzione.

Un sistema chiuso
A tutti i livelli scolastici, ma specialmente nelle superiori e nell’università, nei mediocri livelli di alunni che vengono da famiglie con bassi livelli di istruzione e di cultura si tocca con mano il prezzo che ha la mancanza di una seria organizzazione dell’istruzione degli adulti, che sottragga il più possibile la popolazione adulta a quella lontananza dal tenersi attivi intellettualmente registrata da indagini nazionali e da tre recenti indagini comparative internazionali. Sette adulti italiani su dieci sono sotto i livelli minimi di comprensione di testi scritti e di uso di nozioni matematiche e scientifiche elementari. Una iattura per la scuola e per l’intera vita sociale. Una iattura anche per l’efficienza della produzione e, quando ci sono, degli stessi investimenti produttivi, come qualche governante ha mostrato di ignorare e come invece diversi economisti hanno spiegato a partire dagli anni Novanta. […]

L’istruzione degli adulti, se si svilupperà, potrà portare a vincere un’altra strozzatura, un’altra mancata apertura. A tutti i livelli, ma specie al livello mediosuperiore, la scuola, intesa anche come edificio scolastico, soffre di scarsi o assenti rapporti con il territorio circostante, il Paese, il quartiere, la loro gente. Esperienze internazionali nelle Americhe, da New York alla Colombia, e nei Paesi sottosviluppati, ma anche esperienze dei maestri di strada a Napoli, dicono quanto è importante per la scuola, per i risultati misurabili del suo impegno, che la scuola si apra e diventi un’accessibile, attraente e frequentata «fabbrica della cultura» per tutti, ragazze e ragazzi, le loro famiglie, la popolazione intorno. Non un corpo estraneo, ma una realtà propria, amica, aperta come ancora chiede la Costituzione.

La Stampa, 28 gennaio 2016

 

 

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