“Ci vogliono due uomini per fare un fratello”, Israel Zangwill.
Giurerà martedì mattina Sergio Mattarella, eletto il 31 gennaio 2015 dodicesimo Presidente della Repubblica – il primo siciliano – con 665 preferenze, 160 in più del quorum fissato a 505 voti. Sono passati 35 anni da quando la mafia uccise Piersanti, suo fratello maggiore, Presidente della Regione Sicilia, allievo di Aldo Moro e portatore di un rinnovamento etico-politico nell’isola. Ben oltre un quarto di secolo è passato da quel 6 gennaio del 1980 quando il futuro Capo dello Stato italiano, tentava di estrarre dall’auto il corpo in fin di vita di suo fratello, crivellato da otto colpi di pistola, quattro in prima battuta e successivamente altri quattro, esplosi dal killer tornato indietro.
Un delitto che apparve anomalo per le sue modalità, tanto che lo scrittore Leonardo Sciascia alluse a “confortevoli ipotesi” che l’avrebbero potuto ricondurre, in modo facilmente riduttivo, alla mafia siciliana. Inizialmente fu considerato un attentato terroristico, poiché subito dopo il delitto arrivarono rivendicazioni da parte di un sedicente gruppo neo-fascista. Ora è stato deciso che Sergio Mattarella sarà la prima carica dello Stato, perché l’Italia è anche questo: un Paese in grado di emendarsi, almeno oggi ha dimostrato di esserne capace. Un risarcimento fino a che punto consapevole o solo una mossa strumentale?
Le ragioni per cui si è arrivati a questa scelta non sono sempre evidenti; non lo sono tutte, non lo sono ancora. Si vedrà in seguito quali siano state. Si è parlato di convergenze (nel Pd) e di divergenze (nell’Ncd), di rinnovamento (renziano) e di continuità (con la Dc), dell’esigenza di compattare uno schieramento e di frantumarne un altro. Di tutto e il contrario di tutto, insomma, poteva andare peggio e poteva andare meglio. Di certo il nuovo Capo dello Stato è anche questo: un testimone, un erede. Di un’eredità scomoda da portare e comunque gravosa, come certe – discusse e mai dimostrate – accuse di contiguità con Cosa Nostra di suo padre Bernardo e di altre vicende poco trasparenti dell’altro suo fratello, Antonino. Che genere di erede sarà lui?
Un famiglia, quella dei Mattarella, che incarna in maniera potente ed efficace la Sicilia e l’Italia dell’ultimo mezzo secolo. Due fratelli, Piersanti e Sergio, che hanno sposato due sorelle, Irma e Marisa Chiazzese. La casa in via Libertà a Palermo, davanti alla quale è stato ucciso Piersanti, nel medesimo stabile nel quale abitano entrambe le famiglie. Due fratelli di cui uno sceglie la via della politica e l’altro quella dell’università fin quando, alla morte del primo, il secondo non ne prosegue la strada. Senza nemmeno immaginare come sarebbe andata a finire, dove lo avrebbe condotto. Due fratelli, due destini diversi: uno divenuto eroe di uno Stato lacerato, l’altro a capo di quello stesso Stato. Nel mezzo la storia del Paese fino ai giorni nostri, la Prima e la Seconda Repubblica, l’arrivo della Terza che stenta a decollare.
Le cronache raccontano della prolungata standing ovation che ha accolto il Presidente ancor prima del termine dello spoglio dei voti. Al candidato ufficiale (e unico) del Pd è andato l’applauso di tutto il centrosinistra e di circa i due terzi dell’emiciclo parlamentare: oltre tre minuti, seguito al primo di altri quattro minuti, al momento del raggiungimento del quorum. Sette, otto minuti, dunque. Molti battimano che fanno pensare che il suo destino sarà diverso da quello del fratello a partire dalla condivisione e dal consenso da cui è circondato.
Mattarella è stato eletto al quarto scrutinio, un’elezione normale da cui si auspica un nuovo avvio per un Paese normale. Il Presidente non sorride nelle immagini; è composto, forse anche presago del compito che lo attende. Un settennato complesso che dovrà traghettare l’Italia fuori dalla crisi, economica, politica, istituzionale. Fuori da se stessa per alcuni aspetti. “Il mio pensiero è rivolto a speranze e difficoltà dei nostri concittadini”, ha detto subito e come primo atto si è recato a rendere omaggio alle Fosse Ardeatine. “Ci vogliono due uomini per fare un fratello” ha scritto Israel Zangwill, drammaturgo e umorista inglese di fine Ottocento, figlio di ebrei russi emigrati. Ma se ci vogliono due uomini per fare un Presidente, quanti ce ne vogliono per fare un Paese?
MicroMega, 1 febbraio 2015