Partiti e democrazia

09 Gennaio 2012

Pur non essendo fra i promotori del referendum (abbiamo testardamente continuato a sperare in un sussulto di deputati e senatori che cambiassero la legge in Parlamento) la nostra associazione e i singoli circoli si sono mobilitati nei giorni della raccolta delle firme e hanno consegnato al comitato migliaia e migliaia di schede, raccolte nelle piazze delle città e, dove ci è stato concesso, anche nelle feste di partito

AltanViviamo con ansia e rispetto l’attesa della decisione della Corte Costituzionale sul referendum elettorale. Da anni ormai e all’inizio in assoluta solitudine, Libertà e Giustizia ha individuato nel Porcellum non soltanto la causa principale del degrado del Parlamento italiano, ma anche del gravissimo distacco che separa ormai i cittadini dai partiti, e dunque una fonte inesauribile di indebolimento della democrazia.

Pur non essendo fra i promotori del referendum (abbiamo testardamente continuato a sperare in un sussulto di deputati e senatori che cambiassero la legge in Parlamento) la nostra associazione e i singoli circoli si sono mobilitati nei giorni della raccolta delle firme e hanno consegnato al comitato migliaia e migliaia di schede, raccolte nelle piazze delle città e, dove ci è stato concesso, anche nelle feste di partito. Ci sentiamo dunque legittimati a sperare nella decisione della Corte, sapendo che solo un obbligo potrà smuovere i partiti dalle nicchie di interessi contrapposti e di parte. Ognuno disposto a cambiare il porcellum purché ci sia una convenienza per loro.

Insieme alla discussione sulla legge elettorale prosegue in Parlamento la ricerca di intese sulla riforma della Costituzione: anche essa usata per tenere “occupati” deputati e senatori e dunque rafforzare la tenuta e allungare la vita del governo tecnico. La presidenza di LeG si è già espressa su un punto fondamentale e chiarendo quale dovrebbe essere a nostro avviso il tragitto di quelle riforme che fossero ritenute indispensabili: prima la legge elettorale, poi le elezioni e solo un nuovo Parlamento sarebbe esplicitamente legittimato anche a rivedere la Costituzione.

Non è questa però a quanto pare la scelta di Pd, Pdl e Udc. “L’occasione è ora” è un ritornello abbastanza frequente. Discutere della Costituzione dovrebbe servire infatti anche a far rinascere un dialogo fra forze politiche che nei mesi e anni passati si sono scontrati duramente su tutto. Addirittura si fa l’esempio degli anni della Costituente: in commissione i partiti collaboravano a elaborare la Carta, in aula si scontravano sulla politica.

Non approfondiamo per carità di patria il paragone fra i 75 costituenti presieduti da Ruini e eletti proprio allo scopo di dare una Carta al nostro Paese e i deputati e senatori dell’attuale parlamento, nominati e comprati e quel che segue.

Perché queste riforme di cui da tempo si parla? Si dice che la Costituzione va cambiata a causa dei costi della politica, ci sono infatti troppi parlamentari e inoltre Camera e Senato dovrebbero occuparsi di cose diverse, per mettere fine al bicameralismo perfetto. Si dice inoltre che bisogna dare più poteri al governo e che la Costituzione è vecchia e rispecchia i sentimenti e i valori di quei giorni del dopoguerra (ma non vale la pena di soffermarsi su questa ridicola accusa che fu lanciata per primo da Licio Gelli e che da allora hanno ripetuto in maniera pappagallesca socialisti craxiani, piduisti e berlusconiani doc.) Quanto al bicameralismo e alla proclamata necessità di avere un Senato delle regioni, sarebbe forse possibile studiare compiti diversi per le due Camere. Ma rinunciare ai controlli e alle garanzie che sono impliciti nella doppia lettura potrebbe essere un azzardo. Pensiamo soltanto cosa sarebbe accaduto in questi anni di governi di Berlusconi: tutte le sue proposte di legge, dal bavaglio all’informazione ai peggiori progetti sulla Giustizia sarebbero oggi leggi dello Stato.

Tira davvero una brutta aria, se non si vuol riconoscere che in questi anni difficili la nostra Costituzione ci ha salvato dalla rovina. Possiamo modificarla come è stato fatto nel passato tantissime volte. Ma ricordiamoci sempre che siamo una democrazia fragile, che trova nel mito della personalità la soluzione a cui tendere appena le cose si fanno difficili.

Le riforme sono una cosa, le avventure un’altra.
Questi ultimi diciotto anni non ci hanno insegnato proprio niente?

Legge elettorale e riforme della Costituzione: su questi temi importantissimi i partiti si giocano davvero l’ultima chance di legittimazione. Il sondaggio di Ilvo Diamanti ci ricorda quanto profondo sia oggi il distacco tra cittadini e la politica al punto che ci si chiede se possa esserci democrazia senza partiti.

Probabilmente no. Ma democrazia senza questi partiti?

E’ una domanda davvero difficile. Speriamo che ci siano ancora le energie in questa classe politica per rendersi conto della situazione a cui siamo arrivati: si attrezzino a diventare qualcosa di diverso da macchine fini a se stesse, a ritrovare un rapporto con i cittadini delusi, a mostrare che non esistono solo per mantenere e trasmettersi il potere.

Post scriptum: Sul Corriere della Sera di giovedi 5 gennaio Luciano Violante propone che i cittadini possano “pesare” sulla politica “stabilendo per legge che i candidati vanno scelti attraverso primarie di collegio, riservate agli iscritti ai partiti della coalizione”. Insomma: o ti iscrivi a un partito o non hai scelta, non conti un bel nulla…

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