2 Giugno. L’ART 3 e il nazionalismo imbroglione

30 Mag 2023

Elisabetta Rubini Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

Speriamo di non dover nuovamente ascoltare, in occasione della festa della Repubblica italiana, stridenti richiami alla presunta necessità di difendere la nostra “etnia” e di reagire ad una immaginaria “sostituzione etnica”,  che alcuni esponenti della destra al governo hanno preso ad evocare in assenza di qualsiasi dato concreto.

Quand’anche non vaneggino di estinzione dell’etnia italica, i nostri governanti amano riempirsi la bocca con la parola “nazione”; non repubblica,  società, paese, comunità: la retorica della nazione piove sulle nostre povere teste dai telegiornali, dalle cerimonie, dagli interventi pubblici dei politici di destra, che si tratti di contrapporre l’interesse italico a quello di altri paesi (l’odiata Francia), di opporsi a politiche di accoglienza dei migranti, di resistere alle  richieste della UE sui tempi del PNRR e sull’applicazione delle regole di concorrenza nella concessione delle  spiagge.

Tutti sappiamo – o dovremmo sapere –  quanto il nazionalismo sia una religione detestabile e pericolosa e quali danni enormi abbia causato nel Novecento. Come ha ricordato il Presidente Mattarella nel recente discorso per l’anniversario della morte di Alessandro Manzoni “è la persona, e non la stirpe, l’appartenenza a un gruppo etnico o a una comunità nazionale, ad essere destinataria di diritti universali, di tutela e protezione”.

Eppure, dobbiamo riconoscere che la retorica della nazione oggi praticata dalla cultura di destra ha presa sull’opinione pubblica, e ciò per una duplice ragione, mi pare. La prima è che la destra evoca la nazione e si veste di un’ideologia nazionalista per celare la sua impotenza, la sua incapacità ad affrontare con competenza ed efficacia i molti complessi problemi che il governo del nostro paese pone.

Non siamo capaci di gestire i progetti del PNRR, rispettarne i vincoli, ottenere i finanziamenti previsti. Il nostro sistema sanitario è sottofinanziato e inadeguato. Soffriamo di un livello di istruzione della nostra popolazione così basso da essere del tutto inaccettabile. Non riusciamo ad affrontare con modalità civili il tema delle migrazioni. Non abbiamo piani di salvaguardia del territorio. E così via.

Meglio dunque rifugiarsi in una ideologia regressiva e consolatoria, invocando una unità ideale, la nazione appunto, di fatto inesistente nella frastagliata realtà delle regioni italiane e comunque inutile,  se non a fini di manipolazione dell’opinione pubblica.

E tuttavia – e questa è la seconda ragione sottostante una certa accettazione, nel discorso pubblico, della retorica della nazione – una valenza questa nozione tossica rischia di averla: quella di consentire una sorta di autoassoluzione collettiva di stampo vittimistico o addirittura rivendicativo. Se siamo incapaci, ignoranti, a volte feroci nei confronti dei più deboli la responsabilità è fuori di noi: dell’Europa, dei non italiani, degli altri.

Il veleno del nazionalismo è tornato, in questi anni, ad ammorbare la vita delle democrazie europee: pensiamo alla disastrosa Brexit, alimentata da bugie e vaneggiamenti imperiali. Il rischio anche per noi  è che questo discorso regressivo e manipolatorio porti con sé conseguenze scellerate e autoritarie. Il solo nazionalismo che siamo disposti a condividere è quello che si traduce nel buongoverno della nostra Repubblica e  nel rispetto, anzitutto, dell’art.3 primo comma della nostra Costituzione.

 

Nata a Milano il 22 ottobre 1956, è sposata e ha due figli. Avvocato civilista, è iscritta a Libertà e Giustizia dal 2002, e nell’ambito dell’associazione si è occupata soprattutto di temi attinenti il funzionamento del servizio giustizia e la disciplina dell’informazione in Italia

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