La Costituzione è la stella polare: il nostro impegno su antifascismo, giustizia sociale e ambientale

24 Apr 2023

Daniela Padoan Presidente Libertà e Giustizia, Scrittrice

Relazione di Daniela Padoan, neo Presidente di Libertà e Giustizia, all’assemblea dei soci riunita a Bologna il 22 aprile 2023

Care socie, cari soci di Libertà e Giustizia,

vi ringrazio, è per me un onore e una grande responsabilità assumere la presidenza di questa autorevole e prestigiosa associazione, sia per il suo essere da vent’anni presenza e pungolo nella vita politica e culturale del Paese – con le sue grandi battaglie per la democrazia e la Costituzione, l’articolazione della sua dirigenza, i suoi circoli radicati nelle città – sia per il compito di resistenza che oggi ci troviamo di fronte, al quale questa associazione è per sua natura votata.

Libertà e Giustizia riprende a lavorare dopo una lunga pausa, conseguente all’inciampo che pandemia, guerra e un sovrapporsi di crisi – non ultima quella della rappresentanza – hanno imposto anche alla società civile e al mondo associativo. 

Credo ci sia grande serietà, in questo bisogno di riordinare le idee, di raccogliere le forze, di dotarsi di nuovi strumenti e percorsi, nella consapevolezza della fase difficile e straordinaria che ci tocca in sorte, segnata dall’ascesa al governo di una destra erede e custode di una tradizione che risale ad Alleanza Nazionale, e prima ancora al Movimento sociale italiano, nato sulle ceneri della Repubblica di Salò.

Nessuno avrebbe potuto prevederlo, solo pochi anni fa. È stato l’esito di una legge elettorale di impianto maggioritario, che ha permesso a Fratelli d’Italia una moltiplicazione di seggi e di peso politico, e di un voto popolare segnato dal crescente distacco dei cittadini dalle istituzioni, al punto che l’astensionismo tocca ormai quasi il 40% del corpo elettorale. Dall’81% di votanti del 2001, siamo passati al 63,9% delle ultime elezioni politiche del 2022: il dato più basso dell’intera storia repubblicana, spia di una radicale perdita di fiducia nella democrazia come possibilità di giustizia, equità sociale, esercizio dei diritti politici.

Riprendiamo oggi a lavorare con maggior forza, sapendo di poter svolgere un ruolo importante nel rompere l’isolamento e lo sconcerto della società civile, e nel dar vita a grandi campagne popolari, come già avvenuto in passato.

Lo faremo nella consapevolezza della necessità e dell’urgenza di risignificare quello che credo si debba continuare con forza a chiamare antifascismo – fondamento e carne della Costituzione e della Repubblica democratica – sapendo che un progressivo cammino di svuotamento della rappresentanza e dell’effettività dei diritti è stato compiuto già prima dell’insediamento di questo governo, ma che ora ci troviamo di fronte al progetto di una riscrittura della storia che non può avere altro nome che revisionismo.

Nelle sbrigative scorciatoie sul passato fascista e coloniale; nelle intollerabili dichiarazioni sull’azione partigiana di Via Rasella e sull’eccidio nazifascista delle Fosse Ardeatine; nel disconoscimento del valore fondativo della Resistenza; nell’insulto alle date che segnano le ricorrenze civili della Repubblica; nella decisione, da ultimo, di finanziare il Museo della Shoah di Roma, purché sottoposto al controllo del ministero della Cultura (il disegno di legge presentato dal ministro Sangiuliano prevede infatti che la fondazione sia «posta sotto la vigilanza del Ministero della cultura, che programma le attività museali anche tenuto conto degli indirizzi della Presidenza del Consiglio dei ministri»), così come in molti altri esempi offerti da questi primi sei mesi di governo, abbiamo potuto scorgere l’ombra di quello che Piero Calamandrei chiamò il “regime della menzogna”. Un regime fatto di irrisione della cultura e della memoria, di dimenticanze e impossibili equiparazioni, di svilimento della rappresentanza, di fastidio per le istituzioni democratiche, di disprezzo delle minoranze, delle fragilità e delle diversità, di un doppio registro comunicativo rassicurante e sguaiato, governativo e militante.

Riprendiamo a lavorare avendo ben in mente il dettato statutario dell’associazione – la sua vocazione a «essere l’anello mancante fra i migliori fermenti della società e lo spazio ufficiale della politica», come recita il manifesto costitutivo – ma anche sapendo che questi vent’anni hanno profondamente intaccato i nostri punti di orientamento, a iniziare dalla dialettica della democrazia rappresentativa, imbrigliata dal predominio degli esecutivi sul Parlamento, e da leggi elettorali che squalificano il rapporto tra eletti e cittadini.

Nella mortificazione della democrazia parlamentare, nella precarizzazione del lavoro, nell’erosione del welfare – con la cancellazione del Reddito di cittadinanza, l’abolizione del Fondo morosità incolpevole per le famiglie in difficoltà abitativa, il taglio dei trasferimenti ai Comuni –, nell’impoverimento generale e nella criminalizzazione del conflitto, assistiamo alla spartizione di ciò che resta di un Paese che, come un mobile assalito dai tarli, rischia di conservare solo la forma svuotata delle parole che usiamo – libertà, democrazia, giustizia.

Allo stesso modo, se non agiremo per impedirlo, corriamo il rischio di veder sgretolarsi davanti ai nostri occhi il sogno europeo, sfigurato dai nazionalismi, lacerato da una guerra in Europa, travolto dall’inconsistenza fattiva dell’impalcatura dei diritti umani che avevamo creduto eretta una volta per tutte, davanti al precipizio aperto nel Novecento da due guerre mondiali, dalla Shoah, dallo sterminio atomico, dalla massa di apolidi senza più alcuna protezione, privati dei diritti garantiti dalla cittadinanza, ridotti, nelle parole di Hannah Arendt, a «schiuma della terra».

Abbiamo di fronte la politica europea sulla migrazione che, ammantandosi di retoriche sui “valori europei”, ha dismesso il soccorso in mare e violato, di fatto, il principio di non respingimento sancito dall’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, finanziando operazioni dall’altra parte del Mediterraneo che implicano la restrizione dei profughi in luoghi dove è stabilmente praticata la tortura.

Anche su questo dovremo agire con forza, per dare impulso a un comune sentire di giustizia: sul soccorso dei naufraghi, sulla protezione internazionale e umanitaria,  sull’accoglienza, che è il contrario di esclusione, discriminazione, nazionalismo.

Ricominciamo a lavorare tenendo la Costituzione come “stella polare”, per far nostre le parole di Liliana Segre nel momento in cui si trovò, in quella che definì “una vertigine”, a consegnare la presidenza del Senato, lo scorso ottobre, nel centenario della Marcia su Roma, a chi non ha mai rinnegato le proprie radici culturali nella destra radicale.

In particolare, come chiese la senatrice Segre, dando attuazione a quell’articolo 3 «nel quale i padri e le madri costituenti non si accontentarono di bandire le discriminazioni basate su “sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali”, che erano state l’essenza dell’ancien régime. Essi vollero anche lasciare un compito perpetuo alla Repubblica: “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Non è poesia e non è utopia» concluse Liliana Segre, «è la stella polare che dovrebbe guidarci tutti».

Non è poesia e non è utopia, tenere la nostra Costituzione come stella polare. Lo faremo senza inseguire l’agenda governativa, senza dar seguito alle polemiche di cui ogni giorno si mostra generoso, impegnandoci a essere una guida di opposizione, con opinioni coraggiose, con un lavoro di formazione e progettazione su grandi temi che hanno necessità di essere articolati e resi spazio comune, nella rinascita di un protagonismo della società civile.

Alcuni di questi temi rappresentano il Dna di Libertà e Giustizia: la difesa della Costituzione; il contrasto del progetto di presidenzialismo e del disegno governativo di autonomia differenziata; il rovesciamento del regionalismo nella richiesta di rafforzamento del ruolo dello Stato, a tutela dell’eguaglianza e dei diritti; l’opposizione al progetto di riscrittura della storia e alla manipolazione della memoria; il rigetto di una (sub)cultura di violenza mai estirpata che torna in atti di governo, come il restringimento dello spazio di libertà reso esplicito nel decreto “rave” e nel ddl che equipara i giovani di Ultima Generazione a vandali, da punire con pene detentive fino a tre anni; l’introduzione dello stato d’emergenza sui migranti, con la previsione di centri per il rimpatrio in ogni regione; l’inasprimento di pene già intollerabili per i soccorritori in mare; la proposta di legge per abrogare il reato di tortura da parte delle forze di Polizia, introdotto nell’ordinamento italiano solo nel 2017, dopo diverse condanne da parte della Corte di Strasburgo.

Una violenza istituzionale che torna in strategie comunicative che, soglia dopo soglia, tra lapsus, enormità monumentali, smentite, ritrattazioni, reiterazioni, vittimismo e goliardia,  incarogniscono e al tempo stesso tolgono serietà alla sfera della politica, indeboliscono la capacità di reazione, modificano il linguaggio, abituano a quell’«anemia critica» di cui parlò Piero Calamandrei. Dalla pedagogia dell’umiliazione al “carico residuale”, dalla “sostituzione etnica” alla generatività femminile come politica, molti sono i campanelli d’allarme, a dirci che occorre impedire il consolidarsi di «società simili a congiure» come le chiamò Virginia Woolf, in cui l’oppressione dello stato fascista non è separabile da quella dello stato patriarcale.

Se alcuni temi, come dicevo, costituiscono la natura profonda di Libertà e Giustizia, altri sono stati finora meno praticati, come la stretta connessione tra giustizia ambientale e giustizia sociale.

Il tempo in cui ci troviamo ci impone di guardare alla riduzione del pianeta a risorsa e scarto: scarto di un estrattivismo lineare, della produzione, del nostro consumo; scarto del vivente e delle nostre vite, soprattutto di quelle dei più deboli, resi eccedenza, sospinti in margini, in periferie fisiche ed esistenziali, che si tratti delle nostre città o dei muri eretti tra continenti.

Se un secolo fa, negli anni Venti, nel frammento Segnalatore d’incendio, Walter Benjamin indicava la necessità di attivare il “freno d’emergenza” della locomotiva del progresso, prima di giungere all’annichilimento dell’intero genere umano, oggi non ci restano nemmeno le metafore: segnalatori d’incendio sono gli incendi stessi. Il riscaldamento climatico, lo scioglimento dei ghiacciai, l’inaridimento dei suoli, il prosciugamento dei fiumi, la rovinosa riduzione delle specie. Eppure non li vediamo. O, vedendoli, non ce ne sentiamo interpellati, chiamati ad agire. Nemmeno quando si mostrano davanti ai nostri occhi.

Penso che Libertà e Giustizia debba guardare alle periferie e alle povertà come luoghi di senso: povertà economiche, sociali, ecologiche, culturali. Povertà fatte di solitudini e abbandono, di lavoro minorile, di assenza di prospettive, di ritorno all’istituzionalizzazione della sofferenza sociale, fisica e psichica in luoghi di contenimento: RSA e carceri, dove non a caso si è svolta la maggiore ecatombe durante la pandemia; centri di prima accoglienza, strutture residenziali che già anticipano un desiderio di riaprire i manicomi, facendo piazza pulita della legge 180 e dell’eredità basagliana, che ci ha insegnato che ogni uomo o donna o bambino, per quanto disabile e afflitto dalle più gravi deficienze motorie, cognitive e affettive, resta sempre, comunque e ovunque, un soggetto, produttore di senso, detentore di diritti, cittadino uguale fra cittadini uguali.

Credo siano questi i luoghi capaci di riorientare una reale ricerca di giustizia sociale, di linguaggio condiviso, di comunità praticata, fuori dall’invisibile apartheid che separa le nostre esistenze. Credo sia importante farlo con lo sguardo rivolto ai giovani, denunciando con forza lo scandalo dell’abbandono scolastico, del lavoro minorile, della sofferenza espressa dagli studenti schiacciati dall’ideologia del merito, senza reali sbocchi lavorativi, né progetti esistenziali. E con lo sguardo rivolto agli anziani, resi categoria in esubero, come ci ha mostrato la gestione della pandemia da covid-19, troppo spesso delegittimati, messi ai margini, considerati un peso sociale.

E con lo sguardo rivolto all’Europa: non solo a Ventotene e alla nobile storia dei fondatori dell’Unione, ma alle possibilità concrete che ci vengono dal nostro essere nell’Unione Europea, e alla responsabilità che ci impone il progressivo scivolamento verso un’Europa delle Patrie, perché se è vero che abbiamo bisogno dell’Europa, è anche vero che l’Europa ha bisogno di noi, soprattutto in considerazione degli spostamenti che potrebbero avvenire con le elezioni del 2024.

Non possiamo cambiare l’agenda governativa, non possiamo, da soli, imprimere un cambiamento a un Paese che sembra ripiegato su se stesso, consegnato al nichilismo, ma possiamo dire, ovunque ne avremo lo spazio, che è necessario rinnamorarsi di una cultura che sappia assumere l’uguaglianza in senso sostanziale, la solidarietà internazionale e la pace, la cura per le persone e il pianeta, smettendo la foga di termitaio che ci si ostina a chiamare sviluppo, crescita e progresso. Rinnamorarsi della democrazia, agita in nuovi spazi dove la realtà abbia casa; tornare a incontrarci, creare comunità, coltivare sui territori la consapevolezza che siamo parte della natura e che senza di essa non esistiamo.

La politica può sopravvivere solo se riacquista un significato di speranza, di cambiamento positivo nella vita delle persone, ritrovando linfa per un processo trasformativo dell’esistente. I nostri obiettivi saranno percorsi di alleanza tra generazioni, processi di formazione e autoformazione, trasparenza e partecipazione della società civile ai processi legislativi, a cominciare dalle Regioni, che sono il diretto interlocutore dell’Unione Europea, che per questo ha dotato i cittadini europei di uno strumento potente, la convenzione di Aarhus, disapplicato in Italia.

Perseguiremo questi obiettivi aprendoci sui territori agli innumerevoli movimenti e all’associazionismo, tra cui i comitati per l’aria, l’acqua, il suolo, contro le trivellazioni, l’avvelenamento da Pfas, sostenendoli con strumenti giuridici e di diritto internazionale ed europeo. Organizzeremo seminari e convegni tematici, lavoreremo per riprendere la tradizione delle Scuole di Libertà e Giustizia, convinti che occorra portare in salvo una cultura guadagnata con la Resistenza al fascismo ma aperta al mondo, ai movimenti giovanili per il clima che chiedono la possibilità di un futuro per le prossime generazioni. Lo faremo guardando anche ai processi legislativi che, in altri continenti, chiedono l’introduzione nelle Costituzioni delle entità non-umane – animali, fiumi, montagne – visti come soggetto di diritto, e prefigurano il reato di ecocidio.

Sappiamo che la comunicazione non passa più solo dai grandi media – sempre più chiusi e identitari – ma attraverso una disseminazione di linguaggi e appartenenze che non vanno inseguite ma con cui occorre costruire un dialogo. Per questo daremo un impulso nuovo e coordinato al sito e ai social media, dove avranno visibilità le attività e le progettualità dei circoli, e il grande collettivo rappresentato da Libertà e Giustizia, con tutte le persone che negli anni hanno dato un contributo indispensabile, a partire dal consiglio di presidenza uscente e dai precedenti presidenti.

Vi porto, a questo proposito, l’affettuoso saluto di Sergio Labate e Tomaso Montanari, il cui apporto resta per noi prezioso.

Ringrazio chi ha creduto nella mia candidatura, Roberta De Monticelli che mi ha proposta,  Stefano Innocenti e Elisabetta Rubini, che mi hanno guidata nell’avvicinarmi a Libertà e Giustizia, aiutandomi a comprenderne meglio la ricchezza su cui contare e i problemi da provare a risolvere.

Ringrazio Nadia Urbinati, Sandra Bonsanti, e tutte e tutti coloro che mi hanno dato fiducia.

Farò di tutto per essere all’altezza del compito che mi avete assegnato.

Ci vediamo in piazza tra pochi giorni, per il 25 aprile, una data di festa, di gioia, di memoria, di progetto, che viene indicata come divisiva, e che forse deve esserlo, per non farci perdere il senso di quello che siamo: in piazza deve esserci chi si riconosce pienamente nei valori della Resistenza e dell’antifascismo, della libertà e della democrazia.

Un caro saluto, buon lavoro.

Scrittrice, saggista, si occupa da anni di razzismo e dei totalitarismi del Novecento, con particolare attenzione alla testimonianza delle dittature e alle pratiche di resistenza femminile ai regimi.

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