Futuro in gioco tra Studio ovale e cella federale

10 Nov 2022

Fabrizio Tonello

Midterm 2022 Solo le indagini principali che riguardano Trump sono quattro: una in Georgia, per il tentativo di manipolare i risultati elettorali. Una a New York per frode fiscale. Un’altra, ancora teoricamente segreta, sul suo ruolo nell’attacco al Congresso. E quella relativa ai documenti segreti ritrovati dall’Fbi nella sua residenza di Mar-a-Lago

Le elezioni di ieri per Camera e Senato determineranno il futuro della presidenza Biden e probabilmente anche quello delle elezioni presidenziali del 2024: se i repubblicani, come sembra, conquisteranno la maggioranza alla Camera dei rappresentanti paralizzeranno l’amministrazione democratica. E apriranno la via a una loro rivincita nelle prossime elezioni per la Casa Bianca. Ma c’è anche un altro aspetto che dipende dai risultati che saranno noti nelle prossime ore: la sorte di Donald Trump.

Il 20 gennaio 2017, quando Trump entrò in carica, non aveva ancora finito di giurare sulla Bibbia di essere fedele alla Costituzione che già circolavano in rete parodie della sua sorte in cui lo si vedeva indossare gli abiti arancione dei carcerati e robusti agenti federali che lo accompagnavano in manette verso un penitenziario. La satira, come spesso accade di questi tempi, era molto inferiore alla realtà: il numero di bugie, prevaricazioni e veri propri crimini compiuto dall’ex presidente nei suoi quattro anni di mandato è stato incredibile.

Basti pensare che solo le indagini principali che lo riguardano sono quattro: una in Georgia, per il tentativo di manipolare i risultati elettorali del 2020. Una a New York per frode fiscale. Un’altra, ancora teoricamente segreta, sul suo ruolo nell’attacco al Congresso del 6 gennaio

2021. E, infine, quella relativa ai documenti segreti ritrovati dall’Fbi nella sua residenza di Mar-a-Lago, in Florida. Trascuriamo altri procedimenti, come quello intentato da una sua vittima di aggressione sessuale a New York, molti anni fa.

Tutte queste indagini, in vari stadi di avanzamento, potrebbero portare Trump in galera per il resto dei suoi giorni ma si scontrano con un ostacolo politico di prima grandezza: l’annuncio per una sua nuova candidatura alla presidenza, che dovrebbe arrivare nei prossimi giorni. Poiché negli Stati Uniti l’esercizio dell’azione penale è discrezionale (la pubblica accusa non è indipendente come da noi ma dipende dal governo in carica) il Dipartimento della giustizia dovrebbe incriminare per tradimento e insurrezione armata un candidato del partito opposto, il che sarebbe politicamente esplosivo, una cosa che non si è mai fatta dal 1787 ad oggi, un processo che assumerebbe immediatamente connotati politici degni della Russia di Putin.

Non solo: la presa di Trump sulla base del partito repubblicano in pratica esclude che ci possano essere altri candidati con possibilità di successo nelle primarie (il governatore della Florida Ron DeSantis ha l’ambizione ma non i cojones per sfidare il suo maestro). Liz

Cheney, la deputata repubblicana più ostile a Trump, una forza trainante nell’indagine della Commissione della Camera ha già fatto capire che, in caso di candidatura dell’ex presidente nel 2024, lei si presenterebbe come indipendente. Questo potrebbe danneggiare i repubblicani ma solo marginalmente.

Per il momento, l’indagine più pericolosa per Trump è quella per frode fiscale a New York perché riguarda non solo lui ma anche la sua Trump Organization, che potrebbe essere devastata da una multa miliardaria, senza contare le possibili ricadute penali successive. Gli avvocati hanno tentato di scaricare tutte le responsabilità sull’ex direttore finanziario Allen Weisselberg, che si è già dichiarato colpevole di un reato minore ma il processo è in corso e la difesa di Trump non sembra molto efficace, senza contare che le giurie americane hanno poca simpatia per gli evasori: a suo tempo Michele Sindona fu condannato a 25 anni di carcere appunto per questo (condoni e altre gabole spacciate per “pace fiscale” lì non hanno corso).

L’altra indagine che potrebbe arrivare rapidamente a conclusione è quella in Georgia, dove un energico procuratore, Fani Willis, annuncerà nei prossimi giorni il rinvio a giudizio di

Trump per la telefonata del gennaio 2021 in cui chiedeva al responsabile delle elezioni nello Stato, Brad Raffensperger, di “trovargli” 11.000 voti in più per rovesciare a suo favore il risultato (lo scarto fra Biden e Trump in Georgia era appunto molto piccolo). Un caso a prova di bomba per l’accusa, visto che esiste la registrazione della telefonata.

Infine c’è l’elefante bianco in salotto, che tutti fanno finta di non vedere: il tentativo di prendere il potere con la violenza, il 6 gennaio 2021, impedendo l’ingresso in carica del legittimo vincitore delle elezioni del 2020, Joe Biden. La commissione di indagine della Camera ha esibito in una serie di audizioni le tonnellate di prove e di testimonianze sulle responsabilità di Trump e dei suoi collaboratori nell’organizzazione dell’assalto al Congresso ma questo potrebbe non essere sufficiente.

La Costituzione degli Stati uniti, infatti, definisce in maniera molto restrittiva il reato di tradimento: occorre che i sospettati effettivamente abbiano “mosso guerra” contro il governo federale (articolo III, sezione 3). Non è sufficiente il complotto, e neppure l’arruolamento di soldati, per dichiarare colpevoli gli organizzatori: nell’unico precedente, quello del processo del 1809 contro l’ex vicepresidente Aaron Burr, il presidente della Corte Suprema John Marshall mandò assolto l’imputato perché era necessario che “la violenza fosse reale”.

Quindi è possibile che Trump venga condannato in uno o più processi ma può sempre contare su una Corte suprema amica (tre dei nove giudici sono stati nominati da lui e altri tre sono conservatori fino al midollo) oltre al fatto che la campagna per le presidenziali del 2024 è già sostanzialmente aperta e i democratici partono fortemente svantaggiati dall’inflazione e da una quasi inevitabile recessione. Il risultato paradossale potrebbe quindi essere un consolidamento della sua presa sugli elettori repubblicani e un ritorno alla Casa Bianca tra due anni.

il manifesto, 9 novembre 2022

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