La “democrazia decidente” da Renzi a Meloni

28 Ott 2022

Redazione

Per accendere i fuochi del referendum costituzionale del 2016, Renzi fece riferimento alla necessità di una «democrazia decidente». Nel discorso alla Camera, Giorgia Meloni ha inserito il suo programma costituzionale in piena ed esplicita continuità con quello di Renzi, sostenendo di voler passare da una «democrazia interloquente» a una «democrazia decidente». La continuità del linguaggio tradisce la continuità sostanziale. E lascia purtroppo molti dubbi su come si comporteranno quelle forze politiche che, di fatto, erano schierate a favore della riforma del 2016.

In ogni caso, con una durezza che inquieta, la Presidente del Consiglio ci tiene a far sapere che se le opposizioni non la seguono, lei sarà disposta a qualunque cosa per garantire «Il destino di questa nazione» (sono già troppe le parole che inquietano). Dimenticando ovviamente di avere una così ampia maggioranza parlamentare solo per l’effetto distorsivo di una legge elettorale ignobile. La Meloni governa con meno della metà dei voti, con una percentuale elevatissima di astenuti. Nemmeno la maggioranza elettorale dovrebbe giustificare la scelta di modificare unilateralmente la Costituzione, figuriamoci una maggioranza parlamentare del tutto artefatta come questa.

Certo, siamo consapevoli che la Meloni ha dalla sua parte una storia ormai ricca di tentativi di far prevalere un paradigma di trasformazione radicale del senso e dello statuto delle democrazie parlamentari. Prima ancora del 2016, già il referendum costituzionale del 2006 si deve leggere in questo senso. Fin da allora, alla necessità di arginare il potere di uno si sostituisce la pretesa di legittimare quanto più possibile tale potere. Venendo meno alla preoccupazione di fondo dei nostri Costituenti, che era orientata dalla necessità di evitare qualunque deriva plebiscitaria – il fascismo non è solo un totalitarismo tra gli altri ma è parte determinante della nostra storia costituzionale – tramite un complesso equilibrio e la centralità assegnata al Parlamento.

Già da subito, il governo di destra si conferma in piena continuità con quell’idea di riorganizzazione della Repubblica che ha cercato di affermarsi in questi decenni. Libertà e Giustizia ha avuto un ruolo importante nelle due occasioni sopra ricordate e farà la sua parte, anche in questo caso, per far prevalere le buone ragioni della democrazia alla minaccia di trasformarla in semplice dispositivo di investitura di un capo.

A questa determinazione costituzionale, si accompagna da parte della Meloni l’esplicito impegno «a dare seguito al processo virtuoso di autonomia differenziata già avviato da diverse regioni italiane». Anche in questo caso vi è da dubitare sul fatto che le forze politiche d’opposizione possano impegnarsi contro una riforma che vede autorevoli loro esponenti in prima fila nella sua rivendicazione.

Come più volte rimarcato in campagna elettorale, il quadro che si prospetta, per quanto atteso, è estremamente preoccupante. Approfittando di un’opposizione che appare disarmata di idee alternative, quando non complice, la destra al governo non indugia nel mantenere immediatamente le sue promesse. Il rischio serio è di trovarci dinanzi un vero e proprio mostro istituzionale, una repubblica presidenziale che si unisce a un regionalismo diseguale.

In tempi in cui la crisi di sfiducia nei confronti della politica è sotto gli occhi di tutti vi sarà bisogno di un supplemento di generosità e di una mobilitazione pari se non superiore a quella delle ultime occasioni, per riuscire a neutralizzare questo ennesimo tentativo di riforma e per far comprendere che non si risponde alla crisi della democrazia né riducendo gli spazi del suo esercizio né istituzionalizzando le diseguaglianze territoriali.

Libertà e Giustizia

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