È tornato Stranamore

09 Ago 2022

Fabrizio Tonello

Un paese nucleare è in guerra, altri parlano di atomiche tattiche, negli Usa tornano i filmati del terrore post-atomico, centrali nucleari sono sulla linea di tiro… E oggi sono 77 anni da Hiroshima
Esterno giorno. Immagini di un quartiere degradato ma non distrutto, potrebbe essere il Bronx. Case semiabbandonate ma non in macerie. Siamo in strada, entra in scena una ragazza in pantaloni e maglione a collo alto neri, ha i capelli raccolti in uno chignon e l’aria sbrigativa, passa davanti a un furgoncino bianco apparentemente intatto e dice: «C’è stato un attacco nucleare, non chiedetemi come o perché, sappiate solo che The Big One ha colpito. Okay? Adesso cosa facciamo?» Parla con il tono di un agente immobiliare, o della venditrice di divani in offerta speciale. Le raccomandazioni sono quelle che si danno ai bambini quando c’è un forte temporale in arrivo: non state fuori, entrate in casa alla svelta e restateci.
Viene il dubbio che si tratti di una parodia perché la messa in scena pseudo rassicurante appare immediatamente troppo stupida per essere davvero un video su cosa fare in caso di guerra nucleare. Il messaggio implicito è che anche dopo l’esplosione della bomba la vita continua, basta stare in casa e seguire le istruzioni delle autorità. Purtroppo non è una parodia: è un messaggio ufficiale della Protezione civile di New York, con tanto di numeri di telefono da chiamare in caso di bisogno.

OGGI SONO PASSATI 77 anni da quella mattina del 6 agosto 1945 quando “Little boy” fu sganciata sulla città giapponese di Hiroshima, uccidendo immediatamente oltre centomila persone e un numero incalcolabile negli anni successivi.
Le conseguenze dell’esplosione di una testata nucleare sono ben note: la tristemente famosa colonna di fumo a forma di fungo, un’enorme palla di fuoco, calore insopportabile, danni alle infrastrutture. Sembra però che le autorità americane ancora non vogliano comprendere gli effetti devastanti che le radiazioni hanno sulla salute umana per coloro che non sono stati uccisi al momento dell’impatto.

In realtà la malattia da radiazioni provoca gravi danni al corpo quando si assorbe una forte dose di radiazioni in un breve periodo di tempo. Alcuni sintomi si verificano immediatamente: nausea e vomito, vertigini. Debolezza, affaticamento, caduta dei capelli e diminuzione della pressione del sangue appaiono subito dopo. In seguito arrivano diarrea, mal di testa, febbre, sanguinamento incontrollato e problemi neurologici. Infine, i tumori: la leucemia e il cancro alla tiroide, ai polmoni e al seno sono i più comuni. Le autorità americane negarono per anni l’esistenza di questi effetti, peraltro rivelati pochi mesi dopo il bombardamento dal giornalista australiano John Hershey prima in un lunghissimo reportage sul New Yorker e poi nel suo libro Hiroshima.

DOPO IL BOMBARDAMENTO di Hiroshima e Nagasaki ci furono decenni di esperimenti nucleari nell’atmosfera: prima gli Stati uniti, poi l’Unione sovietica, poi Gran Bretagna, Francia, Cina. Il mondo ha quindi potuto constatare che gli effetti delle radiazioni non si verificano solo nel luogo dell’esplosione. Il materiale radioattivo vaporizzato ricade sulla Terra come fall-out, anche a migliaia di chilometri dall’esplosione, contaminando le scorte di cibo e acqua. Poiché il materiale radioattivo utilizzato in questi tipi di bombe (uranio arricchito e plutonio) dura decenni se non secoli, i terreni, i laghi e i fiumi resterebbero contaminati per un periodo di tempo molto lungo, come del resto sappiamo dopo gli incidenti nelle centrali nucleari di Chernobyl e Fukushima. Nel caso di una guerra con uso di numerose testate atomiche gli scienziati si preoccupano anche di un possibile “inverno nucleare” creato dalle grandi quantità di fumo e particelle proiettate nell’atmosfera, bloccando parzialmente la luce solare. Un fenomeno che conosciamo perché si verifica anche in occasione di esplosioni vulcaniche catastrofiche, come quelle avvenute a Krakatoa e a Tambora nell’Ottocento. Senza sole, ovviamente i raccolti non possono maturare e la produzione di cibo non è sufficiente a evitare la carestia.

TUTTO QUESTO, naturalmente non appare nel video di 90 secondi della Protezione civile di New York, il cui obiettivo è “rassicurare” i cittadini. Va detto che la ragazza sportiva che raccomanda di fare la doccia se ci si trovava all’aperto al momento dell’esplosione ha dei predecessori illustri nel campo della propaganda.
Durante la prima Guerra Fredda, malgrado il governo federale sapesse perfettamente quanto sarebbe stato distruttivo l’uso delle armi nucleari, fece sforzi titanici per convincere i cittadini americani che la guerra non solo era possibile ma che non avrebbe avuto conseguenze catastrofiche, se si prendevano le opportune precauzioni.

Era l’epoca delle esercitazioni “Duck and Cover”, in cui i maestri costringevano i bimbi delle elementari a gettarsi sotto il banco e coprirsi gli occhi quando vedevano un lampo fuori dalle finestre dell’aula. Si aprì un fiorente mercato di rifugi antiatomici in ogni giardino, dove le famigliole americane avrebbero potuto stare in lockdown, ben protette dalle radiazioni. Il Pentagono arruolò anche i cartoni animati per convincere i cittadini a prepararsi: fu creata la tartaruga Bert che, ben protetta nella sua corazza dava l’esempio di ciò che si doveva fare.

NATURALMENTE, tutto questo era ed è insensato, per le ragioni di cui dicevamo prima, oltre che per il fatto che occorrerebbe restare in un rifugio ermeticamente chiuso per settimane o mesi. Se i governi, da New York fino al Veneto (il governatore Zaia propose seriamente alcune «soluzioni semplici» in un suo video di qualche mese fa) insistono su questa linea è perché si vuole abituare i cittadini all’idea della guerra permanente, anche nucleare.

Non a caso gli Stati uniti si sono sempre rifiutati di impegnarsi solennemente a non usare per primi le armi atomiche: vogliono conservare il privilegio di poter minacciare altri paesi per ottenere vantaggi militari e diplomatici. Nel 1984 Ronald Reagan, nel suo discorso sullo stato dell’Unione, sembrava aver preso la misura del pericolo: «Una guerra nucleare non può essere vinta e non deve mai essere combattuta», disse. Da allora i negoziati per il disarmo non hanno fatto passi avanti e l’Ucraina ha creato l’occasione per rimettere sul tavolo l’idea che testate nucleari “piccole” potrebbero essere usate al fronte. Pura follia, ovviamente, mentre ci sono leader mondiali che parlano di questo argomento in modo approssimativo e irresponsabile, senza considerare l’effetto devastante e duraturo che l’uso di testate nucleari avrebbe sulla popolazione e sull’ambiente.

NEL 1991, con la fine della prima Guerra Fredda, il “Doomsday Clock” – che il Bulletin of Atomic Scientists creò nel 1947 per valutare le conseguenze dell’introduzione delle nuove armi segnava 17 minuti prima della mezzanotte. Da allora, la lancetta si è avvicinata sempre di più alla mezzanotte, cioè alla catastrofe nucleare. Siamo tornati all’epoca del Dottor Stranamore, e non c’è neppure più Peter Sellers tra noi.

il manifesto, 6 agosto 2022

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