Verticalità e cesarismo mettono in crisi la democrazia

10 Feb 2022

Nadia Urbinati Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

Nella settimana dell’elezione del Presidente della Repubblica, le maratone televisive e molta stampa hanno magnificato l’elezione diretta del Capo dello Stato. Come gli amanti del presidenzialismo accasati negli schieramenti politici sia di destra che di sinistra, diversi opinionisti hanno riproposto il mito della velocità che ci ha accompagnato durante la campagna per il referendum costituzionale del 2016. Che bello sarebbe vivere in un paese dove si conosce la sera stessa dell’elezione l’esito del voto, senza trattative, senza discussioni, senza mediazioni! Che bello se avessimo una consultazione elettorale, magari tra due soli candidati, così da sapere subito il nome del Presidente (che però sarebbe -a quel punto- tutto fuorché il Presidente di tutti gli italiani).

Le sette sedute che hanno preceduto la rielezione di Mattarella sono sembrate troppe. E fa impressione sentire commenti che da un lato criticano il populismo e dall’altro magnificano l’elezione diretta del Capo dello Stato.

A questa visione plebiscitaria della democrazia ha risposto in maniera impeccabile e, data la sua autorità, perentoria Sergio Mattarella nel suo discorso di insediamento davanti alle Camere. La sua è stata una straordinaria lezione di democrazia parlamentare, che ha messo in chiaro come la velocità e l’urgenza della decisione siano un problema ingannevole e sventolato per decurtare, insieme ai tempi della deliberazione, le forme stesse della democrazia.

Tempi e forme che sono, disse Condorcet, esponendo il suo piano di costituzione all’Assemblea nazionale francese nel febbraio 1793, quelli della politica, ovvero né lunghi né corti, ma determinati da chi li progetta e secondo il regime politico che disegna. I tempi della politica in una democrazia sono quelli che devono essere se la deliberazione pubblica aperta e ragionevole viene usata per gettare luce sui problemi, lasciando che i dissensi si manifestino prima del voto. L’argomento della velocità, diceva Condorcet, il padre della democrazia parlamentare, fa buon gioco ai detrattori della democrazia, ai sostenitori delle soluzioni cesaristiche.

Ha detto Mattarella, che “proprio la velocità dei cambiamenti richiama, ancora una volta, al bisogno di costante inveramento della democrazia”. Inverare la democrazia significa mettere al centro il Parlamento. Questo dice la nostra Costituzione. E questo ha ripetuto il Presidente, proponendo un’interpretazione deliberativa della democrazia, di quella che ha definito “un’autentica democrazia.

”Questa“ prevede il doveroso rispetto delle regole di formazione delle decisioni, discussione, partecipazione”. Le risposte tempestive vanno “comunque sorrette da quell’indispensabile approfondimento dei temi che consente puntualità di scelte”. Una bella sconfessione del presidenzialismo e del mito dell’uomo solo (e circondato da pochi fidi) al comando – quasi che la politica assomigli a un’esercitazione militare.

Un mito, questo del cesarismo, che il tempo della complessità oltretutto confessa proprio nel paese dove la repubblica presidenziale è nata, gli Stati Uniti, oggi la democrazia più esposta al populismo e alla polarizzazione, più a rischio di divisioni violente, quella infine dove le istituzioni sono ormai
fatalmente tinte di partigianeria, catturate e usate dai giocatori che vincono; con un esito tremendo per la stabilità del sistema perché si accompagna alla decadenza della fiducia nelle istituzioni.

Un esito che il fenomeno Trump ha messo in luce ma non ha generato. Matterella ha messo il dito sulla piaga degli squilibri che alla democrazia vengono dagli interessi finanziari globali, i quali minano la funzione delle istituzioni democratiche quando mettono le sovranità di fronte alla logica del prendere o lasciare: una logica che azzera la deliberazione democratica perché alimenta un processo di decisione che “si traduce sempre a vantaggio di chi è in condizioni di maggiore forza. Poteri economici sovranazionali tendono a prevalere e a imporsi, aggirando il processo democratico”.

In questo contesto il collettivo democratico si impone sulla mono-archia. Questa logica dell’Uno (la mono-archia, appunto) ad “occhi superficiali” -spiega Mattarella- crea l’illusione che “i regimi autoritari o autocratici” siano “più efficienti di quelli democratici, le cui decisioni, basate sul libero consenso e sul coinvolgimento sociale, sono, invece, più solide ed efficaci”.

Questa è la sfida globale di fronte alla quale ci troviamo, una sfida “per la salvaguardia della democrazia” e che “riguarda tutti e anzitutto le istituzioni”. Una sfida che la democrazia parlamentare deve saper cogliere, tenendo unite “due esigenze irrinunziabili: rispetto dei percorsi di garanzia democratica e, insieme, tempestività delle decisioni”.

Il ruolo del Parlamento si impone su quello del Governo: “nell’indispensabile dialogo collaborativo” tra i due, il Parlamento deve essere posto “in condizione sempre di poter” esaminare e valutare “con tempi adeguati” le iniziative e le proposte del​ Governo, come non è avvenuto nel corso di questo anno di dirigismo emergenziale, quando il Parlamento si è trovato a dover decidere senza neppure il tempo di leggere ed esaminare il piano del Pnrr elaborato da Palazzo Chigi. Mattarella ha criticato questo metodo: “La forzata compressione dei tempi parlamentari rappresenta un rischio non certo minore di ingiustificate e dannose dilatazioni dei tempi”.

Quando si lamentano le disfunzioni del Parlamento non si possono tacere queste pressioni, mondiali e nazionali, che lo vogliono supino come un passivo organo di ratifica – come un notaio che firma quel che viene deciso dagli attori veri. E’ dunque la mentalità e la pratica decisionista il virus che erode dall’interno la più democratica delle istituzioni.

Il mito della verticalità e del cesarismo è tra i fattori della crisi della democrazia dei partiti, ovvero della democrazia parlamentare. Per questo, il consueto lamento sul declino dei partiti organizzatori di partecipazione e di opinione non porta a nulla se non accompagnato dallo sforzo di analizzare questa loro decadenza (propria ormai di tutti i paesi occidentali) con lo sguardo rivolto alla sfida decisionistica.

Di questo ci ha parlato con molta chiarezza e autorevolezza Sergio Mattarella, in un  discorso di insediamento che è stato una vera e propria lezione di democrazia.

Domani, 7 febbraio 2022

Politologa. Titolare della cattedra di scienze politiche alla Columbia University di New York. Come ricercatrice si occupa del pensiero democratico e liberale contemporaneo e delle teorie della sovranità e della rappresentanza politica. Collabora con i quotidiani L’Unità, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano e con Il Sole 24 Ore; dal 2019 collabora con il Corriere della Sera e con il settimanale Left.

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