Auspicare un Presidente divisivo può sembrare quindi una grave sgrammaticatura costituzionale. Un’eresia inaccettabile, perché contrasta con un compito che l’art. 87 Cost. espressamente attribuisce al Capo dello Stato: garantire quella coesione nazionale che appare più che mai essenziale, in un momento storico in cui le tentazioni autonomistiche e le pulsioni egoistiche si fanno sempre più spinte e radicali.
Ma il Presidente della Repubblica è tenuto a prestare giuramento di fedeltà alla Costituzione, di cui è unanimemente ritenuto garante. E la nostra Costituzione, in fondo, è divisiva. Perché prende esplicita posizione a favore di alcuni valori, tutela specifici principi, traccia gerarchie tra interessi, gradua priorità, sancisce divieti. Traccia una demarcazione fondamentale, quindi, tra chi in quei principi e in quelle priorità si riconosce e chi si colloca, invece, fuori dal quel recinto di valori condivisi.
Non è neutrale una Carta costituzionale che si apre con un richiamo alla democrazia e al lavoro, individuando in quest’ultimo il fondamento della Repubblica. E che non solo riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro, ma sancisce l’obbligo per quest’ultima di rendere effettivo tale diritto.
Non è neutrale una Carta costituzionale che si impegna a garantire e a riconoscere i diritti fondamentali della persona, come singolo e nelle formazioni sociali cui appartiene, ed esige l’adempimento di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Non è neutrale una Carta costituzionale che non si limita ad affermare l’uguaglianza formale dei cittadini e la loro parità sociale, qualunque ne siano il sesso, la razza, la lingua, la religione, le opinioni politiche, le condizioni personali e sociali, ma si dimostra consapevole che questi ostacoli economici e sociali esistono e vanno superati.
Non è neutrale una Carta costituzionale che condanna il fascismo.
Non è neutrale una Carta fondamentale che usa il verbo concorrere quando esorta i cittadini, a offrire, secondo le proprie possibilità, un contributo al “progresso materiale o spirituale della società”. Concorrere significa cooperare, partecipare a un’azione, a un progetto comune. Significa correre insieme, l’uno a fianco dell’altro.
“Ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni” scrisse Karl Marx nella Critica del programma di Gotha; comunque la si pensi politicamente, l’incontro tra le capacità degli uni e il bisogno degli altri è ciò che tiene unita una Nazione nel segno della solidarietà.
Chi concorre fa squadra, e di quella squadra mi piacerebbe che il Presidente della Repubblica fosse il capitano o almeno un tifoso. Se la squadra è quella della Costituzione, cioè, vorrei vederlo correre in campo o applaudire sugli spalti, più che fischiare di fronte ai falli più gravi, come farebbe un buon arbitro. MI auguro di avere un Presidente di parte, se la parte è quella della Costituzione.
Perché non è vero che “tutti sono uguali, tutti rubano nella stessa maniera. È solo un modo per convincerti a restare chiuso in casa, quando viene la sera (…) la storia non si ferma davvero davanti a un portone. La storia entra dentro le stanze e le brucia, la storia dà torto e dà ragione”. Certo, se fosse anche un Presidente che canticchia le canzoni di Francesco De Gregori sarebbe davvero fantastico.