La giustizia come bene comune

27 Nov 2021

Rossella Guadagnini Consiglio di Direzione Libertà e Giustizia

In occasione dell’uscita del libro “La Giustizia conviene” (appena edito da Piemme), scritto col collega Guido Lo Forte, Gian Carlo Caselli traccia un ampio quadro dell’attuale situazione, dopo gli scandali Palamara e Amara. Dalla crescita smisurata del potere delle correnti nel Csm fino alla loro degenerazione; dal calo di credibilità e fiducia dell’intera magistratura alla riforma prossima ventura, che ne dovrà salvaguardare l’indipendenza, secondo il dettato costituzionale.

“Parlare oggi di giustizia e legalità in termini credibili non è facile. I casi tristemente noti del magistrato Palamara e dell’avvocato Amara hanno spinto la magistratura verso una caduta sempre più rovinosa di credibilità e fiducia”. A tirare le somme con MicroMega sullo stato di salute di alcune delle principali istituzioni pubbliche che amministrano il diritto è Gian Carlo Caselli, magistrato per quasi 50 anni, oggi in pensione (ma ancora impegnato con l’Osservatorio delle Agromafie). Le vicende a cui si riferisce hanno coinvolto – sconvolto e quasi travolto – il Consiglio Superiore della Magistratura, l’Associazione Nazionale Magistrati e alcuni loro appartenenti.

Tutta colpa delle correnti? Lei stesso si dimise da Magistratura Democratica dopo tanti anni di appartenenza e con un’aspra polemica finale.
Le mie dimissioni con questo non c’entravano. Erano legate a un’agenda di Md che aveva pubblicato un intervento di Erri De Luca a mio avviso troppo indulgente verso la violenza terroristica. L’agenda fu poi ritirata. Ma torniamo al punto: le correnti hanno subito una pessima involuzione. Da luogo di confronto trasparente e pubblico sono diventate cordate di potere per il conferimento clientelare di incarichi e la nomina di dirigenti, trasformando il Csm in una specie di suk per trattative e scambi non sempre limpidi”. Mentre il caso Palamara ha squadernato la pratica avvilente di una limacciosa partita tra schieramenti trasversali e singoli magistrati, dentro e fuori il Csm e l’Associazione Nazionale Magistrati.

Come valuta quanto accaduto?
Un vergognoso groviglio di baratti, di manovre e di scontri, dove l’appartenenza a una corrente o a un gruppo influente è spesso diventata il criterio dominante per la scelta dei capi degli uffici giudiziari. Di qui un crollo verticale di credibilità e affidabilità che è stato senza precedenti e ha investito il Csm e la magistratura, compresa la parte incolpevole, che rimane – in tutti i modi – preponderante.

Già in passato, comunque, Csm e magistratura hanno dovuto affrontare situazioni burrascose.
Ricordo due esempi per tutti: il primo è costituito dal programma della loggia segreta Propaganda 2 del ‘venerabile’ Licio Gelli, sciolta per legge nel 1982. Dedicava uno spazio apposito a “una forza interna alla magistratura (la corrente di Magistratura Indipendente) che raggruppa oltre il 40 per cento dei magistrati italiani su posizioni moderate” e sosteneva che “un raccordo sul piano morale e programmatico”, insieme a “concreti aiuti materiali”, avrebbe assicurato “un prezioso strumento già operativo all’interno del corpo” [1].

Un caso esplicito di trame…
Trame a dir poco indecenti di mestatori, che assoldano magistrati associati in corrente disposti a vendersi. E non si trattò di semplici progetti, perché proprio per l’adesione alla P2 e per i finanziamenti ricevuti, la sezione disciplinare del Csm radiò dall’ordine giudiziario, nel 1983, Domenico Pone, allora segretario della corrente in questione. La vicenda fu risolta in maniera esemplare dal Csm, allora unica fra le amministrazioni pubbliche – a quanto mi risulta – capace di sanzionare la vergognosa appartenenza a una società illecita e segreta come la P2.

E il secondo caso?
Quello relativo a Giovanni Falcone, la cui impareggiabile professionalità fu sacrificata dal Csm sull’altare della gerontocrazia, a vantaggio di un candidato, Antonino Meli, che non aveva esperienza di processi di mafia, ma “stracciava” Falcone per anzianità. Significava condannare a morte il metodo di lavoro vincente di Falcone.

Cosa è cambiato oggi rispetto ad allora?
Lo scandalo P2 e l’umiliazione inflitta a Falcone, nonché alla stessa antimafia, per quanto vergognosi e sintomatici di un uso spregiudicato delle correnti, non sono tuttavia assimilabili ai fatti che ruotano intorno al caso Palamara. Fatti gravissimi sia quelli del passato, che quelli del presente, ma soltanto oggi tanto generalizzati e diffusi nella magistratura e nel Csm, dove hanno avuto effetti senza precedenti con le dimissioni di alcuni togati e il conseguente rinnovo parziale dell’organo di autogoverno dei magistrati.

Si riferisce a qualcosa in particolare?
L’appartenenza a una corrente o a un gruppo influente è diventata negli anni sempre più rilevante, fino a farsi elemento decisivo – molto più di quanto non accadesse prima – per alcune scelte anche importanti del Csm. In un libro intervista del gennaio di quest’anno, col titolo significativo “Il sistema” [2], Palamara declina la “sua” verità, sostenendo che a partire dal 2008, nessuna nomina sarebbe sfuggita alle logiche correntizie. Il che, tuttavia, non ha impedito – anzi ha causato – la radiazione di Palamara dalla magistratura.

Come si è arrivati a tanto?
Per la combinazione di vari fattori: quello dei giochi di potere all’interno della magistratura era un fuoco che covava sotto la cenere ma, di recente, è esploso con modalità così clamorose, che perfino l’involuzione delle correnti è tracimata in degenerazione. Una delle concause è stata la drastica riduzione dei posti direttivi o semidirettivi a disposizione, per effetto della soppressione di vari uffici (tutte le preture e i vari tribunali). Riduzione che ha messo in competizione molti magistrati per un numero di posti più esiguo, favorendo in alcuni la tentazione di ricorrere a qualche aiutino contro la “concorrenza”.

Dunque, che fare?
Ora si è toccato il fondo. Serve una sincera autocritica e uno scatto d’orgoglio dell’Anm e del Csm per puntare a un robusto recupero di credibilità e fiducia. Altrimenti non è neppure ipotizzabile che nelle prossime, necessarie riforme siano prese in considerazione anche le ragioni della magistratura. Le buone ragioni, quelle che nessuno scandalo Palamara o Amara può cancellare o svilire. Quelle che impongono di scacciare i mercanti dal tempio. Quelle che si intrecciano con le ragioni dei cittadini onesti, perché senza una magistratura indipendente e pulita svanisce la speranza di avere una giustizia giusta.

Su questo tema lei e il suo collega, Guido Lo Forte, avete appena scritto un libro, intitolato “La giustizia conviene” [3]: perché converrebbe?
Perché è stata e rimane un pilastro portante nella vita di una comunità davvero civile e va difesa e sostenuta in quanto è un bene comune. L’unico strumento a salvaguardia delle libertà e dei diritti di tutti, soprattutto di chi non ha né potere, né privilegi. “Il valore delle regole raccontato ai ragazzi di ogni età” recita il sottotitolo al volume.

In conclusione, cosa aspettarsi dalla prossima riforma della giustizia?
Che non sia una pseudoriforma, magari finalizzata a chiudere i conti con il fastidioso incomodo di una giurisdizione troppo autonoma, ma che incida sulla capacità della magistratura di essere fedele soltanto alla Costituzione. L’unica fedeltà richiesta ai servitori dello Stato – come ha ammonito il presidente Mattarella – a tutela della democrazia.

Micromega, 18 Novembre 2021


NOTE

[1] Tra virgolette le citazioni tratte dagli atti pubblici del processo a carico di Licio Gelli.

[2] Il volume ricordato è edito da Rizzoli.

[3] “La giustizia conviene” è appena uscito per i tipi di Piemme.

 

Giornalista e blogger, si occupa di hard news con particolare interesse ai temi di politica, giustizia e questioni istituzionali; segue vicende di stragismo, mafia e terrorismo; attenta ai temi culturali e sociali, specie quelli riguardanti le donne.

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