Il Papa Draghi e il ‘semipresidenzialismo di fatto’

05 Nov 2021

Quando ho letto le dichiarazioni del sottosegretario Giorgetti sul “semipresidenzialismo di fatto” – geniale soluzione per permettere a Draghi di continuare il suo lavoro, ho subito pensato che l’uscita fosse così surreale da meritarsi semplicemente il silenzio. Certo, da un lato mi è parsa l’ennesima dimostrazione di come l’agiografia abbia ormai sostituito la politica. Di questo passo il Draghi uno e bino può velocemente ascendere all’essere trino.

Devo confessare che in questi mesi non mi lascia perplesso tanto il suo atteggiamento – in fondo è troppo sicuro di se stesso per dover fare anche la fatica di apparire seducente – ma piuttosto quest’acquiescenza tenace e trasversale che lo circonda. Mai come in questo momento molti protagonisti della politica e della comunicazione sembrano letteralmente “più realisti del re”.

Ma, d’altro lato, ho capito nel tempo (e imparato a mordermi la lingua ogni volta che accade qualcosa del genere) che l’errore è di dare troppa importanza a parole rilasciate in sedi di così poca credibilità istituzionale, in occasioni così pretestuose e che sanno soprattutto di resa dei conti all’interno di un partito che utilizza un’occasione così nobile – come l’elezione del Presidente della Repubblica – per capire cosa voglia fare da grande.

E certo, anche da questo punto di vista quest’episodio è in sé chiarificatore: se l’alternativa è tra il populismo di Salvini, che ammicca a Bolsonaro, e l’elitismo di Giorgetti, che porta avanti il programma di Confindustria, c’è in ogni caso ben poco da stare allegri. Mi pare appartengano a entrambe le opzioni sia il disprezzo per le regole costituzionali, sia un’idea sbrigativa della democrazia.
Poi, nel corso delle ore, ho compreso meglio. Come accade spesso, il significato di queste parole sta più nella loro storia degli effetti, che nella cosa in sé. Quella che appariva come una battuta tanto inquietante, quanto infelice, è stata subito ripresa e giustificata da molti commentatori con tono serio, o minimizzandone la portata potenzialmente eversiva o, addirittura, giustificandone l’opportunità in nome del Papa Draghi.

Dicendo ciò che nessuno aveva mai detto con tanta chiarezza, quella cosa lì è ormai normalizzata. Ecco il vero obiettivo per cui Giorgetti e le oligarchie di questo Paese hanno agito di concerto: legittimare delle ipotesi di futuro del funzionamento della nostra democrazia che finora non avevano alcuna cittadinanza all’interno della discussione pubblica.

Dunque non bisogna cascare nella trappola. Forse è appena il caso di ribadire alcune cose e nient’altro. La prima è che la Costituzione italiana non prevede alcun semipresidenzialismo, né di fatto né di diritto. È sufficiente leggere gli articoli dedicati all’istituto del Presidente della Repubblica per comprendere che la sua funzione è «incompatibile con ogni altra carica». Questa incompatibilità non è accidentale, né può essere ignorata dalla prassi: è solo in forza di essa che il Presidente della Repubblica può essere il Capo dello Stato, rappresentare l’Unità nazionale e compiere tutti quei gesti essenziali per il funzionamento al di sopra di ogni sospetto del parlamento, dei governi e della magistratura.

La seconda è che i cosiddetti “Governi del Presidente”, cui tanti commentatori hanno fatto riferimento per legittimare le parole del Sottosegretario, non c’entrano nulla con un “semipresidenzialismo di fatto”. È ovviamente vero che in alcuni momenti della storia repubblicana si è trovata una via d’uscita (spesso discutibile) da una situazione di stallo tramite un sovrappiù di impegno politico da parte del Presidente della Repubblica nell’indicazione di un governo da presentare alla fiducia del Parlamento. Ma ciò non ha mai significato un ruolo attivo dello stesso Presidente della Repubblica nella funzione del governo, né tanto meno si è mai immaginato che egli potesse mettere “sotto tutela” o occuparsi direttamente delle opzioni politiche sui grandi temi economici.

La terza è che l’art. 89 della Costituzione è molto chiaro nel definire i rapporti tra i due Presidenti. È precisamente l’autonomia del Presidente del Consiglio e dei Ministri della Repubblica a garantire contro ogni torsione presidenzialista o “semipresidenzialista”: la loro “controfirma” – senza la quale ogni atto del Presidente della Repubblica sarebbe nullo – è la garanzia a un abuso di potere presidenziale. Dietro l’immagine costituzionale della controfirma c’è allora un’incompatibilità che non è solo formale ma deve essere sostanziale.

La quarta è che suona curioso il fatto che un politico come Giorgetti giustifichi questa mossa bizzarra con l’argomento della «politica debole». Che a me sembra a questo punto essere diventato un argomento più di principio che di fatto. Quasi che in questi mesi se ne fossero elegantemente rovesciate le conseguenze. Voglio dire che ormai la debolezza della politica non viene più intesa come l’incapacità manifestata nel corso degli ultimi tempi dai politici, ma come un’impotenza della politica come tale e che dipende più dal sistema e che non dai politici.

Non c’è più alcuna delegittimazione della classe dirigente, che anzi può permettersi di fare proposte bislacche. In pochi mesi l’innocenza è stata pienamente ricostruita. Addirittura il politico è adesso legittimato a salvarci dalla cattiva politica: quell’insieme di regole e di equilibri che definiamo democrazia parlamentare. Rendere irreversibile quella forma di politica che ha usato come pretesto l’incapacità dei politici. Sottraendo così un’intera classe politica alle proprie responsabilità e portando, al contempo, a compimento una trasformazione delle democrazie in senso oligarchico e decisionale.

La quinta è che vi è dello svelamento del vero in ciò che dice il sottosegretario. Che l’economia – cioè le opzioni politiche che compromettono e indirizzano la vita sensibile di ciascuno di noi – sia un ambito che non sopporta più di dare conto dei propri indirizzi mi pare evidente. Dunque Giorgetti dice qualcosa di profondamente realistico, in fondo. Qual è la condizione per cui le democrazie possono sopravvivere? Che esse si occupino di tutto eccetto di ciò che conta materialmente. Di ciò che produce la società, i suoi conflitti e gli interessi contrapposti che in essa si incarnano.

La sfera economica pretende ormai esplicitamente di essere sciolta da ogni legittimazione democratica, sulla base di una legittimazione interna – un evidente circolo vizioso. Solo una legittimazione economica giustifica le scelte economiche dei governi. Draghi non ha più bisogno di altro, rappresentando la sua storia un surplus di legittimazione economica.

Ecco, se dovessi dire perché sento un’inquietudine che forse è persino eccessiva rispetto al casus belli, risponderei semplicemente: perché mai come in questo momento vi sono tanti portatori di interessi – e il sottosegretario Giorgetti è molto sensibile alle posizioni di alcuni tra questi – che spingono per sospendere la giudiziosa legalità della democrazia costituzionale in nome dell’urgenza del potere decisionale dell’uomo della provvidenza e di questa autoreferenzialità di un sistema economico (uno, non l’unico).

Così non si tratta di difendere la Costituzione per nostalgia – sentimento nobilissimo, ma spesso conservatore – ma di difendere, tramite essa, una sterminata fascia di persone che non trovano più rappresentanza da nessuna parte e che, semplicemente, non vengono più considerati come legittimi portatori di interessi. E non perché non vi siano più enti intermedi, come la vulgata ritiene, ma perché gli enti intermedi garantiscono altri interessi e sono tenuti sotto scacco da questo meccanismo di autolegittimazione viziosa dell’economia.

Sembrano dunque due le possibili interpretazioni. O quelle parole sono soltanto volte alla resa dei conti all’interno della Lega o sono l’annuncio di ciò che molti – forse troppi – vorrebbero si realizzasse presto. In ogni caso conviene non dimenticarle: potrebbero rappresentare l’annuncio di inquietanti ‘compiti a casa’ per il futuro che viene. E a noi non resterà, come molto spesso accade, che dire che le cose non sono normali a chi urlerà che non c’è nulla di strano e nulla di serio.

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