IL VOCABOLARIO DEL POPULISMO

25 Ott 2021

In un passo delle Lezioni americane Italo Calvino ha un’intuizione profetica sulla minaccia che incombe sul nostro presente. Una “epidemia esistenziale” sembra avere investito le relazioni umane alterando “l’uso della parola”. Una vera e propria “peste del linguaggio” che svuota le espressioni di ogni densità e “forza conoscitiva”, dissolvendole nell’anonimato di formule astratte e multiuso in cui si spegne “ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze”.

Straordinario lo sguardo-laser verso il futuro di questo testo di 36 anni fa, compreso nel ciclo di Lectures che Calvino avrebbe dovuto tenere all’Università di Harvard e aveva siglato prima di morire con il titolo Six memos for the next millennium. Ed è inevitabile che esso ci rimandi, nell’attuale congiuntura, al modo fluido e generico con cui vengono oggi trattati termini quali “popolo” e “populismo”.

Calvino sapeva come pochi che l’istituzione linguistica è l’istituzione primaria e che i nostri atti linguistici determinano inesorabilmente variabili di esclusione e inclusione. Seguire la sua idea di “esattezza” ci porta allora a evidenziare un fenomeno peculiare e una posta in gioco del dibattito politico europeo: popolo e populismo sono termini contrastivi. O, per riprendere l’espressionismo linguistico di Pierre Rosanvallon, sono due parole che “si guardano in cagnesco”.
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Abbiamo così il paradosso di rendere negativo un termine derivato dalla parola che è da sempre alla base dell’idea di democrazia. Ma per capire come stanno le cose occorre fare un passo avanti, per scorgere la radice della “sindrome populista” proprio in un peculiare modo di intendere il concetto di popolo.
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“Popolo” è uno di quei concetti a geometria variabile che in Occidente sono da sempre costitutivi della politica e dei suoi dilemmi: dal demos greco alla civitas romana all’idea medievale e moderna di popolo-nazione. Se il popolo è il fondamento di legittimazione e il motore del sistema democratico, la sua potenza resta indeterminata.
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Del popolo inteso in senso giuridico-normativo possiamo parlare solo in astratto, trattandosi di una moltitudine di differenze di genere, etnia, religione e condizione sociale (con le relative discriminazioni e gerarchizzazioni). Il popolo come un “Noi”, come unità effettiva, può essere soltanto due cose: un enunciato performativo e inaugurale, come il ” We, the People” che troviamo nel preambolo della Costituzione degli Stati Uniti d’America, con la sua doppia anima “madisoniana” (limitazione costituzionale del principio di maggioranza) e “populista” (promessa di ampliamento della partecipazione); o un soggetto storico concreto, un popolo-evento inteso come un attore che interviene nella dinamica politica orientandone o modificandone il corso anche con rotture rivoluzionarie volte ad ampliare gli spazi di inclusione della democrazia.
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Il popolo delle ideologie populiste europee si sottrae invece a entrambe queste prospettive, situandosi in una terra di nessuno tra l’indeterminazione giuridico-formale e l’indeterminazione plebiscitaria che caratterizza le varie forme di totalitarismo. Anche quando si presenta in forma più sofisticata, intendendo il popolo non come un’entità sostanziale precostituita, ma come il risultato di una costruzione politica, la prospettiva neopopulista non sfugge a due clausole vincolanti comuni a tutte le varianti di populismo: l’affidamento della costruzione politica del Popolo a un Capo (con il passaggio dal “Noi, il Popolo” all'”Io, il Popolo”) e il referente nazional-sovranista (con l’aperta ostilità agli “apolidi” e a qualunque forma di cosmopolitismo).
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Ma nel frattempo il trinomio moderno Stato-popolo-territorio è stato sconvolto da una scena globale in cui la sovranità è diventata sovranismo, il popolo populismo e il territorio viene ormai scavalcato dalla Rete. Con l’inevitabile, rapida obsolescenza dei sedicenti leader carismatici, determinata dall’imprevedibilità dei comportamenti delle popolazioni: meno propense ad affidarsi – come accadeva nel tragico secolo che abbiamo alle spalle – a un Capo che, come diceva Theodor Adorno, presenta la sventura sotto le sembianze della salvezza.
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Certo, ben diverse tendenze si vengono profilando fuori dell’Occidente nella mappa del mondo, con le politiche di potenza non più di Stati-nazione, ma di Stati-continente quali Cina, Russia, India. È questa la vera, nuova sfida che ci attende.
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La Repubblica, 18 ottobre 2021

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