Marco Revelli: “Siamo in un premierato assoluto, come dopo il Congresso di Vienna”

05 Ott 2021

Quello di giovedì sembrava il Congresso di Vienna, quando i sovrani hanno ripreso il possesso delle loro regge: è iniziata la Restaurazione. Marco Revelli, 73 anni, da storico e politologo è preoccupato per l’ovazione a Mario Draghi all’assemblea di Confindustria. Nei partiti e sulla grande stampa da quel momento si è iniziato a invocare un partito per Draghi. Ipotesi che spaventa Revelli: “Confindustria e i poteri economici ordinano, i partiti si allineano: così non saremo più una democrazia parlamentare, ma un premierato assoluto guidato da un banchiere”.

Professore, come interpreta l’endorsement di Confindustria per Draghi? 

In un Paese civile quello che è successo giovedì dovrebbe preoccupare. In primis perché gli industriali italiani hanno applaudito il presidente del Consiglio come se fossero lì per incassare l’investimento fatto nel 2018: dalle elezioni politiche hanno lavorato per quello, per Draghi, e all’assemblea si sono congratulati con se stessi. E poi dovrebbe preoccuparci il nostro sistema dell’informazione. La grande stampa, a partire da Repubblica, ha parlato subito di un partito di Draghi. Tutto questo significa che un potere economico come la Confindustria si è costituito in un potere politico. Qualsiasi politologo che si è formato nella seconda metà del Novecento ritiene fondamentale la separazione tra il potere politico, economico e culturale, inteso come sistema dell’informazione. Qui, invece, assistiamo alla fusione di tutti e tre i poteri. Un fatto drammatico.

Anche nei partiti, dal Pd alla Lega, c’è dibattito: in molti vogliono Draghi oltre il 2023. Sì, la politica tutta si è accodata a cominciare dal Pd e dalla Lega di Giancarlo Giorgetti che vorrebbe governare molto di più con Draghi che con la Meloni. Ma questi non capiscono che il governo Draghi sta provocando lo sgretolamento di quel che restava del sistema dei partiti italiani. Tutti i partiti ne stanno subendo le conseguenze con spaccature evidenti: si è iniziato con il M5S, passando per il Pd che nasconde dieci correnti dietro il volto presentabile di Letta e la stessa Lega che è attraversata da convulsioni profonde. Potremmo dire: sotto il banchiere nulla.

Ma nel 2023 si vota. Che succede dopo?

Basta vedere quello che è successo giovedì: Carlo Bonomi, il presidente di Confindustria, era il vincitore. È riuscito dopo tre anni a sconfiggere le urne. Nel 2018 il voto era stato uno choc per il sistema politico e da subito l’establishment economico si era mosso per rovesciare quel risultato. Fin da allora Draghi era stata la bandiera della Restaurazione e giovedì sembrava di assistere al Congresso di Vienna. Per questo adesso si stanno tutti muovendo per disinnescare un risultato che nel 2023 potrebbe mandare all’aria il loro disegno. Il voto da questi poteri è visto come un disturbo: se dalle urne uscirà un risultato che non gradiscono si muoveranno per neutralizzarlo.

Vivremo perennemente commissariati? 

Ma ormai non è nemmeno più un commissariamento: il nostro Paese è governato dagli interessi economici prevalenti. In più il Parlamento ormai è marginale. Questa non è più una democrazia parlamentare, ma quella che Gustavo Zagrebelsky chiamerebbe una democrazia esecutoria, cioè dominata dall’esecutivo. Anzi vado oltre, siamo un premierato assoluto: il governo si identifica solo nella figura del suo capo.

Anche la classe industriale giovedì (il 26/9) ha dato prova di volere un uomo solo al comando, cioè Draghi.

“Certo quell’ovazione unanime di questi rappresentanti del nostro capitalismo straccione, tutti in piedi per applaudire il banchiere centrale, mi hanno fatto pensare ad un’altra forma di populismo. Un populismo gentile, delle élite. Potremmo dire che con questo approdo, il populismo ha completato il suo giro tutti i populismi finiscono la loro corsa a destra. Incontrano un potere e si sciolgono in quello, può essere un generale, un demagogo, ma anche una corporazione potente o un gruppo di interessi. L’ondata populista oggi produce poteri personali e industriali.. E il popolo è inerte, sfibrato”.

In cosa consiste la restaurazione?

Faccio qualche esempio: la riforma Cartabia, la candidatura di Berlusconi al Quirinale, l’assoluzione sulla trattativa Stato-mafia e adesso la spinta per Draghi nel 2023. Tutti segnali di un clima da conservazione.

E il Paese lo accetta?

Un paese che non è in grado di indignarsi è pronto ad accettare qualunque cosa perché è solo interessato alla propria sopravvivenza. E’ come se dicessimo: prendiamoci la mafia, la nipote di Mubarak, i pluricondannati nelle istituzioni, prendiamoci tutto e magari pensiamo anche che vada bene così. E invece no, non può andare bene così.

Il Fatto Quotidiano, 26 settembre 2021

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