L’economia europea recuperi la ‘speranza dell’altezza’ 

30 Ago 2021

Roberta De Monticelli Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

“Lenin, Mussolini, Hitler, Stalin hanno scoperto la vera natura della provvidenza. Essa è il moto verso il basso, la degradazione dell’energia, il Todestrieb di Freud, o come altro lo si voglia chiamare. Gli uomini del XIX secolo erano convinti che la provvidenza fosse un moto verso l’alto. I suddetti uomini del XX secolo si sono accorti che la provvidenza è il processo di decomposizione, è la forza che tende verso il basso. L’uomo credeva di avere, sì, alcuni elementi diabolici, ma di essere sostanzialmente fatto per ascendere. Un angelo decaduto che aspira a tornare nel cielo”. 

 

Queste righe disincantate le scrisse Altiero Spinelli nel dicembre del 1951, nel suo Diario Europeo (1948-1986) che Il Mulino ha ripubblicato in tre volumi a cavallo degli anni Novanta. Spinelli stesso intitola queste note “Aforismi di una filosofia segreta”. Un appunto di diario vale quel che vale, nulla o moltissimo a seconda di quello che l’autore ne farà. Spinelli ne fece grandi cose, a dispetto del suo disincanto, o forse perché questo disincanto celava proprio l’idea che l'”aspirazione a tornare in cielo” non andasse affatto delegata alla provvidenza (qualunque nome le si desse: il popolo, il proletariato, il partito, la storia), ma liberata dalla nebbia del sogno, che nasce spesso dall’oppressione del respiro, e accolta nella luce del giorno, di cui il pensiero umano ha bisogno come dell’aria.

Anzi, proprio del cielo ha bisogno, se almeno per “cielo” si intende il largo, l’alto e il vento: l’ampiezza del respiro, appunto. 

 

Pensiero limitato 

Come mi è già capitato di osservare, è il respiro che oggi ci manca: manca non solo alla nostra vita quando di nuovo incombono le restrizioni da pandemia, ma anche e soprattutto al pensiero, al nostro pensiero pratico e progettuale, senza il quale non viviamo, vegetiamo soltanto. 

 

La settimana scorsa si è rievocata la famosa lettera “segreta” che 10 anni fa la Bce, a firma di Jean-Claude Trichet e Mario Draghi spedì al governo italiano, allora presieduto da Silvio Berlusconi. Franco Bruni l’ha analizzata su Domani del 3 agosto, ma molti altri ne hanno scritto, fra cui il direttore di Domani e Mario Monti, che nel novembre del 2011 successe a Berlusconi precisamente per attuare quel programma, ne ha scritto per trarne gli “ammonimenti” del caso sul Corriere, il 4 agosto. 

 

Mi sono sempre chiesta cosa c’entri quell’Europa di cui parla con curiosa disapprovazione Mario Monti (ma Giulio Tremonti, allora ministro dell’Economia nel governo dimissionario, include Monti stesso nell’amaro sarcasmo espresso nei confronti dell’intera governance europea di allora, vedi Domani 5 agosto) con quell’Europa che in certe pagine di Altiero Spinelli compare come la “cattedrale” di un grande sogno, sempre vicino a realizzarsi e sempre svanito: dove il termine “cattedrale”, evocativo di altezze celesti è particolarmente pregnante sotto la penna di quel gagliardo mangiapreti (ancorché certamente non estraneo a meditazioni teologiche), che fu il principale autore del Manifesto di Ventotene.

E due provvisorie risposte le ho trovate. 

 

La polarizzazione degli interessi 

Una è un pensiero a più riprese sviluppato da Spinelli fin dagli stessi anni del Manifesto (1943), un pensiero che mostra acuta consapevolezza del nesso fra politica ed economia che insieme sostanzia e affligge la vita delle società e degli stati moderni. Spinelli non è un economista, e neppure è semplicemente un uomo di pensiero e d’azione politica, ma è un uomo che ha dedicato la forza esplosiva della sua giovinezza conculcata dietro le sbarre delle carceri fasciste a meditare – con enorme potenza di studio e ampiezza di vedute, con vista d’aquila e sensibilità radicata nella cognizione del dolore, il significato e il valore delle civiltà, e di quella moderna in particolare: e di questa, soprattutto, l’incompiutezza, cioè l’impotenza a realizzare i valori in funzione di cui si definisce.

 

Le ragioni di questa incompiutezza Spinelli, è ben noto, le individua nell’esaurimento del ruolo civilizzatore degli stati nazionali, ormai tutti minati dalla polarizzazione della società in interessi organizzati «che si precipitano sullo stato e lo paralizzano quando sono in equilibrio, e ne rafforzano sempre più il carattere dispotico, quando un gruppo o una coalizione di gruppi ha potuto sopraffare l’avversario e prendere il potere». Questa polarizzazione degli interessi organizzati, che Spinelli, sulla scorta dell’economista Lionel Robbins, chiama “sezionalismo”, è la forza che corrode le democrazie: «Oggi lottare per la democrazia significa rendersi anzitutto conto che occorre arrestare questa insensata corsa, non solo italiana, ma europea, verso una società polarizzata in interessi organizzati». Appunto. 

 

Non si negherà che Spinelli, a guerra non ancora finita, aveva visto lontano. Perché gli stati che Spinelli ha in mente non sono affatto, in questi passi, quelli di Lenin, Mussolini, Hitler o Stalin. Sono le democrazie che sono corrose dall’interno da questa «polarizzazione in interessi organizzati». E fra questi evidentemente oggi sono in primo piano i gruppi economici multinazionali, ma anche gli incongrui legami della politica interna agli stati con le economie locali: globalizzazione e intrecci locali – e letali – di politica e interessi particolari. 

 

Ecco: a proposito del nesso fra l’Europa sognata da Spinelli e quella che c’è – dieci anni fa e oggi – questa è una prima risposta. Che per combattere in maniera efficace questi “interessi organizzati” e particolaristici ci voglia un potere democratico, ma capace di operare oltre i limiti ormai modesti di uno stato nazionale, lo mostrano tanto i fallimenti e gli errori che tutti riconoscono siano stati fatti dieci anni fa, quanto la correzione a oltranza di quegli errori annunciata in questa fase di risposta alla pandemia, che paiono aver ridato un po’ di fiato alla fiducia nel futuro dell’Unione. 

 

E qui viene la seconda risposta: che molti, fra cui chi scrive, trovarono nel discorso di investitura di Draghi. In cui spirava un alito di vento nuovo: in particolare perché ogni preannunciata riforma esibiva una motivazione all’insù – verso la realizzazione di una miglior civiltà in Europa, nella quale soltanto l’Italia poteva salvarsi (perché capace anche di portarla con sé alla rovina, invece) – piuttosto che all’ingiù – verso riduzione a zero del tasso di idealità della politica, che riduce la democrazia stessa a puro e semplice scambio fra favori particolari e consenso elettorale. 

 

La politica è cosa amara e impura, da sempre. Ma sempre ci sono stati momenti in cui anche l’elemento ideale ha avuto la sua parte: questo ne ha fatto a volte qualcosa di tragico, ma altre volte – più raramente – qualcosa di veramente umano. Il kairos, purtroppo, è tramontato: e la via all’ingiù è stata finora imboccata ovunque, dalla riforma della giustizia che quasi tutti gli esperti hanno denunciato come un patchwork di interessi indifendibili e rimedi parziali ad hoc, a quella di una pianificazione economica dell’impiego dei fondi europei, virtuosa in termini ambientali, che è arrivata a resuscitare l’idea del ponte sullo stretto di Messina. 

 

Entrambe le provvisorie risposte di cui sopra inducono a una malinconica, ma necessaria constatazione. Non si improvvisa, la “speranza dell’altezza” (Dante). Non basta lo sguardo economico, né quello politologico, e neppure quello storico, se non si è mai discesi all’inferno della ragione, quello che un’intellighentsja irresponsabile anche oggi evoca agitando di fronte alle folle inferocite dei social i suoi stracci rosso-bruni. 

 

Ma neppure basta quello dei filosofi: in tutta l’opera di Habermas non troverete oggi neppure il nome di Spinelli, come non lo troverete nei libri dello storico di fama mondiale Toni Judt, dedicati alla “grande illusione” europea. Quello di Spinelli era il pensiero costruttivo degli “edificatori” (un termine che viene da San Paolo, e torna volentieri sotto la sua penna volterriana) di architetture istituzionali e politiche nuove per «nozze e tribunali ed are» e paesi e città, dove si possa vivere all’altezza delle idee migliori che il pensiero europeo e mondiale ha espresso nei millenni – piuttosto che dei bassi istinti che tutti abbiamo, o degli “elementi diabolici” che ciascuno alberga. O almeno provarci.

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Domani, 10 agosto 2021

Nata a Pavia il 2 aprile 1952, è una filosofa italiana. Ha studiato alla Normale di Pisa, dove si è laureata nel 1976 con una tesi su Edmund Husserl.

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