Bologna, la P2 e la resa dei conti con i “colpevoli”

20 Mag 2021

«È arrivato il momento nel quale il popolo italiano può fare finalmente i conti con la storia del proprio Paese, davanti alle responsabilità accertate dalla sentenza dei giudici di Milano che ha fatto luce sugli anfratti più bui degli anni della strategia della tensione, compresi gli anfratti istituzionali». Era il 2017 quando Antonio Viola, sostituto procuratore generale della Cassazione, concluse con queste parole la sua requisitoria, poco prima che le condanne per la strage di Piazza della Loggia diventassero definitive. Una sentenza storica che, quarant’anni dopo l’attentato, ha consegnato alla storia – e ai familiari delle vittime – due “colpevoli” che, come altri prima di loro, speravano di restare ignoti e impuniti: Carlo Maria Maggi, il medico veneziano di Ordine Nuovo, e il collaboratore dei servizi segreti Maurizio Tramonte.

Oggi che va di moda parlare esclusivamente delle magagne e dei misfatti nella magistratura, bisognerebbe trovare anche il tempo di valorizzare ciò che funziona e funziona bene. Bisognerebbe, per esempio, dire “grazie” a due magistrati che molti non conoscono: Francesco Piantoni e Roberto Di Martino. Sono i due Pm che, con silente e disciplinata ostinazione, hanno condotto un’indagine straordinaria. Senza sentire il bisogno di vantarsene, solo per spirito di servizio, come avrebbe detto Giovanni Falcone. A dimostrazione che l’attuale, ennesimo tentativo di mascariare l’intera magistratura – a colpi di titoloni sparati sulle prime pagine di certi giornalacci – è tutt’altro che disinteressato. Nel 2016 Roberto Di Martino ha lasciato la toga a testa alta, anche se con un filo di amarezza (“sono stato rottamato”). È l’Italia bellezza. La stessa nazione che 25 anni fa glorificava i magistrati di Mani Pulite, oggi viene spinta a chiedere il rogo per l’intero Csm; ad esclusione, forse, del Presidente della Repubblica, che lo presiede.

Coltivare la memoria e non rassegnarsi all’oblio è la raccomandazione che Sandra Bonsanti non si stanca di ripetere ai lettori del suo ultimo lavoro (Colpevoli. Gelli, Andreotti e la P2 visti da vicino, ed. Chiarelettere) e ai giovani che incontra. Un oblio che, viceversa, certi politici e certi opinionisti ripetutamente invocano: “mettiamoci una pietra sopra”. A questa ipocrisia mascherata da buon senso, Bonsanti risponde con una domanda che non lascia scampo: «prima dell’oblio, scaliamo la montagna». Ovvero, come possiamo girare pagina se prima non la scriviamo e la facciamo leggere a tutti?

Nei dialoghi finali tra l’autrice e la collega Stefania Limiti, accanto a questa raccomandazione Bonsanti ci consegna anche una laica profezia«Credo che sarà molto importante approfondire la vicenda del finanziamento della P2 alla strage di Bologna. (…) Credo che dopo Bologna dovremo riprendere in mano il nostro racconto: abbiamo una cornice, presto anche il quadro in sé sarà ancora più completo, ci permetterà uno sguardo più allargato».

Questo è un libro i cui protagonisti non sono solo i colpevoli, i “cattivi” di questa storia. C’è spazio anche per coloro che, spesso in solitudine, hanno cercato con tutte le loro forze di difendere la Repubblica dal virus che l’aveva contaminata fin dalla culla. Tra di essi merita una menzione il padre costituente Giuseppe Dossetti.

Lo stesso che, dopo un lungo e silenzioso ritiro dalla politica e dalla vita pubblica, nel 1994 inviò al sindaco di Bologna una lettera allarmata e allarmante«non posso non rilevare che attualmente i propositi delle destre (destre palesi ed occulte) non concernono soltanto il programma del futuro governo, ma mirerebbero ad una modificazione frettolosa e inconsulta del patto fondamentale del nostro popolo, nei suoi presupposti supremi in nessun modo modificabili». Dossetti muore due anni dopo, alla fine del 1996, quando la breve esperienza del primo governo Berlusconi è terminata e a Palazzo Chigi è arrivato Romano Prodi. Come è noto, da allora di aggressioni la Costituzione ne ha dovute sopportare parecchie. E nulla fa pensare che siano terminate: l’allarme-appello di don Dossetti non ha mai perso la sua validità.

Come è possibile? I silenzi, le bugie, le omertà, i depistaggi di ieri e di oggi, non hanno solo ostacolato il lavoro di magistrati, giornalisti, studiosi e politici seri. Hanno anche contribuito a disinformare e disorientare, sistematicamente e senza sosta, l’opinione pubblica italiana. Lasciandola in balia dei reduci e degli eredi del sistema P2, spesso travestiti da “rinnovatori”. In quei primi anni ’90 – complice la pessima riforma televisiva firmata da Oscar Mammì (la cui approvazione provocò le dimissioni dell’allora ministro Sergio Mattarella) – all’intransigenza costituzionale incarnata da Giuseppe Dossetti, la maggioranza degli italiani venne indotta a preferire il trasformismo dei “cappellani di Arcore”. Non erano trascorsi nemmeno 10 anni dallo scandalo P2. Oggi forse, dopo tanta ingiustizia e tante sofferenze, a Bologna si sta (ri)scrivendo la vera storia dell’Italia contemporanea, anziché subirla. Non è un caso: da sempre è la città più odiata e più colpita dai fascisti, dai reazionari, dai traditori della Repubblica.

Tra i tanti malvagi “visti da vicino” che troviamo nelle oltre 200 pagine del libro, Bonsanti accende un riflettore su un personaggio emblematico, già citato nel precedente (2013) Il gioco grande del potere: il figlio d’arte Francesco Cosentino, che alcuni (inascoltati) testimoni, come la vedova del “banchiere di Dio” Roberto Calvi, hanno definito “il numero due della loggia P2”. Nato a Palermo il 22 luglio 1922, fin da ragazzo aveva ricalcato le orme del padre Ubaldo, segretario generale dell’Assemblea costituente e, dal 1948 al 1951, della Camera dei deputati.

È l’alba della Repubblica quando Cosentino jr appare, ahinoi, in una famosissima fotografia in bianco e nero che ha fatto la storia: quella che il 27 dicembre 1947 immortalò il Presidente Enrico De Nicola mentre sigla la neonata Costituzione antifascista. È lui quel giovane in piedi con gli occhiali, un po’ ingessato accanto ad Alcide De Gasperi. Si trova lì, a soli 25 anni, in quanto segretario particolare del primo Presidente della Repubblica. Una carriera in discesa. Tra il 1949 e il 1960, da consulente parlamentare dei Presidenti Einaudi e Gronchi, inizia a coltivare rapporti con l’ambasciata Usa a Roma; un luogo che diventerà familiare anche al suo compare aretino Licio Gelli. Fino ad arrivare a ricoprire il ruolo del padre: Segretario generale di Montecitorio tra il 1962 e il 1976, anno in cui, coinvolto nello scandalo Lockheed, sarà costretto alle dimissioni dal Presidente della Camera Sandro Pertini.

Sarebbe stato proprio Pertini – fa notare Bonsanti a pag. 133 – a pronunciare una frase che, letta oggi, è a dir poco raggelante: «Colpa di P2 è Cosentino». Siamo alla fine del 1982 quando Giulio Andreotti attribuisce, scrivendolo sul suo diario, questa grave affermazione al Presidente della Repubblica più amato dagli italiani. È davvero emblematico il personaggio Cosentino: la sua biografia dimostra come il virus dell’Antistato si fosse annidato nel corpo della Repubblica fin dalla culla. L’ultima volta che il suo nome è arrivato sulle cronache nazionali era il 2017. Il procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, riportò alla Commissione parlamentare Antimafia le parole del collaboratore di giustizia Gioacchino Pennino (medico, mafioso, massone): «l’ordine di eliminare Carlo Alberto dalla Chiesa arrivò a Palermo da Roma, dal deputato Francesco Cosentino».

Un’accusa da riscontrare, ovviamente; un’accusa terrificante. Sebbene – come fa notare Stefania Limiti all’autrice – la relazione finale della Commissione P2 non abbia dato particolare rilevanza alla figura di Cosentino, la presidente Anselmi ne ha però scritto nei suoi diari. È il 17 giugno 1982. Quella stessa notte a Londra, sotto il Blackfriars Bridge, viene suicidato Calvi. Cosentino sta rispondendo alle domande della Commissione: «Nel 1973 fui pregato da Crociani di far pervenire a Pecorelli trenta milioni, io lo feci fare a Mario Imperia». Soldi che dovevano servire a far cessare gli attacchi del direttore di “Op” agli amici di Andreotti. Per chi non lo sapesse Camillo Crociani (qua e là indicato anche come Cruciani) era un ex fascista di Salò che, da povero in canna nel dopoguerra, era diventato un uomo d’affari miliardario e, nel 1974, presidente di Finmeccanica. Condannato per corruzione in merito allo scandalo Lockheed, nel 1979 aveva lasciato l’Italia e si era rifugiato in Messico con tutta la famiglia. Lì muore di cancro il 15 dicembre 1980, lasciando un’eredità che ancora oggi rimbalza di paradiso fiscale in paradiso fiscale. Insomma: eccetto i morti, “sono ancora tutti lì”, come ebbe a dire Tina Anselmi conversando con Sandra Bonsanti.

Fermiamoci qui. Mancano poche settimane a un paio di anniversari importanti, che vorrei ricordare a chi ha avuto la pazienza di leggere fino a questo punto. Non ci sono solo magistrati, giornalisti, intellettuali, politici e politiche ad aver lottato, a testa alta, contro il mostro P2. C’è stato anche un grande artista, morto in povertà, quasi solo e quasi abbandonato. Il 25 giugno saranno trascorsi cinque anni dalla scomparsa del grande regista Giuseppe Ferrara. Se dovessi suggerire a un giovane curioso da dove partire per conoscere “da vicino” la P2, oltre a questo bel libro di Bonsanti, non avrei dubbi: il documentario P2 Story, realizzato da Ferrara nel 1985, è tuttora il miglior lavoro audiovisivo interamente dedicato alla P2; nonostante le rughe, resta una ricostruzione ineccepibile che dimostra quanto chiara fosse, già allora, la natura criminale e mafiosa della loggia interna al Grande Oriente d’Italia.

L’altro anniversario importante è il 40° compleanno dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna, fondata il 1° giugno 1981. Per una curiosa coincidenza del destino, il 1° giugno è anche il compleanno di Sandra Bonsanti e Gustavo Zagrebelsky. Tre buoni motivi per festeggiare. Una bella vigilia della Festa della Repubblica. Con tanti auguri all’Italia migliore. Quella che non è mai scesa a patti con i Belzebù e i Belfagor di craxiana memoria.

Fonte foto: antimafiaduemila.com

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