Professori e studenti, come si trasmette il sapere

26 Apr 2021

Gustavo Zagrebelsky Presidente Onorario Libertà e Giustizia

Segniamo, fin dall’inizio, queste due parole: trasmissione e escursione: due modi d’essere di professori e studenti che s’incontrano nella lezione. Un tema importante e problematico sempre e specialmente oggi quando le necessarie cautele sanitare hanno rimesso in discussione pratiche e abitudini didattiche inveterate. Questa è la sfida dal cui esito dipenderà che cosa i professori e gli studenti saranno nel prossimo futuro.

Etimo. Spesso l’etimologia è un buon ingresso in territori appiattiti dall’uso. Lezione – lectiolegere provengono dal greco légo che, prima che con la lettura ha a che fare con l’atto di raccogliere, radunare, mettere insieme e non a casaccio, ma selezionando. “Mettere insieme” che cosa? Non certo parole in libertà, ma discorsi con un senso.

Rivolti a chi? Non a un singolo, ma a un uditorio.

Nella lezione è implicito il carattere pubblico della parola, che si rivolge a persone che si sono “raccolte” con lo scopo di partecipare a “quella” lezione. Per questa ragione, la lezione si svolge in luoghi circoscritti e protetti dallo strepitus fori e inizia “facendo silenzio” dentro ciò che chiamiamo aula, non un luogo qualsiasi circondato da quattro muri, ma luogo – anche qui, secondo etimologia – dove spira un venticello di libertà.

Trasmissione. La prima parola segnalata è trasmissione: trasmissione da chi sa a chi non sa. Ma, se si riducesse a ciò, il suo prodotto di successo sarebbe il “dotto filisteo” di cui parlava Nietzsche: sa tutto ma è schiacciato dal peso delle “nozioni” e non capisce niente. La trasmissione – il sacco da riempire – è un passaggio tra due lati, uno attivo e l’altro passivo. Così intesa, la lezione, non solo è mortifera in ogni senso della parola; ha anche una funzione omologante: plasmare la mente di chi segue secondo la mente di chi precede.

L’istruzione nei regimi che mirano a creare “l’uomo nuovo” conforme a un ordine politico (i regimi totalitari) concepiscono la lezione in questo modo: controllo ideologico degli insegnanti, programmi elaborati dall’alto, libri di testo approvati dal “ministero”, titoli di studio come certificati di avvenuta omologazione. In breve: la lezione come trasmissione mira a produrre replicanti.

Digressione. La seconda parola: digressione, nel nostro contesto, significa non divagazione ma diversione o sconfinamento. Per chiarire il significato della lezione come digressione, mi avvalgo dell’immagine del tram e della passeggiata utilizzata da Pavel Florenskij, mistico, scienziato del permafrost, grande didatta, ucciso da Stalin nel 1937 non perché membro della dissidenza politica, ma perché fascinoso professore che aiutava a pensare.

Nel 1917, Florenskij spiegava in questo modo la sua concezione, diciamo così, “digressiva” della lezione (La lezione di una lunga passeggiata): «Il libro di testo è come un piano di lavoro per giungere a un risultato, una pianta topografica che indica un percorso, una di quelle che si tengono in mano quando si compie una gita di cui si conosce solo il punto di partenza e il punto d’arrivo. Il testo non cresce, è fatto da pezzi messi insieme, preconfezionati». La lezione, invece, non procede in linea retta: «Non è un tragitto su un tram che ti trascina avanti inesorabilmente su binari fissi e ti porta alla meta per la via più breve, ma è una passeggiata a piedi, una gita, sia pure con un punto finale, la meta, senza avere, tuttavia un’unica esigenza, un’unica finalità: arrivare alla meta».

Professori e studenti. Il professore, come gli studenti, nella passeggiata della lezione è anch’egli alla ricerca, è mosso dalla curiosità, dal pensiero improvviso, dal desiderio di fare una pausa e formulare a se stesso una domanda alla quale, forse, non aveva in precedenza pensato. Ammettere una lacuna, un’imperfezione, una dimenticanza, perfino un’ignoranza, non è forse il modo più degno di rendere omaggio alla scienza che il professore ha scelto come professione e di mostrare, di fronte al proprio oggetto, l’umiltà che è il contrassegno d’ogni persona di scienza? La lezione è un momento non “informativo” (per questo basta il libro di testo), ma – dice Florenskij – piuttosto “fermentativo”, ricco della soddisfazione, se non di scoprire cose nuove, almeno di toccare con le proprie mani e con la propria mente cose, anche se sono già state fatte e dette innumerevoli volte.

E c’è la prova della differenza che separa la mera trasmissione di materia dalla accensione delle menti: la noia. Che gioia, invece, quando all’inizio l’aula è distratta, se non ostile, e, a un certo momento s’accende d’interesse, fa silenzio senza che lo si chieda, e incominciano le reazioni: quelle reazioni di cui il buon professore non può fare a meno.

Esami e voti. L’esame, così com’è concepito, è qualcosa di assurdo e di degradante. Se dell’insegnamento si ha una concezione “materiale”, l’esame deve accertare quanta materia è passata dal professore o dal libro di testo alla testa dell’alunno. Il voto è il risultato della “pesa” di tale materia. Se fosse così, dovremmo premiare chi sa tutto e, magari, non ha capito niente. Dopo tanti anni d’insegnamento sono giunto a considerare la necessità di abolire l’esame così come spesso è. E tuttavia non può essere abolito tout court. Ma, se ricordiamo la distinzione tra materia e spirito, così importante nelle professioni intellettuali, dobbiamo trarre la conseguenza che l’esame deve accertare primariamente se il tempo dedicato allo studio ha o non ha alimentato lo spirito, l’ha o non l’ha messo in movimento. Se questo genere di accertamento è lo scopo dell’esame, si comprende quanto sia assurdo il voto. Ma, se invece si deve accertare se la scintilla è scoccata e se l’interesse è stato suscitato, allora ci sono solo due possibilità: o sì o no. Non può essere che sia scoccata poco o molto.

In presenza. A distanza. Oggi, complici i confinamenti in casa, la lezione rischia di perdere i suoi caratteri più fecondi. Innanzitutto, i professori e gli studenti a tu per tu con uno schermo sono collocati, volenti o nolenti, in uno spazio asettico nemico delle contaminazioni. Le contaminazioni sono pericolose per la salute fisica, ma sono feconde per la salute mentale.

Per di più, rischia di ridursi a una comunicazione da uno a uno che può essere “scaricata” dove e quando si vuole: “scaricata” rende bene l’idea della conoscenza come materiale di trasporto. L’idea della scuola e, nella scuola, della lezione come esercizio di socialità a partire da interessi comuni, lo si vede a occhio nudo, è esposta a rischio d’estinzione. La lezione a distanza consente anche agli studenti che, per i più vari motivi, sarebbero esclusi dalla frequenza alle lezioni “in presenza”.

Ma occorre vegliare affinché l’uguaglianza, che è un grande obbiettivo anche, forse soprattutto, nel campo della scuola, non si traduca in livellamento verso il basso e, soprattutto, non riduca il rapporto tra gli insegnanti e gli studenti a un rapporto fittizio, inanimato, noioso. Se c’è cosa che più di tutto dimostra il fallimento della scuola è la noia. Nell’epoca della “riproducibilità tecnica” delle opere dell’ingegno si pongono problemi non solo per le opere d’arte, ma anche per quelle “opere” che sono le lezioni che la scuola può offrire. Difenderle dalla “tecnicizzazione” dipende da coloro che ne comprendono il significato e il valore.

La Repubblica, 19 aprile 2021

Fonte foto: Lecceprima.it

Nato a San Germano Chisone (To) il 1° giugno 1943. Laureato a Torino, Facoltà di Giurisprudenza, nel 1966, in diritto costituzionale, col professor Leopoldo Elia.

  • Professore di diritto costituzionale e diritto costituzionale comparato alla Facoltà di Giurisprudenza e alla Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Sassari dal 1969 a 1975.
  • Professore di diritto costituzionale comparato alla Facoltà di scienze politiche dell’Università di Torino dal 1975.
  • Professore di diritto costituzionale alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino, dal 1980 al 1995.

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