Da dove riparte la sinistra/Viviamo in una società ingiusta

12 Apr 2021

“Forse non tutti sanno che” è tra le rubriche storiche della Settimana enigmistica. Diciamo che si contende la palma delle stravaganze con l’altra, “Strano ma vero”. Lì dentro può capitare di scoprire curiosità bizzarre. Tipo cosa disse Colombo al nostromo la mattina dell’avvistamento della costa o quando Einstein perse a scacchi col nipote di nove anni. Tutte conoscenze senza le quali si è perfettamente in grado di sopravvivere, ma questo non impedisce di scorrere il repertorio catturati dall’imprevisto degli aneddoti.

Leggendo qualche giorno fa l’editoriale doloroso di Jonathan Bazzi veniva da pensare a quante ricadute “strane ma vere” la pandemia ci sta consegnando e siccome “forse non tutti sanno che” succede, non pare inutile scomodarne alcune. In poco meno di un anno (da febbraio a dicembre 2020) il mondo ha conosciuto una distruzione di reddito pari a 250 miliardi di dollari. All’indomani della grande crisi del 2008 quello stesso dato ammontava a 100 miliardi spalmati in ventiquattro mesi.

Ricchi ricchissimi. Questa mannaia è calata sulla testa di una “parte” di mondo (compresa la mamma di Jonathan), ma non su “tutto” il mondo. Per parecchie volpi della finanza, infatti, l’epidemia si è tradotta in una impennata di profitti. Secondo la rivista Forbes, le 500 persone più ricche sulla Terra hanno visto il loro patrimonio incrementarsi di 1.800 miliardi in pochi mesi. Oggi quell’ammasso di ricchezza concentrata in (relativamente) poche mani ammonta a 7.600 miliardi, che poi sarebbe l’equivalente della somma dei Pil di Francia e Germania.

Il conto corrente di Jeff Bezos ha cumulato circa 70 miliardi di dollari, elevando di oltre la metà il gruzzolo precedente. Meglio di lui ha fatto Elon Musk passando da 25 a 153 miliardi di dollari. Nel valore di Borsa Facebook ha guadagnato l’85 per cento. Un anno di pandemia ha polarizzato la ricchezza in una misura imprevista. Chi pensa che dove molto si guadagna, il giusto si restituisce sotto forma di tasse e imposte rischia di cadere in errore, ma in questo caso la pandemia non c’entra. O c’entra di sbieco. Nel 2019 Netflix ha pagato in Italia meno tasse di un lavoratore dipendente. Nello stesso anno Amazon ha versato meno di 11 milioni con un fatturato di un miliardo. Microsoft 16 milioni, Google 6, eBay 145mila euro. Nel complesso i primi quattro cinque gruppi big tech hanno fatturato in Italia 3 miliardi e 300 milioni pagando tasse e imposte per meno di 70 milioni. Sempre parlando di fisco, e guardando invece a chi se la passa molto, ma molto peggio, converrebbe rivedere il prelievo eccessivo conseguito dall’Irpef nella sua modulazione attuale.

Un contribuente italiano, lavoratore dipendente, che abbia un reddito lordo di 35mila euro, un coniuge e due figli, paga 6.695 euro all’anno. In Spagna la cifra scenderebbe a 5.402, in Germania a 1.250 e in Francia a solo 600 euro per effetto del quoziente familiare. Se parliamo della tassa di successione l’Italia a buon diritto può fregiarsi del titolo di paradiso fiscale. L’aliquota applicata è pari al 4 per cento, ben lontana dalla media Ocse fissata al 15. Ancora più distante da quella tedesca che corrisponde al 30 per cento e quella francese ferma al 45. Da tempo c’è chi suggerisce di stabilire una soglia di esenzione non banale: 500mila euro. Con la possibilità, da lì a salire, di una sequenza di aliquote progressive. Più che un saccheggio parrebbe una norma di equità, a meno di considerare le principali cancellerie sparse nel resto del continente incarnazione dello sceriffo di Nottingham.

Ancora a proposito di “chi tutto, chi niente”, un paio di milioni di cittadini italiani detengono circa 190 miliardi di euro su tre milioni di conti esteri (stima della Rete internazionale di scambio automatico). Essere in debito Nel 2020 per la prima volta il debito pubblico a livello globale ha superato la produzione del Pil con un rapporto salito al 101,5 per cento. In questo caso la pandemia ha avuto un ruolo fondamentale. Nel 2019 solo 19 paesi conoscevano un rapporto debito Pil superiore al 100 per cento (l’Italia, come noto, era e resta ai primissimi posti). Con l’epidemia sono cresciuti di altre undici nazioni. Il debito dei paesi che fanno parte del G7 è passato dal 118 al 141 per cento, quello dell’area euro dall’84 al 101 per cento. Quanto al debito privato, in un anno è arrivato al 365 per cento del Pil del mondo. Che la pandemia spaventi gli animi è sotto gli occhi.

Tra le reazioni di questa paura una si porta appresso diverse conseguenze ed è il congelamento delle risorse. Nel mese di ottobre dell’anno passato la liquidità sui conti correnti è cresciuta di 32 miliardi di euro, l’insieme dei depositi ha superato i 1.700 miliardi nei primi nove mesi dell’anno. Anche le imprese hanno reagito, comprensibilmente, con un incremento dei depositi bancari pari al 21 per cento. Tradotto: la tragedia del Covid ha visto un pezzo di società capitolare, un altro (molto più ridotto) far profitti, un terzo risparmiare in vista di un domani migliore.

L’insieme dei dati e delle tendenze in atto renderà più acuta la caratteristica italiana di compensare i vuoti del pubblico con la supplenza di un welfare familiare ad alto tasso di ereditarietà. Un altro tassello del transito relativamente veloce da una società meritocratica a una patrimoniale (su Domani lo ha ben descritto Nicola Lacetera). Molti, troppi, dipendono dalla generazione che li ha preceduti. Un indicatore aiuta a capire: nel 1995 il valore di eredità e donazioni ammontava all’8,4 per cento del Pil. Nel 2016 (ultimo dato a disposizione) si era arrampicato al 15,1 per cento e rappresentava quasi il 20 per cento del reddito disponibile delle famiglie. Volendo scorgervi una morale, diciamo che torna a mente il famoso pollo di Trilussa: a chi due (ben cotti), a chi solamente l’idea.

L’ultimo rapporto Censis descrive alcune fratture sociali legate alla pandemia. Una scava il solco tra dipendenti pubblici (e pensionati) da una parte e autonomi, precari, irregolari dall’altra. Nell’universo del lavoro autonomo a mantenere lo stesso reddito di prima della tragedia sanitaria è stato meno di un lavoratore su quattro. Diversa la sorte degli oltre tre milioni di dipendenti pubblici e dei sedici milioni di pensionati dai quali (e siano ringraziati per ciò) è continuato a dipendere in buona misura il sostegno tramite il fisco (Iva e Irpef) dei servizi essenziali di cura e assistenza.

Pandemia e scuola Tornando a Trilussa, ancora il Censis certifica come in Italia siano 1.496.000 le persone con una ricchezza superiore al milione di dollari (circa 840mila euro). Sarebbe il tre per cento della popolazione ai quali toccherebbe in dote il 34 per cento della ricchezza totale. Non è propriamente facile convincere gli uni (quelli in alto alla scala) e gli altri (quelli relegati in cantina) che l’unità e solidarietà soprattutto nei momenti di crisi passano da un di più di vicinanza e coesione. Per il fatto complicato che quelle esistenze vicine e coese non sono.

Per finire, sempre il Censis ha indagato gli effetti pandemici sul mondo della scuola. E lì su 2.800 dirigenti intervistati solo l’11,2 per cento ha detto di riuscire a coinvolgere nella didattica tutti gli studenti. Più del 53 per cento dei presidi dichiara che con la Dad (didattica a distanza) è praticamente impossibile coinvolgere appieno i ragazzi con bisogni educativi speciali mentre il 37,4 teme di non poter contrastare a sufficienza dispersione scolastica e povertà educativa. Ne esce un quadro allarmante dove la pandemia, tra le sue mille maledizioni, ne somma la peggiore: rende più profonde le discriminazioni e disuguaglianze del nostro sistema di formazione. Purtroppo, la lettura di questi dati non somiglia se non per scansione a quelle brillanti rubriche d’intrattenimento, tra un cruciverba e una sciarada.

Sono, invece, la fotografia parziale, ma drammatica, di un paese, il nostro, e un modello sociale e di profitto (l’occidente) che ci scortano in un tempo per molti versi sconosciuto. Ignoto, come giustamente lo battezza Alessandro Volpi in un prezioso pamphlet (Viaggio al temine della crisi. L’economia e l’ignoto, Altreconomia 2021), volume al quale i dati qui ripresi sono debitori. Ecco, se alla politica e alla sinistra una domanda si pone, quella è “da dove ripartire”.

E siccome soluzioni e risposte non s’ improvvisano, sarà bene predisporsi a far come in quell’altro ameno esercizio, congiungere i puntini dall’1 al 46 e vedere la figura che appare. Ma noi, anche senza brillare di fantasia, l’immagine la conosciamo già: una società squilibrata e ingiusta. Il che dovrebbe bastare a riporre la rivista e riprendere il mare.

Domani, mercoledì 7 aprile 2021

Supportaci

Difendiamo la Costituzione, i diritti e la democrazia, puoi unirti a noi, basta un piccolo contributo

Promuoviamo le ragioni del buon governo, la laicità dello Stato e l’efficacia e la correttezza dell’agire pubblico

Leggi anche

Le scuole di Libertà e Giustizia

L’Unione europea come garante di democrazia, pace, giustizia

In vista della legislatura 2024-2029, l’associazione Libertà e Giustizia propone sette incontri sul ruolo del Parlamento europeo e le possibilità di intervento dei singoli cittadini e delle associazioni

Approfondisci

Newsletter

Eventi, link e articoli per una cittadinanza attiva e consapevole direttamente nella tua casella di posta.