Sandra Bonsanti, Quel giorno a Villa Wanda tra i misteri di Licio Gelli

18 Mar 2021

Arezzo, 21 aprile 1988. La primavera, fuori, è un’esplosione mentre Sandra Bonsanti varca i cancelli di Villa Wanda, il regno delle tenebre di Licio Gelli sulla collina di Santa Maria delle Grazie. Gli elenchi con i 962 iscritti alla P2 sono stati scoperti a Castiglion Fibocchi dai magistrati Giuliano Turone e Gherardo Colombo ormai sette anni prima; da quattro la commissione parlamentare presieduta da Tina Anselmi ha terminato i suoi lavori. 

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La loggia è ufficialmente sciolta, ma l’impressione è che la sua storia sia tutt’altro che conclusa. Bonsanti, cronista senza taccuino – l’intervista non è stata concordata; l’occasione è un servizio fotografico per “Il Venerdì di Repubblica” – registra mentalmente ogni dettaglio dell’incontro: i modi intimidatori del Venerabile, la richiesta di una foto a braccetto, un riferimento a un caffè col padre Alessandro che, la giornalista ne è certa, non c’è mai stato. 

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Quel racconto occupa una delle pagine più inquietanti di “Colpevoli. Gelli, Andreotti e la P2 visti da vicino”, il libro che Bonsanti ha scritto con Stefania Limiti per Chiarelettere a 40 anni dal ritrovamento dei documenti di Castiglion Fibocchi, di cui proprio oggi ricorre l’anniversario. Un resoconto del suo lavoro sulle tracce della loggia e del coinvolgimento di quest’ ultima in alcuni degli episodi più bui della storia italiana del secondo Novecento: dalle bombe sui treni alle stragi di mafia, dal caso Moro all’affaire Sindona. 

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Per smascherare ciò che Norberto Bobbio definiva «inammissibile» in una democrazia: un « potere invisibile che agisce accanto a quello dello Stato, insieme, dentro e contro». «Ho sempre avuto nella mente – racconta Bonsanti – il contrasto tra la primavera dirompente e le parole di Gelli, l’interno della villa, tutto ciò che quel luogo significava. Due momenti in particolare mi colpirono: lui che mi riconosce, mi dice di aver “bagnato di lacrime” i miei articoli; e poi il suo infuriarsi di fronte all’accusa di avere a che fare coi neofascisti toscani. Eppure, erano quei “ragazzini” che lui finanziava ad aver messo le bombe che avevano ucciso tanti innocenti ». 

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E proprio il legame col terrorismo di destra rappresentava per Gelli un nervo scoperto: «Lui, che trattava con generali e capi di Stato, sapeva che quello era un suo punto debole, come del resto sta emergendo dalle indagini sulla stazione di Bologna che ipotizzano il suo finanziamento della strage». Un coinvolgimento della P2 rintracciato dalla commissione Anselmi anche nella strage dell’Italicus del 4 agosto 1974, 12 vittime, tutt’ oggi senza colpevoli. 

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«L’Italicus fu un momento determinante nel mio percorso di giornalista – ricorda Bonsanti – perché proprio alla mia scrivania, a “Epoca”, si presentarono nel dicembre del ’75 due giovani evasi dal carcere di Arezzo, Aurelio Fianchini e Felice D’Alessandro: volevano denunciare che i responsabili della strage erano i terroristi neri Luciano Franci, Mario Tuti e Piero Malentacchi». 

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Arezzo, cuore dell’eversione nera nella Toscana rossa. E al tempo stesso la città «ai piedi di Licio Gelli». Quella di Villa Wanda, della Banca Etruria dove «venivano versate le quote delle iscrizioni alla P2». E dove il genero del Venerabile, Mario Marsili, faceva il procuratore. «C’è tanto ancora da chiarire », osserva Bonsanti, prima di citare un episodio particolare: «Ci fu questo momento durante il sequestro Moro, nel 1978, in cui arrivò da parte del questore Emilio Santillo la richiesta di andare a controllare cosa stesse succedendo dalle parti di Arezzo. Come era venuto in mente a un uomo dello Stato, che aveva il suo ufficio al Viminale, che qualcosa potesse accadere proprio lì? E questo non può non riportarci al fatto che le indagini durante il rapimento erano in mano agli uomini della P2, il gruppo che ruotava intorno a Cossiga, che studiava cosa fare per salvare, in teoria, Moro era fatto di iscritti alla loggia. Ci sono tanti dubbi che ancora mi frullano nella testa e ai quali non so dare una risposta». 

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Licio Gelli, detto da Craxi “Belfagor”, è morto nel 2015. Giulio Andreotti, per molti il suo “Belzebù”, nel 2013. E nel 2016 se ne è andata anche Tina Anselmi. Eppure, nonostante la scomparsa di tanti suoi protagonisti, la storia raccontata da Bonsanti appare più viva che mai: «È come se non finisse mai. Ho letto con grande interesse i diari segreti di Andreotti, colpisce la psicologia di questa persona che non riesce a nominare la parola “strage”, preferisce “misfatti”. C’è stata un’intera generazione politica, non solo Andreotti, che forse avrebbe potuto bloccare quello che stava accadendo, denunciare, dire basta. In questo senso li definisco colpevoli, e non posso accettare che ci sia chi oggi chiede l’oblio. Se non c’è stata giustizia, non si può dimenticare. Se dimentichiamo, chi ci assicura che quei centri occulti non esistono più?». 

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Ma ” Colpevoli” è anche una storia di donne. Anselmi, la pm Elisabetta Cesqui, la stessa Bonsanti armata dei suoi quaderni: «Mi sono sentita intimidita? A volte. Facevo questo lavoro e nel frattempo avevo tre figlie, venivo da una famiglia in cui si parlava di letteratura e poesia. Ma c’è un’altra donna in questa storia a cui devo tanto ed è Luisa Banti, mia insegnante di Etruscologia all’Università di Firenze. È lei che mi ha insegnato a essere sospettosa, a cercare il falso, a mettere in discussione la versione ufficiale. E questo ho sempre cercato di insegnare a mia volta ai giovani giornalisti». 

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La Repubblica (Firenze), 17 marzo 2021

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