BASTA INUTILI RETROSCENA SU CONTE, ORA IL “FUTURO”

08 Dic 2020

In questo Paese di poeti e naviganti, retroscenisti e visionari non è soltanto giusto, ma è anche assolutamente doveroso criticare il capo del governo per non avere una visione. Poi, correttamente, i critici diranno alti e forti i nomi dei numerosi visionari di questo Paese, ingiustamente tenuti ai margini.

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Qualcuno dovrà anche spiegare in che modo chi individua la differenza fra debito buono e debito cattivo stia già delineando la società giusta, o no? Nel frattempo, fioccano le richieste, più o meno motivate, di rimpasto nel governo Conte.

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I più ambiziosi e più visionari vorrebbero anche giungere a colpire il bersaglio grosso: il presidente del Consiglio in persona. Al conseguimento di questo obiettivo giova avvalersi di quanto rivelano i sondaggi, cito il titolo del Corriere della Sera (28 novembre, p. 19): Cala ancora il gradimento per Conte.

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Mi sono subito dedicato a una attenta lettura dei dati riportati (e interpretati) da Nando Pagnoncelli, sondaggista esperto e degno di stima. Il 55 per cento degli italiani conferma il suo gradimento per Conte, tre punti in meno rispetto a un mese fa, ma tre punti in più rispetto al 26 settembre del 2019 (dati tutti opportunamente riportati da Pagnoncelli).

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Quanto al governo, 52 per cento di approvazione, tre punti meno di un mese fa e 7 punti in più di un anno fa. Peraltro, poiché oramai siamo tutti (sic) diventati professionisti nella lettura dei sondaggi, non ci facciamo influenzare dalle variazioni a meno che siano superiori al margine di errore che, unanimi, sondaggisti e studiosi situano fra il +2 e il -2.

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Allora guardiamo al trend e siamo costretti (sic) a rilevare che c’è un declino per Conte e il suo governo tra luglio e oggi, ma rimangono dati molto favorevoli rispetto a un anno fa e nel confronto con i predecessori di Conte. Ad esempio, nel settembre 2015 Renzi era sceso dal 47 al 38 per cento di gradimento rispetto a un anno prima e il suo governo era al 36. Meglio aveva fatto il suo successore Paolo Gentiloni il cui gradimento personale era al 43 per cento (stesso livello del suo governo) nell’agosto 2017. Quindi, 12 punti meno di quanto ottenuto da Conte in piena pandemia. 

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Forse, qualsiasi discussione del futuro di Giuseppe Conte e del suo governo dovrebbe tenere in qualche considerazione queste cifre. Invece gli si imputa come colpa grave quella di arroccarsi, mentre, ho letto sul Domani, i capi dei partiti di governo sono in “stallo messicano”, cioè, fermi in una desolata piazza Montecitorio a guardarsi negli occhi con la mano sulla pistola.

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Continuando a leggere ho scoperto, nel pregevole articolo del quirinalista Marzio Breda, che il presidente Mattarella ha fatto trapelare che, se stallo messicano c’è, allora anche lui dispone di sue armi personali e istituzionali ed è pronto a usarle. Sono armi che tiene costantemente oliate, tutte appropriatamente collocate nella Costituzione formale, quella scritta, e nella Costituzione materiale, quello che si è fatto nel passato e quello che è possibile fare senza violare la Costituzione scritta, avendo come stella polare la stabilità e la funzionalità del governo.

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Cambiare un ministro, forse due, si può. È una prerogativa del capo del governo che dovrebbe addirittura essere sostenuto e applaudito da tutti coloro che ossessivamente dichiarano che il non farlo è segno di debolezza dei presidenti del Consiglio, non Primi ministri italiani. Rimpasto è un’operazione più complessa che, naturalmente, merita di essere opportunamente motivata e giustificata e soprattutto non dovrebbe presentarsi come un gioco dei quattro cantoni (musical chairs direbbero gli anglosassoni).

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Qualsiasi operazione che vada oltre questi limiti implica una vera e propria messa in discussione del governo. Sarebbe il momento peggiore proprio mentre, da un lato, tutti sanno che è il tempo del completamento e della presentazione dei programmi del governo per ottenere gli ingenti fondi Next Generation Ue, dall’altro, che le autorità europee hanno dato mostra di avere fiducia in Conte e, quindi, sarebbero molto deluse sia da un’eventuale crisi di governo sia, ancor più, da una sua, peraltro complicatissima sostituzione (ma anche da un suo ridimensionamento).

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Potremmo concluderne che, insomma, è davvero ora di parlare di programmi, stesura e attuazione e, con Shakespeare, che se ne intendeva, il resto è silenzio.

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Il Fatto Quotidiano, 2 dicembre 2020

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