Caro Pd, con il Sì al Referendum, sei fuori strada

04 Set 2020

Nadia Urbinati Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

Pochi giorni fa Andrea Orlando, vicesegretario del Pd, ha dichiarato che “Il Pd darà l’indicazione di votare Sì. Non possiamo dare indicazioni diverse, dopo aver votato alle Camere, 4 volte DI al taglio dei parlamentari”. Trovo che questo sia un richiamo alla coerenza fuori luogo, prima di tutto perché si può sempre cambiare idea e poi perché la stessa coerenza dovrebbe valere per l’alleanza con i 5stelle, sulla quale il Pd ha cambiato, eccome!, idea e posizione. Infine, se ha senso fare appello alla coerenza sarebbe auspicabile che questa venisse tributata alla Costituzione prima, e poi alle convenienze di partito. La dichiarazione di voto per il No di Gianni Cuperlo è per questo più coerente di questa ufficiale del Pd.

Caro Pd, con questo appello a votare SI sei fuori strada. Lo sei come lo sei stato in occasione del referendum del 4 dicembre 2016, e lo sei anche se il Sì vincesse. Lo sei perché faresti un pessimo servizio all’istituzione parlamentare, alla nostra rappresentanza e al nome che porti.

Ho fin qui pensato che il Pd avesse accettato la logica di “tagliare la casta” dei grillini (a prescindere dalla legge elettorale) per il solo scopo di siglare questa maggioranza di governo. Una ragione strumentale ma che lasciava aperto lo spiraglio della coerenza ai principi della democrazia rappresentativa. Credo di essermi sbagliata. Ora penso che le cose siano più opache.

Penso che il Pd sappia molto bene che la posta in gioco del taglio dei parlamentari sia molto appetibile per le dirigenze dei partiti, le quali verrebbero ad acquistare un potere ancora maggiore, a prescindere dal legame con gli elettori che si farebbe più labile e aperto alla discrezionale (per esempio, rendendo più agevole ascoltare i più potenti e forti).  Ho scritto in un precedente articolo uscito su Huffington Post che questo taglio del 36.50% fa il gioco della casta: infatti, non ci vuole molto ingegno a capire che, come ogni competizione che prevede un piccolo numero di vincitori e un largo numero di candidati, si genera un gruppo di eletti più esclusivo e privilegiato. Pessimo servizio alla democrazia, oltre che ad un’equa rappresentanza.

Il piccolo gruppo ha odore oligarchico. Chi ha sensibilità democratica conosce molto bene questa logica e cerca di attutirla o correggerla, sia edificando partiti strutturati che siano di raccordo tra cittadini ed eletti, sia cercando di mantenere collegamenti costanti tra elettori ed eletti. E nessuna di queste due condizioni i nostri nemici della casta hanno intenzione di fare. E così, a fronte di tutti coloro che si appellano alla coerenza e di tutti coloro che si appellano ai padri nobili del Pci, per esempio Nilde Iotti, io vi propongo le parole del Migliore. Furono pronunciate in Assemblea Costituente nella seduta del 23 settembre 1947. Così recitano i verbali (e dobbiamo ringraziare Left per averli ripubblicati):

“Togliatti Palmiro, comunista, dichiara che il suo gruppo voterà per la cifra più bassa per due motivi. In primo luogo perché una cifra troppo alta distacca troppo l’eletto dall’elettore; in secondo luogo perché l’eletto, distaccandosi dall’elettore, acquista la figura soltanto di rappresentante di un partito e non più di rappresentante di una massa vivente, che egli in qualche modo deve conoscere e con la quale deve avere rapporti personali e diretti”.

Togliatti diceva esattamente quel che da qualche secolo i filosofi e gli scrittori politici avevano messo ben in chiaro: ovvero che l’elezione crea “un’aura aristocratica” (parole di J.S. Mill) che deve essere scongiurata. Il modo di scongiurarla segna la storia e i tempi del governo parlamentare. Nell’Ottocento, l’età del Parlamento eletto da pochi e identici negli interessi, quel problema veniva scongiurato con le assemblee dirette e periodiche tra eletti ed elettori. Nel Novecento, era del suffragio universale, venne scongiurato con la proporzione bassa tra elettori e seggi parlamentari e con i partiti politici organizzatori di partecipazione e di raccordo con la società. A questa seconda schiera apparteneva Togliatti, che in aggiunta ebbe l’acune di comprendere molto bene che anche con i partiti di massa che organizzano e guidano i cittadini, è prudente tenere la proporzione tra elettori e seggi parlamentari bassa, perchè la proporzione alta darebbe potere alle segreterie dei partiti sopra la nazione, e ai notabili sopra agli stessi partiti organizzatori di partecipazione e gli elettori.

Nell’età della democrazia dell’audience e dei partiti cartellizzati, ovvero che vivono solo nelle e di istituzioni, la proporzione tra eletori e seggi deve essere alta: questo corona la tendenza oligarchica e castale della democrazia post-partitica. Il Pd votando SI si dichiara perfettamente omologato a questa deriva.

www.strisciarossa.it

Politologa. Titolare della cattedra di scienze politiche alla Columbia University di New York. Come ricercatrice si occupa del pensiero democratico e liberale contemporaneo e delle teorie della sovranità e della rappresentanza politica. Collabora con i quotidiani L’Unità, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano e con Il Sole 24 Ore; dal 2019 collabora con il Corriere della Sera e con il settimanale Left.

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