Meno di un euro, nemmeno un caffè all’anno. E’ questo il risparmio che ogni cittadino italiano potrà attendersi dal taglio dei parlamentari che sarà oggetto di referendum confermativo il 20 e 21 settembre prossimi.
Iniziata una dozzina di anni fa come puritana ribellione verso un ceto politico ingordo di privilegi, la lotta alla casta giunge così al suo infimo epilogo. In origine la crociata poteva rivendicare risparmi un po’ più consistenti, come ad esempio la stretta di 700 milioni sulle famigerate auto blu. Oggi deve accontentarsi di un più magro bottino: dall’annunciato taglio dei parlamentari verranno meno di 60 milioni. Ma a ben guardare, nemmeno ai suoi esordi la guerra alla casta ha avuto la benché minima rilevanza macroeconomica. I tagli più rilevanti ai privilegi del ceto politico, effettuati sotto l’austerico governo Monti, non hanno mai raggiunto il millesimo della spesa pubblica nazionale. Una roboante propaganda su risibili voci di contabilità, insomma.
Si potrebbe obiettare che per soddisfare la brama popolare di vendetta contro un ceto politico reputato inetto e distante, la rilevanza macroeconomica dei tagli sia in fondo secondaria. Ma allora, perché questa risibile insistenza sul risparmio per le casse pubbliche? Il motivo è presto detto.
La verità è che le strette sulle poltrone, sui viaggi e sulle buvettes dell’odiata casta politica sono state un alibi ingegnoso per far passare ben altri tagli ai fondi pubblici, che hanno provocato danni incalcolabili alle infrastrutture, alla ricerca, all’istruzione e anche alla sanità pubblica, come ormai purtroppo sappiamo. Sapere dei tagli al ristorante di Montecitorio ha reso più tollerabile il clima generale di austerity, ridurre l’odiato parlamentare alla questua ha reso più accettabile la dura quaresima per tutti.
Le rivalse anti-casta vanno quindi valutate per quel che sono: un oppio del popolo per intorpidire le menti e giustificare il più reazionario ordine di politica economica che si sia imposto nella storia repubblicana. Oggi è il turno dei pentastellati, peraltro appoggiati da quasi tutto l’arco parlamentare. Ma dai democratici alle destre forcaiole, appoggiate dalla grande stampa tutte le forze di governo hanno abusato in questi anni del venefico oppiaceo. E gli effetti sono sotto i nostri occhi. I politici si ritroveranno pure con meno scranni e meno rimborsi, ma è solo un diversivo: quel che conta è che la politica generale di austerity ha allargato la forbice macroeconomica tra ricchi e poveri, in particolare tra percettori di profitti e rendite da un lato e lavoratori salariati dall’altro. Alla fine, la vendetta sociale ha operato in direzione esattamente contraria a quel che si crede.
Eppure a quanto pare non ci siamo ancora svegliati dal torpore. La drogante propaganda anti-casta continua a circolare e c’è il rischio che faccia i suoi danni anche al prossimo appuntamento referendario. Con un risvolto particolarmente ridicolo, questa volta. Andremo infatti a votare nel mezzo di una colossale crisi economica, che sta determinando la più rapida caduta della produzione e del reddito che si sia registrata nella storia del capitalismo. Per arginare la catastrofe i governi hanno dovuto per forza dare sfogo alla spesa pubblica e al deficit di bilancio.
Nella sola Italia il disavanzo statale aumenterà di un centinaio di miliardi rispetto all’anno scorso. E non si immagini che le cose torneranno rapidamente al loro posto. Persino l’ex presidente della Bce ha ammesso che con l’esplosione dei debiti pubblici dovremo convivere e che per lungo tempo toccherà alle banche centrali governare i mercati per garantire la sostenibilità dei bilanci. In questo gigantesco rivolgimento della politica economica, la scena dei tagliatori di scranni parlamentari che si rallegrano per un risparmio di un euro scarso all’anno per ogni cittadino risulta semplicemente patetica.
Per giunta, se la riforma costituzionale sarà approvata, ci ritroveremo con un solo parlamentare ogni 151 mila cittadini, il più basso livello di rappresentanza politica in rapporto alla popolazione nell’Unione europea. Sappiamo bene che la crisi della rappresentanza si può risolvere solo con una espansione e un radicamento capillare della democrazia: un tempo si parlava di democrazia progressiva, di conquista delle casematte dello Stato. Invece a settembre ci toccherà votare sull’ennesima ipotesi di restringimento del perimetro democratico. Se al referendum vincerà il sì brinderanno solo le oligarchie finanziarie: meno deputati ci saranno, meno costerà fare lobbying.
Sostenuta dai potentati mediatici e finanziari, la propaganda anti-casta di questi anni è stata dunque solo una delle forme fenomeniche della reazione anti-statuale. In essa non c’è nessuna rivoluzione giacobina, nessun furore rosso. Se non si ferma questa bieca vandea liberista, al prossimo giro qualcuno magari proporrà di trasformare l’aula sorda e grigia in un bivacco di manipoli. E ci mostrerà fiero gli spicci risparmiati, mentre distrugge quel che resta dello stato sociale.
l’Espresso, 28 giugno 2020
LA LOTTA ALLA ‘CASTA’, ALIBI PER L’AUSTERITY
Le argomentazioni possono essere tranquillamente rovesciate.
Il risultato della politica è senza dubbio insoddisfacente non tanto per quanto vengono pagati i rappresentanti ma per la insufficiente influenza che riesce ad avere nel creare buona società, anzi è opinione molto affermata che l’influenza sia addirittura negativa. Contrapporsi ad un attacco alla così detta “Casta” utilizzando la pochezza degli argomenti, sospinge l’opinione pubblica contraria alla stessa per ben altre motivazioni a schierarsi contro coloro che giustamente colpevolizza. Secondo me se il sistema rappresentativo lo si difende cogliendone i difetti e chiedendo accorgimenti per farlo funzionare con una tendenza a migliorarsi nel senso di promozione di buona società. Mi sembra che serva studiare, in qualche modo, l’evoluzione storica: L’attuale sistema rappresentativo ebbe inizio nel dopo-guerra e si fondò sulle regole della Costituzione per quanto riguarda le logiche istituzionali e i principi dei diritti dei cittadini. La modalità di elezione attraverso le votazioni fu stabilita come criterio funzionale ad esprimere la classe dei rappresentanti le istanze dei cittadini. La comunità si presentava naturalmente suddivisibile in classi di individui capaci di accomunarsi in ragione del proprio stato di vita e di vissuto. Fu ambiente adatto a creare schieramenti ideologici, attraverso i quali chi aspirava a partecipare diventando rappresentante delle istanze trovò sia le logiche di convincimento sia per sé stesso sia per convincere i cittadini più propensi e farsi votare. Indipendentemente dai partiti politici e perciò dalle specifiche ideologie, queste agirono quindi come un atto di fede per il quale gli aderenti che fossero elettori od eletti erano sospinti a comportamento il più possibile ineccepibile. Questa logica non era conseguenza né di regola Costituzionale per le Istituzioni né per i diritti dei cittadini ma riguardava profondamente il buon comportamento di tutti, essenziale alla buona società. Credo che la tendenza al peggioramento continuo della società attuale dipenda proprio dalla caduta delle ideologie amalgama che agiva all’interno degli schieramenti rafforzandoli e rendendoli attraverso la società volta al proprio miglioramento pilastri delle Istituzioni. All’ideologia si è sostituito il denaro come fosse strumento alle stesse comparabile. Il denaro è sicuramente un fattore enorme di convincimento individuale, ma è costruttivo solo di sé stesso certamente non di buone relazioni. A quali regole dobbiamo sottoporlo per indirizzare diversamente le logiche dei partiti e così dei cittadini e dei loro rappresentanti? Come si sostengono i partiti economicamente? Perché il cittadino straricco ha il diritto di farsi un partito personale? Non dobbiamo porci il problema che oramai tutti i partiti sono condizionati da entità danarose. Oramai chi ci governa? I governanti o la cerchia di chi detiene potere finanziario? Rispondere a queste domande significa trovare soluzioni dei nostri problemi.