Piketty, “L’Ue cambi ora: le disparità sociali vanno abbattute”

Piketty, “L’Ue cambi ora: le disparità sociali vanno abbattute”

Parigi – «Questa crisi esprime purtroppo in modo eclatante la violenza delle diseguaglianze sociali e quindi l’urgente necessità di trovare un altro modello economico». Thomas Piketty non ha aspettato il Covid per denunciare le profonde divisioni che permeano le nostre società occidentali. «Abbiamo avuto la brutale conferma che anche nei nostri paesi europei molti cittadini non sono coperti dal sistema di protezione sociale» osserva l’economista francese che pubblica «Capitale e Ideologia», seguito ideale de «Il Capitale del XXI secolo», bestseller mondiale uscito nel 2103. Nel nuovo saggio che ripercorre la storia delle disuguaglianze, non solo in Occidente, Piketty avanza proposte per ridistribuire la ricchezza, come una eredità per tutti, la cogestione delle imprese, la proprietà temporanea, una tassa sui redditi più alti fino al 90%».

Cosa la colpisce di più della situazione attuale? 

«Negli ultimi dieci anni abbiamo celebrato i lavoratori indipendenti, i giovani delle start up, il popolo delle partite Iva. Oggi ci rendiamo conto che molte di queste persone hanno dovuto continuare a lavorare durante il lockdown perché non avevano altre forme di reddito. E nella crisi economica che comincia saranno i più colpiti. L’altra cosa da notare è che gli Stati si indebitano per rispondere all’emergenza, fatto del tutto naturale, ma non dicono tutto».

Ovvero?

«Dopo la prima e la seconda guerra mondiale ci sono stati debiti pubblici saliti fino al 200, al 300% del Pil. È successo in Germania, Giappone, Francia. Ci avviamo verso scenari paragonabili. Non è qualcosa di nuovo, né di preoccupante in sé perché esistono delle soluzioni. L’importante è dire la verità: qualcuno, alla fine, dovrà pagare. Il debito pubblico non svanisce come per miracolo».

Chi, secondo lei, dovrebbe pagare? 

«È la domanda fondamentale che molti governi eludono. Sarebbe bello pensare che nessuno, alla fine, dovrà fare sacrifici. Non è vero. Se guardiamo alle crisi del passato, ci sono due ipotesi. Si può creare inflazione, che significa far pagare le classi meno abbienti e piccoli risparmiatori. O si può far contribuire le persone con i più alti redditi e patrimoni attraverso aliquote progressive. In molti paesi d’Europa c’è già una maggioranza di cittadini favorevole a una patrimoniale. I governi ora non vogliono parlarne ma saranno costretti a farlo nei prossimi mesi».

Una crisi come quella che stiamo vivendo ha precedenti storici? 

«Nel libro ricordo il dibattito intorno alle conseguenze della Grande Peste che secondo alcuni medievisti aveva permesso di ridurre le diseguaglianze e addirittura il servaggio. Per altri studiosi è invece accaduto l’opposto. In Europa, in particolare nella parte orientale, il servaggio si è rafforzato perché le classi dominanti, clero e nobili, hanno voluto recuperare quanto perso durante l’epidemia. È quello che potrebbe accadere oggi».

Il mondo post-Covid sarà ancora più socialmente iniquo? 

«Le crisi in quanto tali non hanno uno sbocco politico determinato, dipende sempre da quale narrazione prende il sopravvento. Il Covid non ci permetterà di superare i rapporti di forza tra dominanti e dominati né di invertire la tendenza che va avanti dagli anni Ottanta. Se vogliamo davvero entrare in un mondo nuovo bisogna decostruire l’ideologia dei nostri regimi basati sulla disuguaglianza».

I governi sono riusciti a fermare l’economia per salvare vite umane. Se lo aspettava? 

«Giusto farlo davanti a una minaccia sanitaria ma ora usiamo la stessa flessibilità mentale per guardare alle sfide ecologiche e sociali. I primi segnali non sono incoraggianti. La priorità sembra quella di ricominciare come prima».

Il Recovery Fund proposto dalla Commissione europea è un buon segnale? 

«È meglio di niente ma restiamo prigionieri di un sistema di governo europeo opaco e vincolato alla regola dell’unanimità tra ventisette governi che renderà tormentato il cammino dell’approvazione della proposta della Commissione. E quando ci sarà il Recovery Fund un solo governo potrà mettere il suo veto su quello che chiederà di fare l’Italia, la Spagna o qualsiasi altro paese europeo».

Si riferisce alla resistenza di paesi “frugali”?

«Smettiamola di volerli convincere. Andiamo avanti con un gruppo di paesi volontari. In Francia, Italia, Germania e Spagna c’è già una maggioranza politica per varare investimenti comuni con un’attenzione all’ambiente e alle disuguaglianze sociali. Ho paura che, contrariamente a quello che molti dicono, nel medio periodo il meccanismo istituzionale del Recovery Fund non risolverà il divorzio in essere tra molti cittadini e l’Europa. Anzi, lo rafforzerà perché avanza su una sola gamba, quella delle spese di bilancio. E ne dimentica un’altra, quella degli introiti, ovvero del gettito fiscale».

L’Italia sarà il paese che più beneficia dal Recovery Fund.

«Potrebbe essere un entusiasmo effimero quello dell’Italia. Negli ultimi anni abbiamo avuto tanti Consigli europei che hanno teoricamente salvato l’Europa. Intanto c’è stata la Brexit, l’ascesa dei nazionalismi, e il progetto europeo ha definitivamente perso l’adesione degli elettori dei ceti medio-bassi».

La sfida ecologica, per la quale molti giovani si sono mobilitati, sarà dimenticata dai governi? 

«Sarebbe un vero errore sovvenzionare solo attività ad alta emissione di Co2. Settori come l’automobile o il tessile dovranno ridurre la loro quota di attività in modo graduale, ma deciso. Se non sfruttiamo questa opportunità per riadattare le nostre priorità, quando lo faremo? Si possono creare anche nuovi posti di lavoro con le misure per l’isolamento termico, lo sviluppo di energie rinnovabili. Io propongo nel libro un’imposta progressiva sulle emissioni di CO2 che sono concentrate principalmente da soggetti con alti redditi e alto patrimonio nei paesi più ricchi».

La Repubblica, 7 giugno 2020

*Thomas Piketty, 49 anni, è economista e scrittore francese. Fra i suoi libri più noti “Il Capitale del XXI secolo”, bestseller mondiale del 2013.

 

1 commento

  • E se invece approfittassimo per ripartire veramente in modo nuovo?
    Mettiamoci nelle condizioni di essere oggettivi..

    Parallelismo di crisi dell’epidemia e di crisi economica.
    Le due crisi hanno molti punti in comune.
    La pandemia colpisce violentemente la società umana.
     Ma anche: La crisi economica colpisce violentemente la società umana.

    La violenza si concretizza riducendo i cittadini allo stato di malattia e morte.
     Ma anche: La violenza si concretizza riducendo i cittadini allo stato di indigenza e morte.

    Il morbo (stato di malattia) trasmette ai cittadini lo stato di malattia e morte dell’individuo quando il virus ha occasione di attaccarlo da un già contaminato vicino.
     Ma anche: La povertà (stato di impossibilità di acquistare i beni di sopravvivenza) si trasmette ai cittadini quando non sono raggiunti dal circuito di distribuzione del reddito.

    La società in attesa di aver accresciuto le capacità di difesa immunitaria dei cittadini mediante la reazione degli organismi accelerata da un vaccino ha l’unica possibilità di impedire la contaminazione distanziando gli individui.
     Ma anche: La società riconosce che l’imposizione di tenere le distanze impedisce che la distribuzione del reddito avvenga per tramite delle relazioni lavorative, perciò ha l’unica possibilità di far distribuire agli indigenti il denaro necessario direttamente dal tesoro dello Stato.
    Il distanziamento fra i cittadini lavoratori impedirebbe qualsiasi relazione che comporti la vicinanza fra le persone. Si rende però necessario escludere dal distanziamento tutte le attività che riguardano i beni di sopravvivenza.
     Ma anche: Le attività che riguardano le funzioni di produzione dei beni di sopravvivenza si varranno delle strutture e organizzazioni già preposte adottando però tutte le misure più opportune che diminuiscano il rischio di contagio.
    Il morbo ci ha investito all’improvviso e questo si riflette in una casistica diversificata che impone pratiche d’intervento a misura di ogni situazione, cioè: Procedimenti di rilevazione dei sintomi di partenza quando l’organismo non è stato ancora debilitato e può più facilmente concorrere alla guarigione.
     Ma anche: Il sistema economico, costruito col criterio della massima produzione di beni vendibili in cui al lavoro dei cittadini si sta sostituendo quello dei robot, non sta reggendo all’impatto del virus e dopo aver disumanizzato l’uomo si rivela incapace persino di fornire a tutti i beni necessari per vivere. È necessario renderlo funzionale alla distribuzione del denaro necessario affinché ciascun cittadino possa acquistare il necessario.

    Eseguire esami che riconoscano i portatori senza sintomi in modo da non farli entrare in contatto con le persone più a rischio (specialmente gli addetti alle cure in contatto di anziani o deboli)
     Ma anche: Come ogni individuo resiste al morbo con le proprie condizioni di salute e gli anticorpi, cosi il cittadino utilizza il denaro per difendersi dalla fame. L’unico rimedio per il cittadino è avere denaro.

    Dal precedente rilievo della situazione, logico ma volutamente sintetico allo scopo di riconoscere l’essenziale a fronte del groviglio inestricabile dell’interdipendenza delle relazioni sociali, si deducono le misure operative da eseguire necessariamente con immediatezza per salvare la comunità.
    - La prima misura il distanziamento fra le persone è stata accettata dalla popolazione con molta facilità e messa in atto con grande attenzione proprio per la perentorietà degli eventi tragici che abbiamo potuto condividere, quasi come fossimo presenti, dalle televisioni e dagli altri media. Nessuno ha potuto dire tanto facilmente a me non toccherà!
    - La seconda misura consiste nel non interrompere le due funzioni di approvvigionamento dei beni di sopravvivenza e della loro ridistribuzione ai cittadini di ogni territorio. Queste attività necessarie saranno eseguite facendo incidere il ravvicinamento dei cittadini resosi necessario malgrado la misura precedente, il meno possibile mediante gli accorgimenti opportuni, maschere e guanti. Le organizzazioni preposte alle due funzioni hanno finora risposto molto bene agli adempimenti ben consci di eseguire un compito delicato e importante.
    Ma la funzione di distribuzione si esplica con l’approvvigionamento da parte del cittadino. Anche i cittadini hanno adempiuto bene osservando le regole. Interviene però a distinguere le situazioni diverse dei cittadini il fatto economico come vediamo successivamente.
    - La questione sospesa al punto precedente corrisponde a dire che l’organizzazione economica della società al suo stato attuale per rispondere bene all’esigenza di approvvigionamento e di distribuzione dei beni di sopravvivenza deve rendere capaci tutti cittadini di assolvere al pagamento dei beni comprati. Solo in questo modo i flussi dei beni di sopravvivenza potranno avvenire senza alcun intervento di modifica dei criteri di gestione economica.
    - Riuscire ad ottenere la stessa mobilitazione nei riguardi delle misure economiche richiede interventi che aprano spiragli di speranza diffusa. Un esempio abbastanza recente che può essere ricordato da tutti, fu il sacrificio chiesto agli italiani per entrare nell’Euro. L’aspettativa di miglioramento fu tale che l’operazione andò a buon fine senza grandi difficoltà e investì una buona parte della popolazione.
    - Lo Stato è già in possesso di una organizzazione che dovrebbe rendergli possibile l’evidenza del reddito di ogni suo cittadino; ma il sistema mentre è sufficientemente ben impostato relativamente all’individuazione del cittadino reso univocamente reperibile mediante il codice fiscale non lo è altrettanto relativamente alla determinazione del reddito. Come può essere mai possibile combattere il male delle enormi differenze di reddito senza che i redditi di ciascuno siano veramente conosciuti? Cominciamo allora a intervenire per legge sulla parte di reddito più facilmente tracciabile che è proprio la parte monetizzata. Il criterio proposto è che le banche debbano inserire nel contratto di conto corrente il codice fiscale dei contraenti e che ogni cittadino debba avere almeno un suo conto corrente. Le banche debbano comunicare a scadenze periodiche ricorrenti al tesoro dello Stato i codici fiscali di ogni conto corrente con il saldo relativo. Con un apposito data base si rende in questo modo possibile un’applicazione informatica che dia l’evidenza di disponibilità di denaro liquido disponibile per ciascun centro di spesa costituito dai codici fiscali che fanno riferimento a conti correnti collegabili per motivi parentali. Certo esisterebbero scappatoie per poter apparire in situazioni di necessità ma i truffatori potrebbero almeno essere perseguibili. Naturalmente il tesoro dello Stato dovrà provvedere a rendere i conti correnti dei poveri sufficienti al loro approvvigionamento di beni essenziali. Tutti i centri di spesa (dei poveri e dei ricchi) subiranno lo stesso controllo perché gli approvvigionamenti non cadano in eccessi di sperpero delle risorse disponibili e di speculazioni.
    - La resistenza ad un sistema del genere è culturale. Si tratta di una sorta di pudore che riguarda il ricco che vuole nascondere la propria ricchezza, dice per difenderla dai ladri o forse perché se ne vergogna confrontandola con tanta miseria e il povero che se ne vergogna quasi fosse l’espressione di un giudizio di inettitudine.
    Ma il ricco non rende forse manifesta la propria ricchezza col suo tenore di vita e il povero ogni volta che si sottopone alla umiliazione di chiedere aiuto? Il sistema che funzionerebbe facendo utilizzare un facsimile di bancomat non permetterebbe al venditore o comunque alle persone presenti di riconoscere se l’acquirente è ricco o povero di modo che sarebbe il più opportuno per ovviare al pudore prima descritto.

    - Io intravedo altre implicazioni positive, come il fatto rilevante di una flessibilità delle attività che non sia punitiva né per chi la dirige né di esegue compiti nel suo ambito. La spinta evolutiva richiede sempre più che le attività umane possano trasformarsi per rendersi più sostenibili, invece fino ad oggi tutti i soggetti che partecipano alle attività produttive risultano incatenati a difendere la propria modalità di sopravvivenza impedendo qualsiasi trasformazione.

    - Intravedo anche una maggiore possibilità di difendersi dai ricatti dei mafiosi che oggi si possono far passare con tanto denaro disponibile come benefattori verso tante persone in situazione di necessità.

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