Piketty, “L’Ue cambi ora: le disparità sociali vanno abbattute”

14 Giu 2020

Parigi – «Questa crisi esprime purtroppo in modo eclatante la violenza delle diseguaglianze sociali e quindi l’urgente necessità di trovare un altro modello economico». Thomas Piketty non ha aspettato il Covid per denunciare le profonde divisioni che permeano le nostre società occidentali. «Abbiamo avuto la brutale conferma che anche nei nostri paesi europei molti cittadini non sono coperti dal sistema di protezione sociale» osserva l’economista francese che pubblica «Capitale e Ideologia», seguito ideale de «Il Capitale del XXI secolo», bestseller mondiale uscito nel 2103. Nel nuovo saggio che ripercorre la storia delle disuguaglianze, non solo in Occidente, Piketty avanza proposte per ridistribuire la ricchezza, come una eredità per tutti, la cogestione delle imprese, la proprietà temporanea, una tassa sui redditi più alti fino al 90%».

Cosa la colpisce di più della situazione attuale? 

«Negli ultimi dieci anni abbiamo celebrato i lavoratori indipendenti, i giovani delle start up, il popolo delle partite Iva. Oggi ci rendiamo conto che molte di queste persone hanno dovuto continuare a lavorare durante il lockdown perché non avevano altre forme di reddito. E nella crisi economica che comincia saranno i più colpiti. L’altra cosa da notare è che gli Stati si indebitano per rispondere all’emergenza, fatto del tutto naturale, ma non dicono tutto».

Ovvero?

«Dopo la prima e la seconda guerra mondiale ci sono stati debiti pubblici saliti fino al 200, al 300% del Pil. È successo in Germania, Giappone, Francia. Ci avviamo verso scenari paragonabili. Non è qualcosa di nuovo, né di preoccupante in sé perché esistono delle soluzioni. L’importante è dire la verità: qualcuno, alla fine, dovrà pagare. Il debito pubblico non svanisce come per miracolo».

Chi, secondo lei, dovrebbe pagare? 

«È la domanda fondamentale che molti governi eludono. Sarebbe bello pensare che nessuno, alla fine, dovrà fare sacrifici. Non è vero. Se guardiamo alle crisi del passato, ci sono due ipotesi. Si può creare inflazione, che significa far pagare le classi meno abbienti e piccoli risparmiatori. O si può far contribuire le persone con i più alti redditi e patrimoni attraverso aliquote progressive. In molti paesi d’Europa c’è già una maggioranza di cittadini favorevole a una patrimoniale. I governi ora non vogliono parlarne ma saranno costretti a farlo nei prossimi mesi».

Una crisi come quella che stiamo vivendo ha precedenti storici? 

«Nel libro ricordo il dibattito intorno alle conseguenze della Grande Peste che secondo alcuni medievisti aveva permesso di ridurre le diseguaglianze e addirittura il servaggio. Per altri studiosi è invece accaduto l’opposto. In Europa, in particolare nella parte orientale, il servaggio si è rafforzato perché le classi dominanti, clero e nobili, hanno voluto recuperare quanto perso durante l’epidemia. È quello che potrebbe accadere oggi».

Il mondo post-Covid sarà ancora più socialmente iniquo? 

«Le crisi in quanto tali non hanno uno sbocco politico determinato, dipende sempre da quale narrazione prende il sopravvento. Il Covid non ci permetterà di superare i rapporti di forza tra dominanti e dominati né di invertire la tendenza che va avanti dagli anni Ottanta. Se vogliamo davvero entrare in un mondo nuovo bisogna decostruire l’ideologia dei nostri regimi basati sulla disuguaglianza».

I governi sono riusciti a fermare l’economia per salvare vite umane. Se lo aspettava? 

«Giusto farlo davanti a una minaccia sanitaria ma ora usiamo la stessa flessibilità mentale per guardare alle sfide ecologiche e sociali. I primi segnali non sono incoraggianti. La priorità sembra quella di ricominciare come prima».

Il Recovery Fund proposto dalla Commissione europea è un buon segnale? 

«È meglio di niente ma restiamo prigionieri di un sistema di governo europeo opaco e vincolato alla regola dell’unanimità tra ventisette governi che renderà tormentato il cammino dell’approvazione della proposta della Commissione. E quando ci sarà il Recovery Fund un solo governo potrà mettere il suo veto su quello che chiederà di fare l’Italia, la Spagna o qualsiasi altro paese europeo».

Si riferisce alla resistenza di paesi “frugali”?

«Smettiamola di volerli convincere. Andiamo avanti con un gruppo di paesi volontari. In Francia, Italia, Germania e Spagna c’è già una maggioranza politica per varare investimenti comuni con un’attenzione all’ambiente e alle disuguaglianze sociali. Ho paura che, contrariamente a quello che molti dicono, nel medio periodo il meccanismo istituzionale del Recovery Fund non risolverà il divorzio in essere tra molti cittadini e l’Europa. Anzi, lo rafforzerà perché avanza su una sola gamba, quella delle spese di bilancio. E ne dimentica un’altra, quella degli introiti, ovvero del gettito fiscale».

L’Italia sarà il paese che più beneficia dal Recovery Fund.

«Potrebbe essere un entusiasmo effimero quello dell’Italia. Negli ultimi anni abbiamo avuto tanti Consigli europei che hanno teoricamente salvato l’Europa. Intanto c’è stata la Brexit, l’ascesa dei nazionalismi, e il progetto europeo ha definitivamente perso l’adesione degli elettori dei ceti medio-bassi».

La sfida ecologica, per la quale molti giovani si sono mobilitati, sarà dimenticata dai governi? 

«Sarebbe un vero errore sovvenzionare solo attività ad alta emissione di Co2. Settori come l’automobile o il tessile dovranno ridurre la loro quota di attività in modo graduale, ma deciso. Se non sfruttiamo questa opportunità per riadattare le nostre priorità, quando lo faremo? Si possono creare anche nuovi posti di lavoro con le misure per l’isolamento termico, lo sviluppo di energie rinnovabili. Io propongo nel libro un’imposta progressiva sulle emissioni di CO2 che sono concentrate principalmente da soggetti con alti redditi e alto patrimonio nei paesi più ricchi».

La Repubblica, 7 giugno 2020

*Thomas Piketty, 49 anni, è economista e scrittore francese. Fra i suoi libri più noti “Il Capitale del XXI secolo”, bestseller mondiale del 2013.

 

Supportaci

Difendiamo la Costituzione, i diritti e la democrazia, puoi unirti a noi, basta un piccolo contributo

Promuoviamo le ragioni del buon governo, la laicità dello Stato e l’efficacia e la correttezza dell’agire pubblico

Leggi anche

Le scuole di Libertà e Giustizia

L’Unione europea come garante di democrazia, pace, giustizia

In vista della legislatura 2024-2029, l’associazione Libertà e Giustizia propone sette incontri - dal 29 febbraio al 23 aprile - sul ruolo del Parlamento europeo e le possibilità di intervento dei singoli cittadini e delle associazioni.

Approfondisci

Newsletter

Eventi, link e articoli per una cittadinanza attiva e consapevole direttamente nella tua casella di posta.