SUI NEOFASCISTI UN PASSO IN PIÙ

12 Giu 2020

Come ogni nemesi che si compie in fondo al paradosso perfetto, anche la maschera di CasaPound è caduta. E siccome il destino a volte è beffardo, lo sfratto dal comodo edificio statale in via Napoleone III non arriva solo al 17° anno di occupazione sovranista sulle spalle degli italiani: arriva quando i fascisti del (appunto) “prima gli italiani” – lo slogan è loro – si sono, si erano, inventati la “mascherina tricolore”. L’ultimo guscio della tartaruga nera.

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Game over, ordina la procura di Roma. Non soltanto perché i “camerati del terzo millennio”, dal 2003, abitano a scrocco delle casse pubbliche. Ma anche per il fatto che sono accusati di istigare all’odio razziale. Sembra un secolo fa. Era ieri. CasaPound faceva le barricate contro i profughi in arrivo negli alloggi comunali delle periferie romane, Torre Maura, Casal Bruciato. Sbraitava per l’occupazione del centro pro-migranti BaoBab.

Aizzava alla rivolta contro i campi rom gli abitanti delle borgate.

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Sulle spiagge del litorale laziale i militanti fascisti si ergevano a sceriffi e, con le loro ronde illegali, cacciavano gli ambulanti. Filmando le prove muscolari contro i più deboli. Tutto questo odio in stile squadrista è andato in scena mentre i capi del movimento (non più partito) alloggiavano gratis – mogli, fratelli, amici, – nel palazzone del demanio a due passi dalla stazione Termini: nel cuore di Roma. Abusivi di Stato. Però all’assalto dei “nemici dell’Italia”. Immigrati, richiedenti asilo, venditori stranieri, parcheggiatori fai da te.

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Simone Di Stefano, Gianluca Iannone e soci avevano deciso – gli è stato concesso per un tempo lungo, mentre si succedevano governi nazionali e amministrazioni romane (i più amici: Gianni Alemanno e il compagno di cene Matteo Salvini) – che le regole, in uno Stato di diritto, nella “Patria sovrana”, dovevano valere per tutti, ma per loro un po’ meno. La fama li ha sempre preceduti.

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“Faremo volare schiaffoni in Parlamento”, minacciò in campagna elettorale (2017-2018), il leader Di Stefano. Schiaffoni e molto altro è volato per le strade: centinaia di militanti e simpatizzanti di Cpi sono stati denunciati (decine arrestati) dal 2011 a oggi. Violenze, odio razziale, apologia di fascismo, omicidio, tentato omicidio.

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Nel 2017 Luca Marsella, capetto a Ostia, è condannato (pena sospesa) per minacce a tre studenti di un liceo: “Se fate la manifestazione io vi accoltello come cani, vi ammazzo tutti”. Lo stesso anno CasaPound festeggia il 14° compleanno. Foto di famiglia: tutti in posa davanti alla sede occupata in assetto da scontri: mazze, caschi, cappucci.

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Tanti frequentano le curve dello stadio Olimpico. Chissà se domani (6 giugno, ndr) saranno alla manifestazione degli ultrà neri contro il governo al Circo Massimo. E chissà se tra i “temi” del raduno, magari, spunterà anche lo sfratto. Nel 2018 Di Stefano ammette: «Siamo il partito che raccoglie l’eredità del fascismo». Profetico: a Bari Cpi è sotto inchiesta per tentata ricostituzione del partito fascista (e per le solite violenze). Un cerchio che si chiude. Anche con la storia (nascono ispirandosi al Manifesto di Verona, il piano programmatico della Rsi).

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Chiediamo alle istituzioni: non sono maturi i tempi per un ragionamento serio sulla compatibilità delle “tartarughe” con l’Italia nata dalla Liberazione e fondata sulla costituzione antifascista? Come si inquadra, oggi, Cpi, rispetto ai perimetri stabiliti dalle leggi Scelba e Mancino? È da marziani pensare che una formazione dichiaratamente fascista, dedita all’odio razziale, e che finora è costata all’erario 4,3 milioni, possa essere sciolta?

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La Repubblica, 5 giugno 2020 

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