UNA DEMOCRAZIA TIRATA A SORTE

UNA DEMOCRAZIA TIRATA A SORTE

Luciano Vandelli era un professore di diritto. Ha studiato le istituzioni a lungo, e le ha anche frequentate, da assessore in vari enti locali. È scomparso da poco, all’età di 73 anni. Ora va in libreria, per i tipi di Einaudi, il suo ultimo lavoro: postumo rispetto all’autore, ma attualissimo per i propri contenuti. È un libro scritto a quattro mani con Nadia Urbinati: La democrazia del sorteggio.

In realtà, la tecnica dell’estrazione a sorte per attribuire le cariche pubbliche non è affatto una trovata dell’ultimo minuto. Anzi, risale al battesimo della democrazia, nell’Atene del V secolo a.C. dov’era formato per sorteggio il Consiglio dei Cinquecento ( Boulè), massimo organo decisionale della polis; e venivano inoltre sorteggiati i magistrati così come gli arconti, che via via assorbirono le prerogative degli antichi re. Insomma, il governo popolare nasce come demarchia – una democrazia del sorteggio.

Ma nella corsa dei secoli questo modello s’inabissa, eccetto l’esperienza di alcune repubbliche italiane, durante il medioevo e il Rinascimento. Negli ultimi tempi, tuttavia, la demarchia è ritornata in auge, accende interessi, suscita passioni. In Francia Emmanuel Macron ha istituito una commissione di 150 cittadini estratti a sorte, con il mandato di avanzare proposte contro il riscaldamento climatico.

In Canada, in Germania, in Grecia, in varie altre contrade s’ affidano le politiche locali a giurie civiche formate per sorteggio. Nel 2012, in Islanda, è stata approvata la prima costituzione scritta da assemblee in parte sorteggiate. Nel 2017 l’Unione europea ha deciso per sorteggio la sede dell’Agenzia europea del farmaco, contesa fra Milano e Amsterdam.

E l’Italia? Fa in qualche modo da laboratorio, giacché è il primo Paese al mondo governato da un partito digitale – i 5 Stelle – concepito all’insegna dell’uno vale uno, della democrazia a sorte. Anche se l’esperienza di governo ha poi raffreddato quell’impulso iniziale, lo ha messo in disparte. Ciò nonostante, il nostro ordinamento normativo ne contempla una quantità di applicazioni.

Vengono selezionati così non soltanto i giudici popolari di corte d’Assise, non soltanto i giudici aggregati nei processi penali dinanzi alla Consulta, come vuole l’articolo 135 della Costituzione. Anche i revisori dei conti degli enti locali, i commissari di gara per gli appalti pubblici, i professori nei concorsi universitari, e via elencando. Può prospettarsi la stessa soluzione per i membri delle assemblee legislative? Ed è una buona cura per le malattie della politica? No, rispondono i due autori; ma la risposta viene preceduta da un’analisi pratica e teorica, dove c’è tutto il sale di questo volume.

La prima – curata da Vandelli – si concentra sul sistema di governo, esaminando gli istituti che ricorrono al sorteggio. La seconda – firmata da Urbinati – passa in rassegna il pensiero filosofico e politico che si è depositato sul suo uso. Da Aristotele a Platone, da Montesquieu a Campanella, che immaginava d’applicarlo perfino alla sfera dell’eros, per consentire anche ai brutti di coniugarsi con i belli.

Ma infine la diagnosi è tranchant: quest’infatuazione collettiva deriva da una cifra di disperazione, dal discredito che sommerge ormai i partiti. Cela una dichiarazione d’impotenza, della politica come della società. Ed è nefasta, perché il sorteggio penalizza il merito. Perché esonera dalla responsabilità della decisione. Perché aggira l’esigenza di valutazioni approfondite dei fatti e dei problemi. E tutto questo sull’altare di un unico obiettivo: l’imparzialità. Che però è una meta irraggiungibile, nelle vicende umane.

Diagnosi convincente? Sì e no. La divinità di cui il sorteggio costituisce uno strumento è piuttosto l’eguaglianza, divinità ferita da chi usa la politica come professione, divenendo inquilino permanente del potere. Viceversa la sorte – diceva Montesquieu – offre a ciascuno «una ragionevole speranza di servire la Patria ». D’altra parte una pattuglia di parlamentari sorteggiati, e quindi indipendenti, può favorire il dialogo tra maggioranza e opposizione, oltre a rafforzare la credibilità del parlamento.

Ma è una discussione aperta, senza certezze matematiche. Urbinati e Vandelli hanno avuto il merito di rinvigorirla.

la Repubblica, 30 maggio 2020

2 commenti

  • Non avrei nulla da ridire, anzi ne sarei entusiasta. Ma solo se nel bussolotto finessero nomi di Persone che soddisfano i requisiti che l’art. 59 declina per i nominandi Senatori a Vita: un modo sicuro per espellere dal Parlamento una mediocrità che da tempo è impegnata alacremente a devastare la nostra democrazia, e ad alimentare di conseguenza, rigurgiti acidi di parafascismi sempre più frequenti e aggressivi.

    D’altronde anche ad Atene il sorteggio non era erga omnes, ma tra un’elite di soli maschi alfa…

    Paolo Barbieri, socio circolo di La Spezia

  • Non avrei nulla da ridire, anzi ne sarei entusiasta, se nel bussolotto finessero nomi di persone che soddisfano i requisiti che l’art. 59 declina per i nominandi Senatori a Vita (d’altronde anche ad Atene il sorteggio non era erga omnes, ma tra un’elite di soli maschi alfa…).

    Con un sorteggio così condizionato, non ci sarebbe posto nelle istituzioni per la mediocrità e le bassezze che corrompono la democrazia inducendo rugurgiti di parafascismi sempre più frequenti e aggressivi.

    Paolo Barbieri, socio circolo di La Spezia

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