Il 25 aprile: la Storia ci obbliga a celebrare la libertà

25 Apr 2020

Sandra Bonsanti Presidente emerita Libertà e Giustizia

Per un tempo davvero lungo la parola “libertà” che sentivo risuonare così spesso tra il ’44 e il ’45 coincise per me bambina con Piazza Cavour. Un giorno mia madre mi disse: “Vai pure, corri, attraversa la piazza! Ora non dobbiamo più rasentare i muri perché potrebbero spararci dai tetti. Vai! Ora siamo liberi”.Lasciai la sua mano e corsi tra l’arco di Trionfo e la vasca e i portici e poi corsi ancora. Ed è davvero incredibile come la storia abbia poi “tenuto conto” di quel giorno e di quella madre ebrea sopravvissuta alle persecuzioni, di quella mia corsa sfrenata intitolando la piazza alla Libertà.

Per me rimase a lungo piazza Cavour e quando arrivavano le giostre e la riempivano tutta mi divertivo, eppure mi mancava lo spazio vuoto.La libertà è allora anche questo, una corsa, uno spazio, una gratitudine nell’animo, un giorno nella storia della nostra Italia? È davvero “come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare” come ci insegnò Piero Calamandrei.

Per noi sopravvissuti è impossibile pensare alla libertà senza collegarla al 25 aprile del ’45, alla liberazione di Milano, all’ordine di insurrezione da parte del Comitato di Liberazione nazionale, alla fuga di Mussolini, a piazzale Loreto e tutto il resto. Per noi sopravvissuti chiederci di rinunciare a festeggiare, è una bestemmia. Noi dobbiamo ringraziare per sempre coloro che morirono perché i bambini potessero continuare a correre e respirare. Perché, diventati adulti, potessimo trasmettere alle nuove generazioni la storia di quella parola, libertà, che per primi furono i greci a scoprire e ad amare, anzi fu Omero stesso nel libro sesto dell’Iliade, nell’addio fra Ettore e Andromaca che fu usata per la prima vola la parola “libero”. Noi siamo obbligati a festeggiare la libertà e il 25 aprile. Oramai soltanto chi è rimasto fascista nell’animo finge di non capire, lancia ridicole accuse e fa proposte inaccettabili.

Vorrei anche ricordare che noi toscani abbiamo qualche “obbligo” in più per onorare il nostro 25 aprile. La nostra terra fu straziata dalle più orrende stragi di civili inermi donne, vecchi e bambini nell’agosto e settembre del ’44. I carnefici appartenevano alla 16ª Ss Panzergrenadier Division ed erano comandati da Walter Reder. I nomi dei luoghi ci sono familiari: da Sant’Anna a Vinca a Fivizzano e poi Marzabotto. È un pezzo importante della geografia del 25 aprile. Impossibile dimenticare gli impiccati col filo spinato e lasciati essiccare al sole. O i bambini adoprati per il tirasegno. Come possiamo dimenticare? Reder e i suoi uomini “si erano fatti le ossa” ha scritto Franco Giustolisi ne L’Armadio della vergogna, “a Dachau e in altri lager”. Reder fu condannato all’ergastolo al processo tenutosi a Bologna nel 1951… fu graziato negli anni ottanta sotto il governo Craxi e accompagnato alla frontiera dalle autorità italiane. Tornato nel suo paese, in Austria, negò di aver chiesto il perdono. “La grazia? L’ha chiesta il mio avvocato”.

Il 25 aprile è la festa della libertà dal nazifascismo. Una volta e per sempre. La festeggeremo dalle nostre finestre e canteremo Bella ciao. Ancora una volta, e per sempre.

 La Repubblica Firenze, 25 aprile 2020

Nata a Pisa nel 1937, sposata, ha tre figlie. Si è laureata in etruscologia a Firenze e ha vissuto per molti anni a New York. Ha cominciato la sua attività professionale nel 1969 al “Mondo” con Arrigo Benedetti.

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