Ricostruire la sanità pubblica

30 Mar 2020

Ci avevano detto per anni che il nostro servizio sanitario nazionale (Ssn) era tra i migliori al mondo. Il coronavirus ci racconta ora una storia diversa. I tagli dei finanziamenti – circa 40 miliardi in 10 anni – hanno cancellato decine di migliaia di posti-letto, di medici, di infermieri. In specie, i posti letto di acute care (terapia intensiva) sono insufficienti, e in numero molto minore che in altri paesi (si legge di 28000 in Germania, contro 5000 allo scoppiare della crisi in Italia). Un servizio pubblico segmentato su base regionale, indebolito da estese privatizzazioni proprio nelle cosiddette eccellenze oggi in affanno, segnato da devastanti differenze tra Nord e del Sud.

In realtà, non abbiamo più un servizio nazionale. Se l’avessimo, non ci farebbe tanta paura l’arrivo del virus al Sud. Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia-Romagna e della Conferenza Stato-Regioni, così commenta l’intesa raggiunta in Conferenza il 12 marzo: «L’ immediato accordo per lo stanziamento del fondo sanitario 2020 è un segnale importante per il Paese, di attenzione concreta in un momento così grave per la salute dei cittadini». Giusto. Ma proprio nella Conferenza si è consolidato negli anni il sotto-finanziamento della sanità meridionale che oggi concorre al possibile disastro.

Non sappiamo se i criteri di riparto sottesi all’«immediato accordo» sono gli stessi del passato. Se è così, il divario rimarrà. Il punto è che nella Conferenza non si forgia una politica sanitaria nazionale. È un luogo di concertazione tra esecutivi, tra l’altro poco trasparente, in cui può bene accadere che i forti prevalgano sui deboli. Lo vediamo quando qualche studio, rapporto o relazione della Corte dei conti ci informa che la spesa sanitaria pro-capite vede le Regioni del Sud – Campania inclusa – in bassa classifica.

Almeno dalla riforma del Titolo V nel 2001, e probabilmente già da prima, il Paese non ha avuto una vera politica sanitaria nazionale, e nessuno ha difeso il servizio pubblico. Persino l’aspettativa di vita è diversa in danno del Sud, e il turismo sanitario costa ai cittadini meridionali centinaia di milioni all’ anno. Tutto con l’avallo della Conferenza Stato-Regioni. Quindi la dichiarazione di Bonaccini non ci rassicura.

Capiamo e accettiamo che questo sia il momento della solidarietà verso le regioni più colpite. Tutto quel che si può fare, va fatto. Ma dobbiamo trarre insegnamento da ciò che accade per ridare al sistema -terminata la fase acuta dell’emergenza- l’equilibrio da tempo perduto. Provvedere nell’ immediato, ma pensare al futuro.

La risposta non è la sanità autarchica che vorrebbero Zaia e Fontana. Ancor meno quella della Provincia di Bolzano, che ha tentato di ordinare ai presenti sul territorio provinciale e non residenti in Alto Adige di rientrare a casa propria. Un diluvio di proteste ha costretto alla resipiscenza. Nemmeno si risolve contestando in giudizio le ordinanze.

Il 18 marzo il Tribunale amministrativo regionale della Campania ha negato la sospensiva per l’ordinanza numero 15/2020 del presidente della Regione Vincenzo De Luca, recante limiti alla libertà di circolazione. Il giudice amministrativo ha in specie rilevato che l’atto trova fondamento negli articoli 32 l. 833/1978 e 50 TUEL (T.U. enti locali), e che «nell’attuale situazione emergenziale a fronte di limitata compressione della situazione azionata, va accordata prevalenza alle misure approntate per la tutela della salute pubblica».

La questione certo sarà meglio approfondita nel giudizio di merito. Tuttavia, il vero e maggiore rischio posto dalla crisi non viene da singoli atti, ancorché illegittimi, quanto piuttosto dalla possibilità che, finita l’emergenza, fratture territoriali e pulsioni separatiste riemergano con accresciuta forza, magari riprendendo il grimaldello del regionalismo differenziato.

Ha ragione il ministro Giuseppe Provenzano quando ammonisce «pensiamo già da ora al dopo» e dichiara che gli impegni del Piano per il Sud sono «ancora più attuali e urgenti» (Manifesto del 19 marzo). Che il maggior rischio sia domani non esenta però dall’agire oggi. Per iniziare, i governatori cerchino una corretta distribuzione delle risorse aggiuntive attribuite dal decreto legge 18/2020 (Cura Italia).

Poi, un De Luca che lamenta il sotto-finanziamento per la sanità campana (Sole24Ore, 24 dicembre 2019), cosa intende fare per correggerlo a regime? È chiaro che rappresentandosi come governatore sceriffo potrà grattare qualche voto nel prossimo turno regionale. Ma non guadagnerà un centimetro in Conferenza Stato-Regioni, perché là tutti hanno la faccia tosta e nessuno si impressiona. Lo aspettiamo alla prova.

la Repubblica, Napoli, 20 marzo 2020 

 

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