Coronavirus, vero protagonista della campagna per la Casa Bianca

10 Mar 2020

Nadia Urbinati Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

Il coronavirus ha messo in primo piano l’irrazionalità della logica del mercato nella sfera della salute. Irrazionalità in relazione al tipo di problema che il contagio comporta: l’indeterminatezza della diffusione, i grandi numeri dei contagiati, la necessità di intervento tempestivo, la complessità del sistema preventivo, diagnostico e curativo.

Tutto questo presume una struttura di intervento universale che non sia solo di polizia o messa in quarantena. Si apprende dalla CNN che proprio questo è il problema di fronte al quale si trova il sistema americano: ha mezzi per mettere in quarantena ma ne ha meno per ricoverare tutti coloro che hanno e avranno bisogno di cure, anche chi non ha una buona assicurazione o non ne ha alcuna.

Probabilmente il coronavirus servirà a provare l’utilità del pubblico. Le ragioni di solidarietà e di umanità sono certamente primarie; ma lo sono per chi già vi ci crede, per chi assume ragioni di giustizia alla base della società democratica. Non lo sono per chi crede, e negli States sono tanti, che la distribuzione dei servizi via mercato sia più efficiente perchè più rispondente al bisogno e meno soggetta allo spreco di quella pubblica.

In Italia abbiamo visto con il caso del crollo del ponte Morandi di Genova, quanto queste ragioni siano più retoriche che reali. Il caso dell’epidemia del coronavirus risolve ogni dubbio. Mostra con una chiarezza lineare la superiore funzionalità, efficienza e alla fine utilità del pubblico.

Utilità: perché è nell’interesse di tutti e di ciascuno che tutti e ciascuno abbiano un’eguale sostegno in caso di bisogno. L’avere o non avere i mezzi per procurarsi una diagnostica e una cura efficace – ovvero la diseguaglianza nelle condizioni di soddisfazione del bene salute— sarebbe in questo caso una tremenda condizione per tutti, anche per coloro che quei mezzi li hanno.

Nel caso dell’epidemia, essere poveri o ricchi non può contare. Ovviamente non dovrebbe contare mai. Ma assumiamo per economia di ragionamento quel che assumono i difensori della sanità privata: che la fortuna delle condizioni non possa non contare. Ebbene, in questo caso, tale ragionamento mostra tutta la sua irrazionalità. Perché è nell’interesse di chi è economicamente più fortunato che chi lo è meno abbia lo stesso suo trattamento.

Questo tema sta facendo capolino nell’opinione pubblica americana, così permeata dall’idea che la migliore sanità sia quella basata sulla scelta individuale e il sistema privato di diagnostica e cura. Eppure, in questi giorni frenetici, il sistema sanitario deve rispondere a interessi pubblici, senza passare per valutazioni di costi e benefici. Nè può bastare prendere misure restrittive della libertà: la politica più facile, ovviamente. Non sappiamo ancora chi sarà il democratico o la democratica che competerà con il presidente uscente.

Ma anche se sarà il moderato Joe Biden, l’esperienza del coronavirus avrà un impatto sulla sua campagna elettorale e il tema del diritto alla salute si imporrà secondo canoni più attenti al ruolo del pubblico. Donald Trump glissa su questo problema e sposta il discorso sulla competizione tra le case farmaceutiche per la messa a punto del vaccino. Ma che cosa si farà prima di allora?

Trump non riesce a dire che è nell’interesse di ciascuno che tutti abbiano facile e gratuito accesso alle condizioni di diagnostica e cura. E’ paradossale che siano proprio i neoliberali a dover ammettere il bisogno di un sistema pubblico. E’ molto probabile, quindi, che il coronavirus sia un protagonista di primo piano nella campagna elettorale per la Casa Bianca.

la Repubblica, 5 marzo 

Politologa. Titolare della cattedra di scienze politiche alla Columbia University di New York. Come ricercatrice si occupa del pensiero democratico e liberale contemporaneo e delle teorie della sovranità e della rappresentanza politica. Collabora con i quotidiani L’Unità, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano e con Il Sole 24 Ore; dal 2019 collabora con il Corriere della Sera e con il settimanale Left.

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