Piazza Fontana 50 anni dopo: cos’è cambiato nella storia d’Italia

22 Dic 2019

Rossella Guadagnini Consiglio di Direzione Libertà e Giustizia

La “madre di tutte le stragi”, quella di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969, è stata appena commemorata. A ricordare le 17 vittime innocenti, che perirono nell’esplosione della bomba della Banca Nazionale dell’Agricoltura a Milano, e gli 80 feriti, ci sono stati incontri e manifestazioni, concerti, libri e film, che hanno messo in luce le gravi responsabilità dello Stato nell’attentato, che – come ormai sappiamo – si sono espresse anche successivamente nei depistaggi e negli insabbiamenti delle indagini, affinché i veri colpevoli non venissero assicurati alla giustizia. Il primo attentato terroristico del secondo dopoguerra, infatti, non fa parte solo del passato e dei libri di storia, ma va rievocato oggi per chi non c’era e per contrastare tentativi revisionisti. Perché per capire la storia della nostra Repubblica, nata nel secondo dopoguerra dalla Costituzione del 1948, occorre mettere un punto fermo laddove ciò che è stato non abbia più a ripetersi.

Libertà e Giustizia ha organizzato a Firenze un convegno, insieme ad Anpi, Arci, Libera, Cgil, Istituto Storico Toscano della Resistenza e dell’Età contemporanea, i Vignettisti per la Costituzione e il Comune di Firenze. L’incontro, intitolato “Piazza Fontana, 50 anni dopo. Noi non dimentichiamo”, si è svolto il 7 dicembre scorso, nella Sala Conferenze Sibilla Aleramo della Biblioteca delle Oblate, nel centro della città.I lavori sono stati aperti da Tommaso Sacchi, assessore alla Cultura, che ha sottolineato il carattere di Firenze “città antifascista” e dallo storico inglese Paul Ginsborg, Fellow del Churchill College di Cambridge, docente universitario e presidente di Libertà e Giustizia, che ha ricostruito il contesto europeo degli anni in cui la strage avvenne. Dai giochi geopolitici nel Mediterraneo all’ascesa del regime dei Colonnelli in Grecia, dall’atmosfera d’imminenza di un golpe, alla ‘tradizione’ fascista in Italia negli anni del Duce, della Repubblica di Salò e poi sempre dura a morire. L’esistenza, infine, nel nostro Paese del più grande movimento operario europeo. “Ma la democrazia è sopravvissuta. L’Italia è quello Stato che ha saputo reagire”, ha concluso.

Quindi è intervenuta Sandra Bonsanti, presidente emerita di LeG, che ha ricordato come la giornata fosse dedicata a Giovanna Maggiani Chelli, che a lungo si è battuta per la causa delle vittime di un’altra strage, che nel giugno 1993 devastò Firenze, quella di via dei Georgofili in cui persero la vita cinque persone.Lo storico legale dell’Anpi, Emilio Ricci, ha parlato invece di “strategia della tensione”, delle responsabilità accertate di Ordine Nuovo, la formazione neofascista che nel 1973 è stata dichiarata fuori legge dallo Stato Italiano. “L’Anpi – ha sostenuto Ricci – è un importante difensore della memoria: è una battaglia culturale prima ancora che politica. Noi dobbiamo difendere i valori”. E’ intervenuto quindi Alessio Atrei in rappresentanza dei Vignettisti per la Costituzione, i cui disegni e vignette erano in mostra nell’ingresso della Biblioteca. Il gruppo di artisti si è formato nel periodo del recente referendum in difesa della Costituzione; con le sue opere ha contribuito a illustrare il perché dell’importanza della nostra Carta, da conservare e soprattutto attuare.

Ha preso poi la parola Guido Lorenzon, l’insegnante di Treviso testimone per vent’anni nel corso dei numerosi processi su Piazza Fontana, svolti a Treviso, Padova, Milano, nel carcere di Monza, a Roma e a Catanzaro, che lo hanno portato in giro per l’Italia senza venire mai meno al suo costante impegno civile. Intervistato da Sandra Bonsanti, Lorenzon ha raccontato come andarono i fatti a cui prese parte, svelando il ruolo di Franco Freda e Giovanni Ventura.“I giovani di oggi – ha affermato Lorenzon – hanno diritto alla verità negata alla mia generazione. Dal giorno in cui ho deciso di raccontare tutto quello che sapevo ai magistrati è cominciata per me un’odissea: dovevo sempre seguire le carte. C’era la necessità di creare un nemico al quale addossare la responsabilità della strage. I colpevoli sono stati selezionati con estrema cura per l’opinione pubblica. Le persone uccise lo sono state solo per poter incriminare altri dell’eccidio. Non c’è niente altro dietro, nessun mistero. La strage poteva essere evitata. Ci sono ancora oggi persone, dentro le nostre istituzioni, che sanno tutto e non parlano, non dicono ‘abbiamo sbagliato’”. Parole pesanti come pietre le sue, che si concludono con un’affermazione: “il testimone è una figura scomoda, sembra che rubi il lavoro agli avvocati, ai giudici. Comunque quello che ho fatto lo rifarei. Ma meglio”.

“L’opacità del potere è quella della nostra democrazia”, ha commentato Bonsanti citando le parole di Norberto Bobbio per introdurre il nuovo intervento, “Cercatori di verità” di Andrea Bigalli, responsabile di Libera Toscana. “Firenze è città di verità e di poteri occulti: esistono conflitti d’interesse che non vengono mai sollevati – ha ribadito Bigalli – La cultura borghese ha fatto spesso da sfondo al fascismo”. Poi ha rammentato l’archiviazione del 2012 sui fatti di Piazza Fontana dell’allora pm Armando Spataro e le celebri affermazioni dello scrittore Leonardo Sciascia: “Né con lo Stato, né con le Br, ma a fianco della Costituzione”.

Quindi è stata la volta dell’avvocato Guido Calvi, che difese l’anarchico Pietro Valpreda, ingiustamente accusato e in seguito assolto, dopo anni in carcere: “La Corte di Cassazione stabilisce la verità nel 2005: Freda e Ventura erano i colpevoli. Fu una scelta politica quella di andare verso la pista anarchica. Nel 1969 ci furono 20 attentati in Italia, 17 dei quali attribuiti alla cellula dei neofascisti di Treviso. Malgrado questo, quando esplose la bomba nella Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano le indagini furono indirizzate subito verso gli anarchici, Rispetto a 50 anni fa è stato fatto molto nei confronti del sistema repressivo del Paese. Da Milano a Catanzaro c’era allora una classe politica rozza e incapace: si disse perfino che Milano era ingovernabile. Ma c‘era anche una magistratura esemplare. Se siamo usciti dal terrorismo è perché ci sono stati giudici coraggiosi e giornalisti altrettanto coraggiosi. In quei giorni il comandante della Resistenza Sandro Pertini, presidente della Camera (in seguito Presidente della Repubblica), arrivò a Milano in visita ufficiale e non volle stringere la mano pubblicamente al questore Marcello Guida, ex direttore del carcere di Ventotene, dove era stato al confino: aveva il sospetto che Guida fosse tra i responsabili della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli. Lentamente – termina Calvi – anche l’opinione pubblica è cambiata, divenendo più consapevole”.

Giuseppe Matulli, presidente dell’Istituto Storico Toscano della Resistenza (l’Istr), ha trattato il tema “Dal ‘68 alla P2”, riferendosi al maggio francese del ’68 e alla contestazione studentesca in Italia seguita, nel ’69, dall’autunno caldo sindacale, fino alle parole di Aldo Moro al governo nel ’74: “Anche di crescita si può morire”. E dello statista democristiano che promosse il centrosinistra al governo, assassinato dalle Br nel ‘78 prima di mettere in atto le sue idee, ha discusso anche Miguel Gotor: “La strategia della tensione rimise l’Italia nei binari della normalità, sostenendo una gestione moderata del potere. I servizi  non commettono deviazioni. Guido Giannettini era un infiltrato del Sid in Ordine Nuovo. Moro fu subito convinto della pista nera nel caso di Piazza Fontana al fine di spingere il Paese verso una risposta reazionaria”.

Francesca Chiavacci, presidente dell’Arci, ha parlato “della persistenza in Italia della strategia della paura, che riemerge in diversi momenti della storia della nostra Repubblica”, mentre la giornalista Stefania Limiti ha illustrato come i poteri occulti siano sempre stati all’opera dietro le quinte della politica italiana. “Le tre grandi operazioni di depistaggio, da cui hanno preso le mosse gli eventi successivi che hanno influenzato il corso della storia italiana, sono: l’assassinio del bandito Giuliano nel 1950, la scelta della Procura di Milano dopo la strage di Piazza Fontana, e la vicenda del pentito Scarantino in seguito alle stragi di mafia nel 1992 che condussero alla morte di Falcone e Borsellino. E’ il potere che si autolegittima. La figura di Lorenzon, come testimone civile, non ha avuto la centralità che meritava in quanto esempio di etica pubblica. Abbiamo vinto la sfida del caos e le sentenza assolutorie ne fanno parte: l’organizzazione Ordine Nuovo è stata protetta da un pezzo dello Stato in quanto la democrazia non è uno spazio immobile del potere pubblico. Tra il 1968 e il 1978 ci sono stati, nel Paese, 110 attentati senza firma, un pezzo di potere si è sostanziato così. L’esperimento di Moro del centrosinistra al governo non era ben accetto a causa del Patto Atlantico e sollecitò risposte da parte di un gruppo di forze schierate contro il cambiamento: i neofascisti, i settori autoritari della Dc, dell’intelligence (l’ex Sifar confluito nel Sid), della polizia politica. Il Sid, una sigla mutuata dai tempi di Hitler e Himmel, era nato per rispettare i legami con gli alleati atlantici; sono i suoi appartenenti che prendono il potere in contatto diretto con gli stranieri. Giannettini, che ne faceva parte, tenne i rapporti con i neofascisti, ma poi si fermò”.

“Nel caso di Piazza Fontana -ha proseguito la giornalista -volevano fare il grande botto e tentarono il colpo. La polizia politica ha fabbricato il colpevoli. Ma il colpo non c’è stato: ha ‘vinto’ la folla di cittadini ai funerali delle vittime. Non è stato un fatto criminale, ma politico. Da allora è nata la sinistra radicale, poi estremista; e il Pc che da quegli anni critica quello che c’è alla sua sinistra. In Italia le ‘crisi di sistema’ che si sono verificate alla nascita della Prima Repubblica (Portella della Ginestra) e in seguito nel ’69 (Piazza Fontana), nel ’78 (Moro), nel ‘92 e ‘93 (le stragi di mafia e non solo), sono state tutte risolte in sedi occulte. Un’oscurità che oggi abbiamo il compito di chiarire”.

Due interventi a concludere la giornata: quello di Tania Sacchetti della segreteria nazionale della Cgil, che ha ricordato come “la narrazione condivisa di alcuni tragici eventi del nostro Paese è una necessità reale che non si può ignorare” e quello del Procuratore Capo di Prato, Giuseppe Nicolosi. Il magistrato, che ha seguìto un altro sanguinoso attentato, quello di via dei Georgofili a Firenze, ne ha ripercorso le tappe dal punto di vista di chi condusse le indagini. Un eccidio che costituì “una ferita profonda e mai rimarginata nel cuore della città che oggi ci ha ospitato”.

Giornalista e blogger, si occupa di hard news con particolare interesse ai temi di politica, giustizia e questioni istituzionali; segue vicende di stragismo, mafia e terrorismo; attenta ai temi culturali e sociali, specie quelli riguardanti le donne.

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