Sardine di tutta Italia, unitevi!

26 Nov 2019

Vado oltre l’auspicio di ieri (24 novembre ndr),  di Elle Kappa, “Sardine di tutto il mondo … ”. O, meglio, focalizzo l’invito sull’Italia, dato che abbiamo scadenze nazionali ravvicinate, da non mancare, per nessuna ragione. Infatti, cosa avete –  cosa abbiamo –  da perdere, se vogliamo rammentare l’incipit di Marx nel suo libro,  Il Manifesto,  uno dei più mobilitanti della storia? Abbiamo il nostro grande scontento, che dura da moltissimi anni, e che la recente crescita del cosiddetto populismo – non sono ancora sicura che sia la giusta definizione – ha portato a livelli massimi.

Mi è piaciuto molto il Manifesto delle sardine di Bologna. Anche perché lo hanno chiamato Manifesto, parola che viene da non troppo lontano. Almeno, per stare non lontano da noi, dall’Ottocento. Un minuto fa. E quel Manifesto fu una vera chiamata all’impegno. Per che cosa? Allora si trattava di perdere vere catene. Vere, pesanti, tragiche. Non erano parole metaforiche. Anche le sardine ci chiamano a gettare nostre catene. Quali? Catene che in buona misura ci siamo da noi date. Parlo di noi, qui in Italia, qui in Europa. In altre parti del mondo molte catene sono reali, non metaforiche. Catene che abbiamo attorcigliato attorno alla nostra mente, oscillante fra pigrizia e rabbia. Pigrizia e rabbia, il contrario della politica. Se populisti vocianti vengono ascoltati, è perché le nostre voci –  che ci sono, e da tempo – sono state poche.

Aggiungo, poi. Le poche, inascoltate. Anche perché erano poche, e prive di poteri di interdizione. E questo sempre accade, quando le parole, anche le migliori, sono poche, se si rivolgono a moltitudini. O quando, anche se sono veramente molte, si rivolgono a chi non ascolta, perché non vuole o perché non sa ascoltare. C’è un passo nel Manifesto delle sardine che mi fa oscillare fra consenso e dissenso. Consenso forte e dissenso lieve. Anch’io, in anni lontani, avevo gratitudine per chi dava tutto il suo tempo alla politica, anche quella organizzata nei partiti. Gratitudine, perché lavorava anche per chi, come noi,  non poteva o voleva dare alla politica tutto il suo tempo. Questo mi consentiva di mantenere la gratitudine anche quando vedevo errori o imperfezioni.

Ma, da un certo tempo in avanti, non è stato più così. Perché troppi facevano una politica che non era la Politica con la P maiuscola, che le sardine vogliono che ritorni. Il mio piccolo dissenso è tutto qui. Nel non avere gratitudine per tutte e tutti coloro che danno tutto il loro tempo alla politica, a prescindere. Ma solo a chi fa Politica, quella vera, disinteressata e trasparente, anche se plurale e, per questo, democratica, come vuole la nostra Costituzione. E con dignità e onore. In un recente seminario tenuto qui, a Ravenna, abbiamo visto il grande valore che Bobbio dava alla partecipazione, che è veramente tale solo se nasce dal basso. Mentre è mobilitazione se è spinta dall’alto.

La mia netta impressione è che le sardine – almeno quelle viste fino ad ora – stiano partecipando  auto mobilitandosi, senza obbedire a inviti. Né vorremmo vedere non sardine travestite da sardine.  Sarebbero facilmente riconoscibili. Altre forme di attenzione possono invece essere interessanti, come lo stupore – quello, di gratitudine alle sardine, di Zingaretti, negli stessi giorni a Bologna – e quella un po’ gelosa di Grillo, che ha detto “Un tempo le piazze le riempivamo noi”. Un istante fa. Le cose corrono veloci. Questa è la grande novità del nostro tempo.

Un auspicio. Che le sardine si moltiplichino, che mantengano freschezza e trasparenza. E che siano esigenti con i partiti, tutti quelli a orientamento costituzionale. E che,  agli incerti, dentro e fuori i partiti, non facciano sconti . Un tempo, nel 2002, ci fu un movimento presardine. Era un popolo composto prevalentemente da ceto medio riflessivo. In molti casi, ne facevano parte persone che erano state sessantottine. I girotondi. Vollero mantenersi movimento. Non erano antipolitica. Cercarono di interagire con i partiti che dicevano – così sembrava – NO a Berlusconi. Erano in numero grandissimo. Quasi in ogni città. Un milione in piazza San Giovanni. Non furono ascoltati. Spesso furono irrisi.

Molti – non tutte e tutti – si stancarono. E’ quello che spesso accade ai movimenti. Ma non scomparvero. Li abbiamo ritrovati in buona misura nei movimenti referendari che hanno messo in salvo la Costituzione, nel 2006 e nel 2016. Cos’altro potevano – potevamo – fare?

E, oggi, cos’altro possiamo fare? Fare il tifo per le sardine, alle quali non abbiamo niente da insegnare, perché questo è il loro tempo.  Raccomandiamo solo che studino sempre, e bene, la storia, e non in fretta. Se ci chiamano in piazza, non poche e pochi girotondini ci saranno.

24 novembre 2019

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