Legge Elettorale/Il maggioritario è l’erba sotto i piedi del populismo

11 Nov 2019

Francesco Pallante

La vocazione maggioritaria, ancora lei. Era il 2007, al Lingotto di Torino. Walter Veltroni, segretario in pectore del nascente Partito democratico, usò una oscura espressione: «Il Partito democratico deve avere in sé un’ambizione, al tempo stesso, non autosufficiente ma maggioritaria».  E continuava: «… L’elettorato è razionale, mobile, orientato a scegliere la migliore proposta programmatica e la migliore visione. Fiducia in questa vocazione maggioritaria significa oggi lavorare per rafforzare l’attuale maggioranza. Io rispetto e stimo i nostri partner della coalizione».

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SAPPIAMO bene come andò a finire: con rispetto e stima, il Pd mise i partner della coalizione sotto schiaffo del voto utile e, correndo da solo alle elezioni del 2008, ottenne il loro annichilimento. Da quelle votazioni scaturì la più grande maggioranza parlamentare della storia repubblicana: a favore di una coalizione di centrodestra. La cosa straordinaria è come una storia di così clamoroso insuccesso sia stata assunta a mito fondativo dell’esperienza politica del Partito democratico. Un po’ come la sconfitta subita per mano dell’esercito ottomano a Kosovo Polje nel 1389 è assurta a vicenda caratterizzante il nazionalismo serbo. Gli elettori saranno forse razionali (ne siamo proprio sicuri?); i gruppi dirigenti sembrerebbe di no.
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COME ALTRO spiegare, altrimenti, la pervicacia con cui, da alcuni mesi, l’intero gotha democratico si è scatenato a demolire ogni ipotesi di ritorno alla legge elettorale proporzionale, evidentemente l’unica prospettiva razionale – nella situazione politica che si va configurando – attraverso cui provare a mettere in sicurezza la democrazia costituzionale?
Ad Arturo Parisi («riproporre la vocazione maggioritaria è un dovere … l’approdo della politica è il governo e non la semplice rappresentanza»: Democratica.com, 26.6.2019) ha subito fatto eco Romano Prodi («una legge elettorale non è fatta per fotografare il Paese, ma per dargli una maggioranza di governo»: Corriere della Sera, 4.9.2019); poi è stata la volta di Walter Veltroni («se noi torniamo al proporzionale, sarà il festival della frammentazione. … Il Paese ha bisogno di governabilità»: Cartabianca, 11.9.2019). Buon ultimo è arrivato, su queste pagine, Enrico Morando (25.10.2019). Intervistato sull’opportunità di adottare una legge elettorale proporzionale, ha negato con decisione: «questo crea le condizioni per non avere, nel campo del centrosinistra, una formazione dotata di vocazione maggioritaria». Difficile riuscire a essere meno tempestivi: nemmeno 48 ore dopo, le elezioni umbre proiettavano Lega e Fratelli d’Italia, da soli, a un passo dal 50%. Mentre il Pd continua a inseguire la vocazione maggioritaria, la destra estrema è oramai a un passo dal realizzarla.
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È UNA SITUAZIONE drammatica. A destra c’è una proposta politica orribile e pericolosa, ma chiaramente individuabile. Dall’altra parte non c’è nulla di analogo: l’unica cosa evidente è una disperata alleanza difensiva finalizzata ad allontanare il più possibile il momento della resa dei conti. Per impedire a Salvini di riprendersi con gli interessi il governo perduto in agosto ci vorrebbero politiche capaci di tagliare l’erba sotto i piedi del populismo. C’è qualcuno disposto a scommettere che è quanto avverrà nei prossimi mesi?
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L’auspicio, naturalmente, è di perdere la scommessa. Nell’attesa che si realizzi il miracolo, tuttavia, è indispensabile mettere in sicurezza della democrazia. Possibile che la coalizione di governo sia insensibile a questo argomento? Dal punto di vista democratico, non si tratta di alterare alcunché. La destra, come tutte le forze politiche, avrà i voti che avrà: ma perché regalarle più seggi di quelli che corrisponderebbero al consenso ottenuto? La legge elettorale proporzionale può essere accusata di molti difetti: dipende dall’idea di democrazia che si assume, soggettivamente, come propria. Ma ha un innegabile pregio oggettivo: dà a ciascuno il suo, senza togliere né regalare niente a nessuno. Sotto questo profilo, è una legge giusta. Tanto più, avendo – così avventatamente e radicalmente – ridotto il numero dei parlamentari.
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IL RISCHIO concreto è che, applicando il maggioritario a un Parlamento di queste dimensioni, alle prossime elezioni la destra arrivi non alla maggioranza assoluta, ma ai due terzi dei seggi. Dopodiché i decreti sicurezza, la flat tax, la regionalizzazione dei diritti, la repressione del disagio sociale, l’oscurantismo morale, l’uso politico della religione, ecc. ci sembreranno ben poca cosa: a finire nel mirino sarà direttamente, e integralmente, la Costituzione, senza nemmeno la garanzia del referendum oppositivo a cui appellarsi.

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il manifesto, 2 novembre 2019

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