L’alleanza Pd-M5s agli umbri è sembrata un’insopportabile furberia

03 Nov 2019

Nadia Urbinati Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

Le elezioni umbre sono e non sono un giudizio sulla maggioranza 5S-Pd. Sono prima di tutto il riflesso di mezzo secolo di governo monocolore in quella regione. Un governo che ha fatto molte cose buone, ma è miseramente finito con la nota storia di abuso d’ufficio della sanità e la fine miserevole della Presidente, Catiuscia Marini, già dirigente Lega Coop, poi sindaca di Todi e parlamentare europea – una carriera lunga, simbolo di un partito che si è logorato anche per aver tenuto il potere ininterrottamente per troppo tempo. La regola dell’alternanza che distingue il sistema democratico ha lo scopo di impedire il consolidamento di classi di potere, e quindi corruzione. Dopodiché, il modo in cui il Pd ha costruito un’alternativa a se stesso non è stato saggio, anzi è stato catastrofico. Prima di tutto perché doveva evitare un’unione stretta con i 5stelle: correre soli come alleati sarebbe stato più lungimirante. Alcune delle ragioni di questo errore ci sono state spiegate da Gianfranco Pasquino su Huffington.

Ma è certo che quella unione elettorale deve essere apparsa a molti cittadini umbri come un segno insopportabile di furberia: due partiti che partono in forte svantaggio si danno una mano a vicenda sperando di impressionare gli elettori con il peso della loro funzione governativa. In un tempo di populismo dell’anti-establishment Pd-5stelle hanno usato la strategia più establishment che avevano a loro disposizione. E poi: quell’unione elettorale ha dato la netta impressione che i due partiti avessero molta paura. E’ stata un’alleanza da trincea difensiva, un segnale da solo di debolezza. Ed è finita con una prevedibile Caporetto.  E’ sperabile che questo errore non venga ripetuto in Emilia-Romagna.

Le elezioni umbre sono state anche il riflesso dell’opinione sul governo. Forse non un giudizio diretto sul governo, ma un riflesso di quel che succede a Palazzo Chigi. E il governo, fin dal momento della sua nascita, aveva un carattere molto ben definito: essere costretto ad essere un buon governo. Solo questo poteva e potrebbe sconfessare la destra. Certo, bisogna mettere in conto che la destra populista usa la propaganda come un lanciafiamme, e che la propaganda da che mondo è mondo non è costruita sui fatti, ma sulle paure sobillate. Difficile vincere contro il nulla astioso. Ma dare al paese l’immagine di una compagine volitiva, impegnata e capace di fare cose buone, dare piccoli segnali di forza dirigente e direttiva: questo il governo doveva farlo da subito. E deve farlo ora, a tutti i costi.

 Tutto qui? No. Vi è dell’altro. Vi è un tema del quale si deve pur parlare franco: il ruolo dei media. Molti di coloro che sono atterriti da una Meloni a due cifre sono stati assai impietosi contro il gracile governo. Che, per carità, è stato poco saggio a non sfruttare al meglio l’opportunità di tenere la destra al tappeto. Eppure vi è anche nei media quel desiderio di sangue che la propaganda populista ha in questi anni alimentato.

Sacrosanto e giusto, anzi necessario, criticare comportamenti e decisioni, o non decisioni (perché il governo non ritira i vergognosi decreti Salvini?), ma infiocinare la maggioranza giallo-rossa con lo stesso stile di chi fa opposizione politica, è un segno di poca responsabilità (e saggezza). Aiuta chi aspira ad approfittare delle sorti del governo, trattato come un moribondo che deve essere tenuto in vita per fare ingrassare gli avversari: quelli diretti o nemici giurati (Salvini vuole l’Emilia-Romagna) e quelli indiretti o potenziale beneficiari (Renzi aspira ad essere lui unico avversario di Salvini). Il gioco va ben al di là dell’Umbria, dunque. E sarebbe urgente che gli alleati di governo non lo capissero soltanto, ma che agissero di conseguenza.

Huffington Post, 29 ottobre 2019

Politologa. Titolare della cattedra di scienze politiche alla Columbia University di New York. Come ricercatrice si occupa del pensiero democratico e liberale contemporaneo e delle teorie della sovranità e della rappresentanza politica. Collabora con i quotidiani L’Unità, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano e con Il Sole 24 Ore; dal 2019 collabora con il Corriere della Sera e con il settimanale Left.

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