Rosatellum: le 6 Regioni non sono le sole a volerlo riformare

12 Ott 2019

Il Tribunale di Messina sta decidendo se investire la Corte Costituzionale, su ricorso presentato da numerosi legali e cittadini. Che si propongono modifiche assai diverse da quelle che vorrebbe Salvini.

Negli stessi giorni in cui saliva di livello l’offensiva lanciata da Matteo Salvini contro l’attuale legge elettorale, segnava un passo avanti anche l’attacco al Rosatellum portato su un diverso versante. Giornali, Radio e TV hanno registrato puntualmente la richiesta di sei Regioni per ottenere un referendum che, abrogando alcune parti della legge in vigore, trasformi il nostro in un sistema maggioritario. Hanno invece quasi taciuto ciò che stava avvenendo nelle aule del Tribunale di Messina dove, il 27 settembre scorso è stato discusso il ricorso presentato dall’ex parlamentare liberale Vincenzo Palumbo ed altri. Così, se il Tribunale deciderà in tale senso, la Consulta sarà investita da una serie di questioni che, se accolte, costringerebbero a trasformare il nostro sistema elettorale in direzione opposta a quella voluta da Salvini.

Il referendum delle sei Regioni (che secondo molti costituzionalisti difficilmente potrà superare il vaglio di ammissibilità) ci regalerebbe un maggioritario con un legame ancora più stretto tra eletti e oligarchie dei partiti. Le questioni di costituzionalità discusse dal Tribunale di Messina, invece, toglierebbero di mezzo tutti quei marchingegni che furono inseriti nel Rosatellum per sottrarre agli elettori ogni potere di incidere. L’attacco è frontale, addirittura investe le modalità della sua approvazione. Nella Udienza di discussione, l’avvocato Palumbo ha sostenuto che, nei passaggi che portarono alla sua approvazione, ci furono “una serie di forzature dell’iter parlamentare che hanno determinato una grave compressione del dibattito in commissione e in aula”.

Irragionevole, poi, la soglia del 3%: “L’esclusione dalla rappresentanza in Parlamento di milioni di elettori, solo perché la lista da essi votata non sia riuscita a raggiungere una soglia aprioristicamente determinata, costituisce un grave vulnus al principio della rappresentanza democratica, senza che se ne ottenga una qualche utilità per la governabilità”. Paradossale, ha rilevato Palumbo, la conseguenza sul voto per il Senato, di tale sbarramento.

Può accadere che un partito superi la soglia del 3% nazionale al Senato senza però vedersi assegnato alcun seggio perché la distribuzione avviene a livello regionale, senza recupero dei resti a livello nazionale. Insomma, il Rosatellum, secondo l’ex parlamentare avvocato Palumbo è pieno di accorgimenti che ostacolano la volontà dell’elettore: lo costringe a votare per la parte uninominale candidati che non vorrebbe solo perché ha scelto di votare una determinata lista plurinominale e viceversa. Addirittura, la disparità di trattamento e la volontà di condizionare l’espressione del voto sono sfacciatamente presenti là dove si esentano alcuni partiti dalla necessità di raccogliere firme per presentare le firme e se ne sottopongono altri a defatiganti pratiche di raccolta di firme, in numero sproporzionato ed eccessivo, che, per giunta, devono essere autenticate da pubblici ufficiali, in pochissimi giorni.

E mentre si attende il vaglio di ammissibilità per il referendum promosso dalle Regioni, il giudizio sulla non manifesta infondatezza delle questioni sollevate innanzi al Tribunale di Messina e l’ultimo voto della Camera sul taglio dei parlamentari, PD e 5Stelle hanno preso a tergiversare sulla riforma della legge elettorale.

www.pensalibero.it 30 settembre 2019

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