Paolo Flores d’Arcais e Gustavo Zagrebelsky dialogano su fine vita ed eutanasia

08 Ott 2019

Mercoledì 9 ottobre alle ore 18 al Circolo dei lettori a Torino Paolo Flores d’Arcais e Gustavo Zagrebelsky dialogano su fine vita, suicidio assistito ed eutanasia a partire dal nuovo libro del direttore di MicroMega, “Questione di vita e di morte”, una apologia filosofica del diritto all’eutanasia come inalienabile diritto umano, contro la tortura di Stato e di Chiesa.

La tesi è una, percorre tutto il libro dal primo all’ultimo capitolo, in un’appassionata dimostrazione, esistenziale e filosofica, sul nostro diritto di dire la parola fine. Di scegliere se, quando e come vogliamo morire. Perché se la vita ci appartiene e possiamo farne (più o meno) ciò che vogliamo, allo stesso modo non dovrebbe appartenerci anche la morte? Una buona morte, una eutanasia cioè. Perché mai, si chiede Paolo Flores d’Arcais, direttore di Micromega, in un implacabile pamphlet dal titolo Questione di vita e di morte (Einaudi), sulla nostra ultima ora dovremmo sottometterci a un Dio, a una Chiesa, a un potere politico? Rivolgendosi a un immaginario “amico lettore”, con l’uso del “tu” letterario che chiama in causa e responsabilizza chi legge, Flores d’Arcais smonta passo dopo passo tutte le tesi che si oppongono al nostro diritto di essere “sovrani” rispetto alla morte. Puntando a demolire, in particolare, l’architettura che da sempre la chiesa cattolica ha creato intorno alla presunta “indisponibilità” della vita e della morte. Affermando, in sostanza e arbitrariamente, che l’essere umano non può fare quello che vuole né del proprio inizio, né della propria fine.

Anche qui Flores d’Arcais si rivolge, idealmente, a tre interlocutori ben precisi, nomi famosi della bioetica confessionale, ossia il cardinale Dionigi Tettamanzi, il cardinale Elio Sgreccia (entrambi scomparsi), ma soprattutto a Vincenzo Paglia, “l’amico Vincenzo”, oggi presidente della Pontificia accademia per la vita, ma da sempre fulcro spirituale della Comunità di Sant’Egidio. «Caro Vincenzo, stimate Eminenze Tettamanzi e Sgreccia, non accettereste certamente che sul vostro fine vita decida io, la giudichereste aberrante pretesa di sopraffazione. Non potete perciò pretendere di decidere sul mio».

Nessuno può insomma imporci come vivere e dunque come morire, spiega Flores d’Arcais in questo pamphlet di apologia dell’eutanasia, che arriva dopo la sentenza della Corte Costituzionale sulla depenalizzazione dell’aiuto al suicidio. E alla vigilia, forse, di nuove alleanze sui diritti civili che infatti spaventano il Vaticano, tanto che il presidente della Cei, il cardinale Bassetti, ha proposto di inserire l’obiezione di coscienza per i medici nella legge sul testamento biologico. Alterando così, radicalmente, quel principio di libertà contenuto nella possibilità di rifiutare le cure, e ottenere una morte senza dolore, nello stadio terminale di una malattia.

Sulla nostra dipartita, dunque, dice Paolo Flores d’Arcais, non possono decidere né lo Stato con una legge che fosse coercitiva della mia volontà, né la Chiesa in nome di un Dio che soltanto alcuni riconoscono, né tantomeno la Natura.
E questo è uno dei concetti fondamentali del libro, ricco anche di un toccante capitolo di storie e testimonianze di vita e di morte, di persone che sono riuscite a ottenere il rispetto delle proprie volontà, ma anche di persone che hanno dovuto soffrire fino all’ultimo istante. I difensori della (presunta) indisponibilità della vita affermano che deve essere la Natura, con il suo naturale decadimento o con i suoi imprevisti a decidere l’ora dell’addio. Ma così non è, visto che l’essere umano da sempre sottomette la Natura, combattendo le malattie, dominando l’ambiente, allungando la vita stessa grazie a scienza e medicina, a volte oltre misura. Quindi questa Natura-Fato che dovrebbe fare il suo corso, portandoci “naturalmente” alla morte, è qualcosa di mitico, immaginario, pretestuoso.

Sgombrato sul filo della logica il campo da chi potrebbe decidere in nostra vece, la tesi del libro è che se «si prendono sul serio eguaglianza di dignità e libertà, cioè la condizione minima del cittadino», le dispute sul fine vita non dovrebbero proprio esistere. Essendo noi sovrani anche della nostra ultima ora, sarebbe poi logico che ne disponessimo come meglio crediamo, affidandoci a un medico, alla scienza, anche a Dio per chi crede, ognuno alla ricerca di quella eutanasia, morte senza dolore, a cui ogni essere umano aspira.

Questione di vita e di morte è dunque una trattazione giuridico-filosofica e religiosa del diritto di scelta. Ma nel capitolo “esistenzialmente” Flores d’Arcais, definendoli “condannati a morte con tortura”, ripercorre anche, in una dolente antologia, i tanti casi di chi, da Giovanni Nuvoli a Vincent Hubert, hanno invano chiesto allo Stato di poter mettere fine alle proprie, indicibili sofferenze. Morendo poi come Nuvoli nel più assoluto dolore, o come Hubert aiutato dalla madre e da un medico amico, entrambi poi assolti per il loro gesto. Storie a cui si contrappongono lucide testimonianze di libertà. Quella di Damiana Saba, affetta da sclerosi multipla, che racconta a Radio Radicale la sua scelta di andare a morire in Svizzera, così come anni dopo farà Dj Fabo, alla vigilia del suo (ultimo) viaggio a Zurigo.

La Repubblica, 7 ottobre 2019

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