L’opposizione al Conte bis, tra puristi e “indifferentisti”

18 Set 2019

Nadia Urbinati Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

La schiera degli oppositori (da sinistra o comunque contro Salvini) alla coalizione tra i Cinque Stelle e il Pd è composta sommariamente di due gruppi e disposizioni mentali: una che chiamerei purista e una che chiamerei indifferentista.

La prima raccoglie tutti coloro che nel primo decennio di vita pentastellata hanno sedimentato una passione radicata contro questa plebe del “Vaffa” che a un certo punto ha trovato una via parlamentare. La lettura di questo movimento, comunque complicato e difficile (pochi studiosi non italiani di politica sanno decifrarlo perché fuoriesce dalle categorie classiche di cui dispongono) è stata segnata fatalmente da un aristocraticismo inconfessato, quello che viene da una nostalgia per le aristocrazie dirigenti dei partiti di massa, le quali tenevano il popolaccio (la “pancia del Paese”) sotto la loro autorità grazie a un’ideologia che poco concedeva all’orizzontalismo. 

L’antipatia originaria verso i 5 Stelle è stata marcata da un evidente moralismo, come di chi pensa che la buona politica non sia “buona” nel senso politico (efficace, funzionale e verso obiettivi che sono per la generale convenienza) ma nel senso “morale” – che debba essere fatta per renderci migliori come persone e che debba essere fatta da semi-santi.

Per questi puristi (spesso nordici) pronti a bacchettare il plebeismo, l’approssimazione e la scarsa attenzione alle consuetudine istituzionali, i 5 Stelle restano un problema. E quindi, per sopportare l’onta dell’alleanza col Pd quasi si chiede loro di fare pubblica ammenda per gli errori passati, per essere stati alleati di Salvini (trascurando di dire che non gli fu lasciata altra chance, se non le elezioni anticipate, vista la passione per i pop corn di Renzi che contò in quell’occasione come e anzi più di un effettivo capo di partito, salvo poi a fare la capriola che conosciamo – lui sì opportunista fino all’osso, eppure amato e ammirato da molti degli odierni puristi).

Si chiede auto-ammenda inoltre per aver passato leggi indigeste (trascurando di dire che ebbero onorevoli antesignani nel governo Pd con il ministro Minniti). Pubblica penitenza per pulirsi l’anima ed essere pronti a una diversa alleanza. Si manifesta qui una singolare allergia al giudizio politico: questa insopportabilità per l’alleanza attuale nasce dal fatto che il giudizio sulla politica dei due partner sia stato originariamente di tipo morale. Per questo si chiede ora una pubblica abiura. Vi è di che dubitare del tenore liberale di questa posizione, che a me ricorda il savonarolismo bastonato, giustamente, da Machiavelli.

Circa l’altra schiera, la chiamo indifferentista nel senso che è fatta di persone alle quali sta poco a cuore la sorte della nostra democrazia, forse perché hanno solide condizioni e quindi possono permettersi di essere indifferenti a che governi Salvini+Meloni o Pd+5 Stelle.

A costoro sembra anzi disturbare questa situazione “anomala” perché difficile da categorizzare e da semplificare. Questa schiera è meno nobile della prima e forse anche più disfattista. Ricorda un po’ i vociani del primo Novecento, che castigavano tutto quel che puzzava di prudenza parlamentare, compromesso, assenza di radicalità.

C’è poco da aggiungere a commento di questa schiera, se non ricordar loro quel che conoscono e che forse non amano molto: la democrazia parlamentare. La quale è una condizione di stabilità proprio perché, come insegnavano Hans Kelsen e Norberto Bobbio, consente mediazioni e compromessi tra partner che si erano fin lì presi per i capelli, che cambia gli scenari (e relativamente anche gli attori) senza destabilizzare il sistema, e che funziona meglio se i partiti non sono troppo identitari.

La democrazia parlamentare ha la valvola delle elezione anticipate come ultima spiaggia, a dimostrazione del suo (momentaneo) fallimento. Ci suggerisce di essere abili nel giudizio politico e non puristi ed ex-ante dispregiatori di una soluzione che può funzionare, né indifferenti rispetto a chi vince o perde ― noi siamo sempre di parte quando valutiamo e giudichiamo, mai indifferenti alle parti, e quindi dovremmo volere il bene del Paese.

Detto questo, non sarebbe meglio incalzare il governo su quel che deve fare e cercare di sfoderare una critica costruttiva? Volere che funzioni è l’unica arma intelligente contro il populismo, un’arma politica.

 

Huffingtonpost, 12 settembre 2019

Politologa. Titolare della cattedra di scienze politiche alla Columbia University di New York. Come ricercatrice si occupa del pensiero democratico e liberale contemporaneo e delle teorie della sovranità e della rappresentanza politica. Collabora con i quotidiani L’Unità, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano e con Il Sole 24 Ore; dal 2019 collabora con il Corriere della Sera e con il settimanale Left.

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