REGOLARE LA RETE, PRIMA CHE LA RETE REGOLI NOI

04 Apr 2019

Vincenzo Vita

Quarta o quinta che sia, l’era della Rete è oggi lontanissima da quella immaginata dai profeti digitali. Il sogno del creatore del World Wide Web, vale a dire il sistema di connessione tra i computer – Tim Berners-Lee – o del padre spirituale di Internet Vinc Cerf si è infranto. Sugli scogli degli oligarchi dei dati: da Google a Facebook, alle potentissime società cinesi: un’aristocrazia dominante e priva di scrupoli. Dopo gli scandali delle intercettazioni di massa e della compravendita di milioni di profili personali attraverso intermediari come Cambridge Analytica, il clima di opinione è assai mutato. Ne ha dovuto prendere atto lo stesso Mark Zuckerberg che, in una lettera aperta al Washington Post, ha invocato norme e regole.
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E’ un colpo di teatro difensivo o una reale disponibilità al confronto? Per verificare come stanno le cose c’è un solo modo: mettere all’ordine del giorno un corpo di norme transnazionali, riguardando la rete il mondo intero, avvolto in tempo reale come preconizzava per i media con virtù rabdomantiche McLuhan.
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Innanzitutto, va ripreso il filo conduttore che portò le Nazioni unite a concepire nella sua struttura l’Internet governance forum (IGF) nel 2005 aTunisi, nel corso del World summit sulla società dell’informazione (WSIS). Nel 2006 ad Atene si tenne il primo incontro, con un ruolo decisivo svolto da Stefano Rodotà. Il grande e compianto giurista ci ha lasciati e tuttavia non mancano personalità in Italia che ne potrebbero rilevare il testimone su un argomento così rilevante. Vi lavorò, tra l’altro, una importante commissione istituita dalla presidente della camera dei deputati Laura Boldrini e diretta proprio da Rodotà. Il documento licenziato nel 2015 è un materiale da cui ripartire. Così, sul piano internazionale sarebbe auspicabile che un ruolo chiave venisse affidato allo stimato docente di legge della Harvard Law School Lawrence Lessig, autore di testi fondamentali sui limiti del copyright (fautore dei Creative Commons) e  sulla “neutralità” delle rete, vale a dire il diritto all’accesso libero e non discriminatorio ad un vero e proprio bene comune. Come deve tornare ad essere Internet. Insomma, è il momento di costruire una commissione di esperti di indiscussa autorevolezza, cui chiedere di scrivere un corpo di norme adeguato al tempo digitale.
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I problemi sono numerosi, ovviamente. C’è la questione della concentrazione in pochissime mani di un potere abnorme, da risolvere con una secca scelta antitrust, simile a quella che portò la Federal communications commission (FCC) degli Stati uniti a decidere negli anni Ottanta lo smembramento in diverse società del monopolio nelle
telecomunicazioni di At&T. Insomma, gli Over The Top devono sottostare a regole almeno omologhe agli orientamenti consolidati nei media delle stagioni precedenti. Almeno, perché i rischi sono cresciuti clamorosamente. Così, servirebbe un Golden power degli organi pubblici negli e sugli apparati societari. Imprese di tale mostruosa vastità non appartengono solo ai proprietari. La proprietà privata trova, infatti, qui un limite strutturale, che impone di tenere in conto la pervasività di chi dispone della più importante delle materie prime: l’identità delle persone. Quando si superano i confini conosciuti dal diritto nelle culture analogiche serve uno scarto coraggioso. E poi vi è la specifica regolazione delle campagne elettorali, lasciate ora all’oppressione dei forti sui deboli. Anzi. Non è tutto questo uno dei banchi di prova per un’Europa da rinnovare, ora che si vota?
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il manifesto, 3 aprile 2019

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