“Visibile, invisibile” così la realtà diventa una scommessa

24 Mar 2019

Nella società dell’immagine, ciò che non si vede è. La realtà è invisibile e il visibile è irreale.
Affidiamo la nostra sfera privata a nuvole di dati che galleggiano sulle nostre teste. Cediamo le decisioni della politica a reti di computer che non controlliamo. Lasciamo che a darci la sveglia al mattino sia un algoritmo che si arroga il diritto di interpretare le nostre abitudini e, su quella base, scegliere per noi la musica ideale d’inizio giornata.

Per questo la decisione di dare alla sesta edizione di Biennale Democrazia (Torino 27-31 marzo) il titolo «Visibile Invisibile», è una scelta coraggiosa. Quasi spericolata. I diversi fili che attraversano la manifestazione raccontano di quel rischio. Di una società dall’equilibrio precario dove la visibilità è la certificazione di un potere, come accade nell’India delle caste, sopravvissuta con la sua antica divisione sociale anche a un impetuoso boom economico. 

Metafora, quella indiana, del feroce attacco concentrico alla middle class che arriva dall’America di Trump e dagli oligarchi russi, tutti impegnati a smantellare quello stato sociale, ragione fondante della classe media e, in ultima analisi, la radice stessa dell’Europa dall’Illuminismo in poi. Attaccare i piani intermedi dell’ ascensore sociale significa dividere il mondo in una massa di poveri e in un’élite di benestanti, cancellare lo spazio di ogni possibile mediazione, abolire l’idea stessa di compromesso. Accettare la divisione del mondo in Sommersi e Salvati, opportunamente tema della serata di apertura, dove l’orrore dei campi di concentramento nazisti diventa testimonianza di dove può concludersi la parabola dei populismi europei.

Massimo Cacciari pone subito il tema che è stato all’origine della storia delle élite nell’Occidente: l’idea di realtà riflessa che fin dalla caverna di Platone giustifica e rende necessaria l’esistenza di ogni classe dirigente, unica in grado di interpretare ciò che realmente è, distinguendolo da quel che semplicemente appare.

A fare da contrappeso, l’idea di partecipazione e trasformazione della società, raccontata da don Luigi Ciotti. La tecnica e l’informatica danno voce alle istanze di trasformazione sociale. Sono uno strumento, ma determinano anche in modo nuovo le linee di cambiamento. Il confine tra reale e digitale diventa sempre più impalpabile: è il grande gioco di The Game raccontato da Alessandro Baricco.

L’edizione di Biennale Democrazia cade nel cuore di una trasformazione profonda dei rapporti sociali e delle strutture della politica che le governa. Nel mezzo di quello che il sociologo tedesco Wolfgang Streeck definisce lo svanire del capitalismo, la sua lenta decadenza. Un’età di mezzo che potrebbe durare anche a lungo e durante la quale la democrazia potrebbe rimanere al centro del mirino dei populismi. Di questa lunga transizione parla Jacques Ranciere, filosofo francese, allievo di Althusser.

La rassegna diventa così una sorta di manuale di istruzioni per l’uso di una società che nel 2021, alla settima edizione, sarà profondamente diversa da quella di oggi. Tra le avvertenze per leggere l’immediato, sarà certamente cruciale la lezione di Jean Claude Guedon su «Scienza e democrazia», tema attualissimo in epoca di «No vax» e «questo lo dice lei».

Molto ricca, la sesta edizione si incarica spesso di indagare e rivelarci l’invisibile che non sospettiamo esistere, il retropalco che determina le nostre vite e orienta le nostre scelte. Di questi rovesciamenti di prospettiva fa parte di diritto il dibattito di chiusura. L’idea stessa di portare tra gli stucchi del Teatro Carignano l’intervista pubblica di Marco Damilano ad Aboubakar Soumahoro, il sindacalista dei braccianti di colore sfruttati nelle tendopoli italiane, consente di vedere da vicino che cosa accade nel retrobottega dei nostri centri commerciali. «Scoprire che cosa vuol dire – come racconta spesso Soumahoro – che un’arancia costa pochi centesimi anche se ha fatto migliaia di chilometri per arrivare sulle vostre tavole». Cose invisibili che è salutare portare alla luce.

La Biennale della Democrazia, di cui è presidente Gustavo Zagrebelsky, tra confronti e dibattiti sarà in corso a Torino dal 27 al 31 al Torino

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