In Italia mille morti di mafia e ora le vittime sono i migranti

24 Mar 2019

«Lhassan Goultaine, Anane Kwase, Mousse Toure, Lahcen Haddouch » . Chi è quel signore con i capelli bianchi che, sul palco, davanti ai 50mila che riempiono l’enorme e bellissima piazza di Prato della Valle, scandisce gli ultimi 18 nomi, tutti stranieri, dell’infinito elenco delle vittime innocenti delle mafie che quest’ anno per la prima volta ha tristemente superato quota mille? È Giancarlo Caselli, una vita da magistrato in trincea contro la criminalità organizzata. «Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino».

E chi è quel ragazzo intimidito davanti a tanta gente quanta non ne ha mai vista, che legge, cercando di non storpiarli, i nomi dei più noti eroi del nostro tempo? È John, 18 anni, nigeriano, uno dei 37 ragazzi del gruppo di Amunì, “giustizia riparatrice”, quelli che hanno sbagliato e che invece di finire in carcere hanno seguito un percorso di recupero che li ha portati ad incontrare Libera, ma soprattutto il confronto con chi porta addosso le stimmate del dolore, per quei cari che gli sono stati strappati via e per i quali l’ 80 per cento di loro non ha neanche avuto giustizia.

Eccolo il segno, nuovissimo, della XXIV Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime di mafia. I nomi dei magistrati che hanno perso la vita lottando contro Cosa nostra, camorra e ‘ ndrangheta accanto a quelli degli immigrati, 18 solo l’ anno scorso, morti per mano dei caporali nella schiavitù delle campagne italiane. Mafia anche quella. Lo urla con veemenza don Luigi Ciotti: «No all’ attacco dei diritti umani, no alla gestione repressiva dei migranti.

Le leggi devono tutelare i diritti non il potere, devono promuovere l’ uguaglianza, non le discriminazioni. E no al mercato delle vacche dell’ Europa che deve vergognarsi quando gioca allo scaricabarile sulla pelle dei poveri cristi. Io sto con Mediterranea che salva vite umane, io sto con l’ amico Roberto Saviano che scrive parole graffianti».

Sono arrivati in tantissimi, 50mila si diceva (un milione con quelli che affollavano le tante altre piazze in Italia e all’ estero), ben più di quanti se ne attendevano in una città nel cuore di quel Nordest che solo ora sta aprendo gli occhi davanti all’ attacco criminale dei clan. Mette in guardia il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, che sfila accanto al segretario della Cgil Landini e all’ ex presidente della commissione antimafia Bindi: « Ora rischiano di rubarci l’ economia ».

È a loro che si rivolge il presidente della Repubblica Mattarella: « Vogliamo liberare la società dalle mafie, è un traguardo doveroso e possibile». È a loro che don Ciotti lancia il suo appello: « Basta silenzi, dobbiamo alzare la voce. C’ è gente che ha deciso di metterci la faccia e dire da che parte sta».

Guanto di sfida raccolto da volti puliti e sconosciuti che sfilano portando lo striscione di testa accanto a Nando Dalla Chiesa. Il volto di Cristina Marcadella, padovana, che dopo 25 anni ha deciso di raccontare la sua storia, ferita alle gambe nel ‘ 92 nell’ agguato in cui perse il fidanzato Matteo Toffanin scambiato per un mafioso del Brenta solo perché aveva la stessa auto. «Sono la testimonianza – dice – che la mafia può sconvolgere la vita di chiunque». O il volto di Roberta Congiusta, la sorella di Gianluca, commerciante di Siderno ucciso nel 2005, che sfila con al collo lo stesso papillon di suo padre: « È morto qualche mese fa, aspettando invano giustizia, ucciso dal dolore dopo l’ ultima sentenza».

O ancora il volto stupito di Sueda Demaj, 22 anni, albanese: che suo zio Hyso Telharaj, bracciante agricolo, fosse una vittima del caporalato in Puglia, glielo hanno svelato i ragazzi di Libera. Don Ciotti li abbraccia tutti e dice: «Fino a quando non si capirà che le vittime della mafia siamo tutti noi, i morti vivi, quelli a cui la mafia sta togliendo speranza e futuro, la memoria sarà solo retorica».

la Repubblica, 22 marzo 2019

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