Luci, oscurità e nuovi poteri nella società della vetrina

23 Mar 2019

Gustavo Zagrebelsky Presidente Onorario Libertà e Giustizia

Biennale Democrazia sceglie, per la sua sesta edizione, di riflettere sul visibile e sull’ invisibile. Da sempre, filosofia e religione ricorrono a immagini legate alla luce. Dai raggi che illuminano il volto di Mosè al rischiaramento fuori dalla caverna di Platone fino alla potenza rivoluzionaria dell’ Illuminismo, la luce è stata metafora dell’ eterna lotta del bene contro il male. Giunta al suo decimo anno, Biennale Democrazia ha scelto di ritornare sui lumi di ogni tempo come antidoto alle rinnovate minacce di oscurantismo che incombono sul nostro presente.

Ma non solo. Anche la visibilità, la trasparenza e la luce devono essere sottoposte alla nostra capacità critica. Secondo Hegel, «nell’assoluta chiarezza non ci si vede né più né meno che nell’assoluta oscurità»; a quasi duecento anni di distanza, questa affermazione non potrebbe essere più attuale.

Oggi, infatti, viviamo in un mondo ad altissima visibilità in cui però molto resta celato agli occhi della coscienza. La grande quantità di immagini e di dati a nostra disposizione ci permettono di vedere posti remoti e di accedere a informazioni che fino a tempi recenti erano privilegio di pochi. Ciò non implica, però, necessariamente un miglioramento della nostra capacità di analisi e conoscenza. Ci sentiamo spesso accecati; vediamo ma non sempre capiamo. Ci illudiamo che la rapidità della comunicazione ci mostri immediatamente il reale, ma dimentichiamo che vecchi e nuovi media continuano a selezionare, scegliere, mediare.

Inoltre, le nostre vite sono continuamente sotto i riflettori, e come attori su un palcoscenico siamo in mostra senza vedere il pubblico, abbagliati da troppa luce.

La trasparenza, certo, è necessaria al governo democratico, da sempre legittimato proprio dalla possibilità per i cittadini di vedere all’opera i propri rappresentanti sul palcoscenico della politica.

Oggi, però, la logica della trasparenza democratica ci pare rovesciata: la vita dei cittadini è messa in mostra di fronte al potere e non viceversa.

Sono semmai i personaggi politici a ostentare il proprio privato sulla scena pubblica, senza che ciò renda in alcun modo più visibile l’operato del potere.

Discutere di democrazia attraverso la lente del visibile e dell’ invisibile vuol dire, allora, vagliare criticamente i nuovi poteri invisibili e le trasformazioni dei rapporti fra cittadini e istituzioni, ma anche, forse soprattutto, ripensare le relazioni orizzontali che sono alla base della convivenza democratica.

Non le nostre vite in vetrina, ma quei legami invisibili tra i cittadini, quelle pratiche quotidiane di tolleranza e rispetto, senza le quali anche le istituzioni democratiche rischiano di perdere di senso.

Con un gioco di parole: non i riflettori ma la riflessione.

Perché rinnovare la società democratica vuol dire riaprire canali di dialogo fra rappresentanti e rappresentati ma soprattutto fra cittadini; rinnovare lo scambio fra persone differenti e mondi tra loro lontani. Tra cultura umanistica e scientifica, tra centro e periferia, tra alto e basso, per superare la logica di contrapposizione che riduce la politica ad un campo di battaglia in cui si affrontano nemici. Per quanto faticoso tutto ciò possa apparire, questo è il terreno su cui si gioca la sopravvivenza della democrazia.

(*) E’ il testo dell’intervento di Gustavo Zagrebelsky, alla Biennale della Democrazia di cui è presidente, che si svolgerà a Torino dal 27 al 31 marzo. Sull’evento si veda anche l’articolo relativo nella sezione Cultura.

 

Nato a San Germano Chisone (To) il 1° giugno 1943. Laureato a Torino, Facoltà di Giurisprudenza, nel 1966, in diritto costituzionale, col professor Leopoldo Elia.

  • Professore di diritto costituzionale e diritto costituzionale comparato alla Facoltà di Giurisprudenza e alla Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Sassari dal 1969 a 1975.
  • Professore di diritto costituzionale comparato alla Facoltà di scienze politiche dell’Università di Torino dal 1975.
  • Professore di diritto costituzionale alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino, dal 1980 al 1995.

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