EUROPA, COME TI VORREI

17 Mar 2019

Vincenzo Vita

La questione dell’Europa è oggi una straordinaria metafora del nuovo mappamondo. Che, ormai, si è girato rispetto alla visione della centralità occidentale: la Cina è davvero vicina e sta vincendo la “guerra fredda” della lotta per la supremazia scientifica, a cominciare dalla regina delle tecniche perché integra e supera tutte le altre: l’intelligenza artificiale.

Trump e il suo regime, Putin e suoi oligarchi, la Brexit come epifania del “sovranismo” danno il tocco politico-estetico della geopolitica contemporanea, la cui visione d’insieme sembra scomparsa dal talk politico, esasperatamente provinciale, prima che nazionale o “sovranista”. E poi la profonda trasformazione dell’intero sub-continente asiatico, con l’India in progressione elevata. Non solo.

L’Africa è in ebollizione, perché la sua evoluzione è diseguale, segnata dagli esiti del terribile colonalismo europeo che l’ha devastata. E il tema dei migranti non è un accidente da esorcizzare o da reprimere, come vorrebbero governanti dal piglio autoritario, tragico e grottesco; bensì riguarda nel vivo dei corpi il tema dei temi: i flussi che accompagnano ogni grande passaggio di epoca. La faccia della globalizzazione che tocca le persone in carne e ossa.

Qui dentro sta, deve stare la discussione sull’Europa, fuori dall’assurda e nichilista polarità “dentro-fuori”. Come se ancora il problema si potesse limitare all’esegesi dei buoni propositi di Ventotene (stracciati pressoché subito) o alla rincorsa dei populismi di destra separatisti. La ri-costruzione dello spirito continentale richiede da una parte un profondo ripensamento dei trattati, dall’altra -soprattutto- l’entrata in scena di soggettività politiche e sindacali effettivamente europee. Se non si compongono le differenze esasperate nelle e tra le formazioni che fanno capo al GUE (Gruppo Unitario Europeo) non si arriva ad un vero punto di rottura con il passato.

Tra le forze che si battono per una trasformazione dell’Unione (Diem 25, Podemos, Sinistra portoghese) e quelle ispirate al “sovranismo” (France Insoumise, Aufstehn diretta da Waghenecht e La Fontaine in Germania) c’è una frattura pesante, che si riverbera pure su ciò che si muove in Italia fuori dal Partito democratico. È proprio di queste ore, tra l’altro, il tentativo di costruire una lista di sinistra per il prossimo voto di maggio. Sarebbe un passo importante, potenziale anticipazione di un seguito utile e costruttivo. E’ un appello che rivolgiamo a tutte e a tutti. Appello tanto più doveroso dopo la straordinaria mobilitazione di miglia e migliaia di giovani nel mondo per il clima. Altro che riscoperta dei nazionalismi. Le generazioni digitali sono per loro natura interconnesse e cosmopolite.

Altrimenti calerebbe, forse per più di un lustro, il sipario. E la stessa parola “sinistra” diverrebbe impronunciabile: tanti sono gli errori e le occasioni mancate. Frutto di delitti colposi e talvolta persino dolosi.

Rimettere insieme -difensivamente- i cocci, tuttavia andando verso nuove stagioni di militanti e dirigenti, è cruciale. Ed è coessenziale trovare luoghi e forme di organizzazione unitaria del lavoro, frastagliato nell’era del capitalismo delle piattaforme in mille rivoli contrattuali e in altrettante dimensioni local-statuali (a comando globale e sotto l’egida degli algoritmi). La sacrosanta esigenza di irrompere nella strettoia “Commissione-Banca centrale” e di sconfiggere la sbornia liberista che ha segnato gli ultimi trent’anni rimane un’evocazione astratta se non si cala in lotte concrete o, meglio, nella capacità di coordinare i numerosi rivoli di resistenza o di rivolta. Contro la finanza crudele, ma pure contro i proprietari dei dati della Rete.

Le mobilitazioni, persino quando sono grandi e forti, se non vengono “contaminate” da un pensiero di cambiamento sociale e non di mera

ribellione, corrono verso la strada delle destre. Il puro rifiuto, senza ideologie di riferimento, degenera facilmente nel qualunquismo o nella Vandea. Sembra questa, del resto, la parabola del pur variegato movimento dei Gilets jaunes. Sicuramente sono colorate di nero l’onda ungherese e le svariate sfumature di Visegrad.

L’Europa rinasce se i suoi pezzi vengono ridefiniti in una logica di rinnovato intervento pubblico e di lotta contro le disuguaglianze: di classe, non di casta. Sì, la facile dialettica oppositiva (vinta a tavolino) tra “élite e popolo” va sostituita da quella sempre attuale tra ceti dominanti e settori subalterni, sfruttati o precarizzati. Schiavi materiali e intellettuali.

Non è facile, ovviamente, rifondare una sinistra in Europa per un’Europa in grado di aprire un ciclo post-socialdemocratico. La sfida, però, è questa e il voto che incombe costituisce un esame di maturità.

L’Associazione per il rinnovamento della sinistra e il Centro per la riforma dello stato vogliono offrire alla discussione un luogo aperto e unitario per riannodare i fili del discorso. Il seminario che teniamo presso la Fondazione Basso a Roma intende affrontare alcuni dei capitoli essenziali che toccano il tessuto nervoso della vicenda europea: pace e guerra, presenza nella Nato ed alleanze internazionali; lavoro; migrazioni e strategie dell’accoglienza; diritti (vecchi e nuovi, come ad esempio il copyright-copyleft) e assetti democratici.

Il processo decisionale richiede, infatti, un profondo ripensamento: tempi e modalità partecipative sono cruciali per riannodare il rapporto tra governanti e governati, a partire dai poteri del parlamento e dalle modalità di designazione dei commissari. Al seminario partecipano espressioni politiche, associative, sindacali diverse e plurali. Il confronto va condotto senza pre-concetti e senza pre-giudizi.

Roma, Fondazione Basso, 16 marzo 2019

(*) Il testo pubblicato è la sintesi dell’intervento di Vita al seminario promosso da Ars e Crs, che si è tenuto il 16 marzo a Roma.

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