Diciotti/non si può sostenere che Salvini abbia agito “per ragioni di sicurezza nazionale”

17 Mar 2019

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Alle On.li Senatrici e agli On.li Senatori
del Senato della Repubblica

Milano, 5 marzo 2019

Oggetto:
Domanda di autorizzazione a procedere nei confronti del Ministro dell’interno Matteo Salvini.
Contributo giuridico dell’Associazione “ ITALIASTATODIDIRITTO.

Onorevole Senatrice, Onorevole Senatore,

l’Associazione ITALIASTATODIDIRITTO., che ho l’onore di rappresentare, riunisce uomini e donne di diritto, impegnati nella diffusione e nella difesa dei principi e degli istituti della democrazia liberale rappresentativa, nella promozione della legalità, del confronto democratico e nella difesa dei diritti fondamentali di libertà (https://italiastatodidiritto.it).

La nostra Associazione ha elaborato – nel quadro della attività di promozione dei valori e dei principi dello Stato di diritto – un contributo giuridico alla riflessione in corso presso il Senato, in ordine alla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del Sen. Salvini pervenuta dal Tribunale dei Ministri di Catania, che affronta i complessi e delicati profili di diritto costituzionale, penale e internazionale che vengono in rilievo nel caso di specie.

Le trasmettiamo dunque il documento qui accluso augurandoci, in tal modo, di essere di ausilio nel compito che aspetta il Senato della Repubblica, e di contribuire così alla vita democratica delle Istituzioni.

Mentre siamo certi della attenzione che vorrà riservare alle accluse riflessioni, cogliamo l’occasione per augurarLe buon lavoro.

Il Presidente di ITALIASTATODIDIRITTO.

Avv. Simona Viola



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Milano, 5 marzo 2019

Alle On.li Senatrici e agli On.li Senatori
del Senato della Repubblica

Contributo di carattere giuridico reso dai Proff. Eugenio Bruti Liberati, Fabrizio Cassella, Dino Rinoldi, Aldo Travi e dall’Avv. Simona Viola, in qualità di Presidente di ITALIASTATODIDIRITTO, in merito alla domanda di autorizzazione a procedere nei confronti del Ministro dell’interno Matteo Salvini.

L’Associazione ITALIASTATODIDIRITTO, con sede a Milano, via Serbelloni n. 7, ritiene opportuno sottoporre alle On.li Senatrici e agli On.li Senatori alcune considerazioni in merito alla domanda di autorizzazione a procedere presentata dal Tribunale di Catania nei confronti del Ministro dell’interno Matteo Salvini.

La decisione dell’Associazione di formulare queste considerazioni e di portarle a conoscenza dei componenti del Senato nasce innanzi tutto dalla circostanza che l’Associazione è stata costituita con la finalità specifica di operare per diffondere e tutelare i principi costituzionali e più in generale i principi dello Stato di diritto, e la procedura avviata dalla domanda di autorizzazione a procedere presentata nei confronti del Ministro dell’interno Matteo Salvini costituisce un evento e un precedente di straordinario rilievo per il nostro ordinamento costituzionale, con un peso giuridico e istituzionale fortissimo. Inoltre il dibattito avviato nel Paese dalla domanda del Tribunale di Catania è stato spesso orientato in senso politico, come se la decisione di fondo dovesse essere determinata da ragioni di solidarietà o di opposizione nei confronti del Ministro dell’interno, mentre si deve ritenere, anche alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale, che una decisione debba essere assunta essenzialmente alla luce del diritto.

1. Il quadro costituzionale generale. – L’art. 9, comma 3, della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1, prevede che il Parlamento (e più esattamente la Camera individuata come competente sulla base di criteri di legge) possa negare l’autorizzazione a procedere richiesta per un reato ministeriale se reputa che “l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo”. La legge costituzionale ha inteso così salvaguardare l’operato del Ministro da interventi della magistratura penale, quando l’operato del Ministro sia stato determinato da esigenze eccezionali.

La Corte costituzionale ha avuto occasione di chiarire il significato e la portata di questa disposizione. In particolare, in alcune sentenze rese nel 2012, la Corte ha precisato che anche le norme sull’autorizzazione a procedere per reati ministeriali, come tutte quelle che prevedono forme di immunità dall’esercizio della giurisdizione, “introducendo una deroga eccezionale al generale principio di uguaglianza, …, sono comunque soggette a stretta interpretazione” (così Corte Cost., 12 aprile 2012, n. 87; nello stesso senso anche la sentenza gemella n. 88/2012) e, ancora, che “gli spazi della discrezionalità politica sono limitati dal diritto positivo cioè dai principi di cultura giuridica posti dall’ordinamento” (Corte Cost n. 81/2012). Un’interpretazione estensiva della normativa che consente al Parlamento di precludere allo speciale Tribunale per i Ministri di procedere all’accertamento dei reati ministeriali in ipotesi commessi potrebbe infatti “trasmodare” in un privilegio accordato alla persona del Ministro, come tale incompatibile con i principi propri del nostro ordinamento costituzionale e in particolare con il principio fondamentale di pari trattamento rispetto alle regole sull’esercizio della giurisdizione.

2. Il ruolo del Senato nel procedimento in oggetto. – Nelle pronunce appena richiamate la Corte costituzionale ha altresì chiarito che “l’intervento della Camera competente, …, può e deve essere limitato all’apprezzamento, in termini insindacabili se congruamente motivati, della sussistenza dell’interesse qualificato a fronte del quale l’ordinamento stima recessive le esigenze di giustizia del caso concreto”.
La legge costituzionale ha introdotto nell’ordinamento due speciali cause di giustificazione a favore dei Ministri che abbiano commesso (in ipotesi) un reato nell’esercizio delle loro funzioni. Si tratta di cause di giustificazione di portata diversa rispetto alla comune causa di giustificazione dell’art. 51 c.p., che esclude l’antigiuridicità del fatto quando è stato commesso nell’esercizio di un diritto o nell’adempimento di un dovere. La lettera delle due speciali cause di giustificazione (“per la tutela …”, “per il perseguimento …”) induce a ritenere che esse debbano operare dando rilevanza alle ragioni che hanno determinato il Ministro a commettere il reato, e più precisamente agli interessi eventualmente pubblici perseguiti dallo stesso.
Risulta pertanto chiarito che l’interesse pubblico indicato dal Ministro a giustificazione della sua condotta deve essere un interesse qualificato; inoltre deve essere congruamente motivato l’apprezzamento della Camera volto eventualmente a ritenere che tale interesse qualificato sia configurabile e sia idoneo a far considerare recessive “le esigenze di giustizia del caso concreto”.
Ciò significa innanzitutto che non qualsiasi indistinto interesse pubblico può essere richiamato per motivare il diniego dell’autorizzazione a procedere: si deve infatti trattare di un interesse non soltanto specifico ed esattamente individuato ma anche, appunto, qualificato, cioè riconosciuto e tutelato come interesse pubblico dalle norme che disciplinano l’esercizio della funzione di governo del Ministro a cui la richiesta di autorizzazione a procedere si riferisce. Esso dovrà essere anche, per esplicita indicazione della norma costituzionale cit., “costituzionalmente rilevante” o “preminente”.
Evidentemente, il legislatore costituzionale del 1989 ha considerato che la particolare struttura dell’indagine sull’operato di un Ministro, caratterizzata dalla dialettica tra il Pubblico Ministero che presenta al Tribunale le sue richieste (di archiviazione o di rinvio a giudizio) ed il Tribunale dei Ministri che attiva autonomamente l’indagine secondo le scansioni proprie di un giudice istruttore, offra garanzie sufficienti e sia tale perciò da non richiedere una ulteriore valutazione in sede parlamentare della fondatezza della notizia di reato, della eventuale sussistenza delle cause di giustificazione comuni degli artt. 50 – 55 c.p., e della sufficienza della prova del dolo ai fini del radicamento di un giudizio nelle forme ordinarie avanti il Tribunale penale competente per territorio. La Camera competente ad esprimersi sulla richiesta di autorizzazione deve limitarsi a valutare, con riferimento al caso concreto, se i motivi che hanno condotto alla (ipotizzata) realizzazione del reato sono collocabili nell’ambito dell’interesse dello Stato “costituzionalmente rilevante” oppure nell’ambito del perseguimento di un “preminente” interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo. Nel caso in esame questa valutazione deve essere condotta dal Senato rispetto alla vicenda che qui interessa, così come rappresentata nella richiesta del Tribunale di Catania, e cioè con riferimento alla vicenda della privazione della libertà personale di 177 persone trattenute illegittimamente per sei giorni a bordo di una nave della Marina Militare italiana nel porto di Catania.
Inoltre, l’eventuale scelta del Senato di non accordare l’autorizzazione deve essere, sulla base delle chiare indicazioni della Corte costituzionale, congruamente motivata. Pertanto dovrà indicare con chiarezza quale sia il suddetto interesse pubblico qualificato, costituzionalmente rilevante o comunque preminente, inerente alle funzioni di governo svolte dal Ministro interessato, idoneo a prevalere sulle esigenze di giustizia che imporrebbero di accertare se la condotta tenuta dal medesimo costituisce reato.
Occorre aggiungere che appare ragionevole ritenere che la condotta del Ministro, per essere giustificata alla luce della finalità di assicurare il suddetto interesse pubblico qualificato, non possa aver imposto ai beni giuridici negativamente incisi da quella condotta un sacrificio non necessario. Va precisato che questo profilo non risulta affrontato dalla Corte costituzionale nelle sentenze sopra richiamate, ma risulta ugualmente incontestabile: si desume infatti in modo chiaro dai principi più generali applicati costantemente nella giurisprudenza costituzionale anche italiana. In altre termini, perché l’immunità ministeriale possa operare occorre non solo che l’interesse pubblico perseguito sia “preminente” nel raffronto con gli interessi (privati e pubblici) incisi dalla condotta in ipotesi illecita – come è richiesto espressamente dall’art. 9 della legge 1/1989 – ma anche che la condotta stessa non abbia ecceduto quanto strettamente necessario per la realizzazione di quell’interesse pubblico.
Se queste condizioni non siano sussistenti, l’autorizzazione a procedere non può essere legittimamente negata, perché altrimenti si trasformerebbe l’immunità ministeriale, da strumento di tutela della funzione di governo, in un privilegio – come ha affermato la Corte costituzionale – incompatibile con il principio di uguaglianza.

3. La questione dell’atto ‘politico’. – Nel dibattito che ha accompagnato in questi mesi la richiesta del Tribunale di Catania è stata spesso invocata la figura dell’atto ‘politico’, come prerogativa del Governo in sede collegiale e dei suoi componenti nell’esercizio di una funzione governativa: è stato affermato, in particolare, che la configurabilità di un atto del genere renderebbe insindacabile l’operato del Ministro.
Come è noto l’atto politico viene definito nel diritto pubblico come una scelta libera nel fine adottata in attuazione dell’indirizzo politico e a carattere generale. La lettura congiunta dell’art. 96 Cost. (che richiede l’autorizzazione a procedere) e della legge cost. n. 1/1989 (che ne disciplina le condizioni) consente di escludere che la prima disposizione costituzionale possa comportare situazioni di privilegio e identifica nei parametri della ragionevolezza e della congruità dell’atto posto in essere da un componente del Governo il fondamento del regime derogatorio stabilito per i c.d. reati ministeriali. La rilevanza dell’atto ‘politico’ in questo modo risulta marginale: infatti la disciplina costituzionale, così come rappresentata in seguito alla legge n. 1/1989, non accoglie la logica dell’insindacabilità penale dell’operato ‘politico’ dell’organo di Governo, ma introduce un regime derogatorio eccezionale e tipico al principio della piena responsabilità penale.
D’altra parte che possa essere invocata la nozione di ‘atto politico’ rispetto a un provvedimento attuativo di previsioni normative e concernente la libertà delle persone è già stato escluso autorevolmente dal Consiglio di Stato. In occasione delle leggi razziali, la tesi del Ministero dell’interno secondo cui i provvedimenti che affermavano o negavano l’appartenenza alla razza ebraica, implicando un giudizio politico, avessero natura di ‘atti politici’ e fossero perciò insindacabili in sede giurisdizionale, fu respinta senza incertezze dal Consiglio di Stato, che accolse vari ricorsi di cittadini ebrei affermando appunto l’estraneità della nozione di ‘atto politico’ rispetto ai provvedimenti puntuali incidenti sulle libertà personali (cfr. per tutti Cons. Stato, sez. V, 11 luglio 1941, n. 461 – est. Barra Caracciolo). Come è noto, questa giurisprudenza è stata ampiamente richiamata dalle più alte Autorità dello Stato nel corso dell’anno da poco concluso, in occasione del cinquantesimo anniversario delle leggi razziali, come esempio della fermezza del Consiglio di Stato in uno dei periodi più oscuri della storia del nostro Paese. È sulla base dei principi sopra indicati che deve essere analizzata la richiesta di autorizzazione a procedere presentata dal Tribunale dei Ministri di Catania nei confronti del Ministro Salvini. Invece una valutazione condotta sulla base di principi diversi non identificherebbe quell’apprezzamento di carattere insindacabile richiamato dalla Corte costituzionale e perciò finirebbe col non rappresentare neppure l’ultimo livello decisionale.

4. La legge penale e gli interessi rilevanti ai sensi della legge cost. n. 1/1989.
Costituisce patrimonio giuridico comune nello Stato di diritto che i motivi di sicurezza nazionale che possano ‘giustificare’ la violazione della legge penale da parte di un’autorità di Governo devono essere assolutamente gravi e non opinabili: devono concretarsi in una situazione di reale e attuale pericolo all’integrità dello Stato, alla vita e all’incolumità delle persone, ai diritti costituzionali fondamentali dei cittadini. Deve trattarsi, insomma, di situazioni raffrontabili – sul piano della gravità del pericolo – allo stato di necessità, che rappresenta una scriminante generale in sede penale.
Dagli atti fino qui depositati (si fa riferimento, oltre che alla domanda di autorizzazione del Tribunale di Catania, alla memoria presentata dal Ministro dell’interno alla Giunta delle elezioni e condivisa dal Presidente del Consiglio e dagli altri Ministri interessati) non emerge però alcun pericolo del genere. Non si deve confondere, infatti, la sicurezza nazionale (che è nozione di ordine giuridico) con la motivazione politica.
Come si è già accennato, in base alla legge costituzionale n. 1/1989 la  motivazione di ordine politico non rappresenta una giustificazione sufficiente per evitare il corso dell’azione penale anche nel caso dei reati c.d. ministeriali. D’altra parte che la motivazione politica non possa, di per sé, giustificare la violazione della legge penale risulta imposto anche dai principi dello Stato di diritto, che esigono la responsabilità giuridica del Governo e dei suoi componenti.
In altre parole, l’esigenza di fronteggiare un pericolo per la sicurezza nazionale può rappresentare, in astratto, la giustificazione ammessa dall’art.9 della legge cost. n. 1/1989, ma la situazione di pericolo deve essere reale e deve essere concretamente accertabile. In assenza di queste condizioni, non può darsi spazio ad alcuna motivazione politica a fondamento dell’operato di un Ministro. Non richiede particolari precisazioni la considerazione che il fatto che gran parte dei migranti si siano poi resi irreperibili, per essere fuggiti dall’hotspot di Messina (circostanza che a pag. 14 della memoria del Ministro viene richiamata a sostegno della sussistenza di una situazione di pericolo), non identificava alcuna concreta e reale situazione di pericolo per la sicurezza nazionale. A ben vedere dimostra solo una grave inefficienza degli apparati del Ministero competente.

5. Gli interessi rilevanti ai sensi della legge cost. n. 1/1989 e la vicenda all’esame del Senato. Sulla base delle considerazioni già illustrate e alla luce delle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale, appare opportuno prendere più puntualmente in considerazione la vicenda per la quale il Tribunale di Catania ha chiesto di procedere nei confronti del Ministro dell’interno. In proposito assumono rilievo le seguenti circostanze:

a) non si comprende quale potrebbe essere l’interesse pubblico qualificato, cioè riconosciuto e tutelato come tale da norme di legge, costituzionalmente rilevante o comunque preminente, che il Ministro avrebbe inteso perseguire ponendo in essere la condotta a lui imputata. La relazione del Tribunale dei ministri di Catania rileva che non può trattarsi in nessun caso dell’interesse alla tutela della sicurezza dello Stato, del suo popolo e del suo territorio, o comunque dell’ordine pubblico, dato che è stato accertato che a bordo della nave Diciotti non vi erano soggetti sospettati di costituire un pericolo per tali fondamentali valori, gli unici che avrebbero potuto consentire l’invocazione dell’art. 52 Cost. (difesa della Patria). Da ciò consegue che l’ordine dato dal Ministro al Dipartimento delle libertà civili e dell’immigrazione di non indicare alla nave Diciotti un POS (un ‘porto sicuro’ in cui sbarcare), sia che lo si qualifichi come atto amministrativo ovvero come atto politico, non ha copertura costituzionale proprio perché non mira a realizzare un fine degno di tutela da parte dell’ordinamento nel caso di specie;

b) gli interessi incisi dalla condotta del Ministro – la libertà personale e la dignità dei migranti – costituiscono diritti fondamentali della persona, riconosciuti come valori inviolabili dalla nostra Costituzione rispetto sia ai cittadini italiani che ad ogni altra persona di qualsiasi nazionalità; sono inoltre riconosciuti come valori inderogabili da principi e regole internazionali, che il nostro Paese ha sempre condiviso e che integrano quei parametri di legittimità cui si deve attenere la Camera chiamata a decidere sull’autorizzazione a procedere. La libertà personale non può essere limitata con un atto amministrativo: l’art. 13 Cost., com’è noto, sancisce l’inviolabilità della libertà personale e ne ammette limitazioni solo ad opera dell’autorità giudiziaria: ogni altra limitazione della libertà personale costituisce un reato non scriminato da alcuna disposizione dell’ordinamento, nemmeno ai sensi della legge costituzionale n. 1/1989;

c) in ogni caso, escluse– perché non configurabili – ragioni di ordine pubblico, legate alla “ sicurezza” della convivenza sul territorio nazionale, e che peraltro non erano mai state evidenziate nei giorni in cui veniva vietato lo sbarco dei migranti della nave Diciotti, l’unico interesse pubblico emerso nel caso concreto sembra essere quello manifestato dal Ministro dell’interno in quei giorni, con la volontà di ottenere, prima di indicare il porto sicuro idoneo allo sbarco, il consenso di altri Stati dell’Unione Europea al collocamento presso gli stessi di una parte almeno delle persone tratte in salvo (secondo il principio più volte enunciato dal Governo italiano, per il quale gli stranieri che si avvicinano al territorio nazionale italiano entrano in realtà nel territorio della UE, e devono dunque essere ripartiti fra i vari paesi che la compongono, superando il Regolamento c.d. di Dublino, n. 604/2013, che prevede invece che essi siano in un primo tempo accolti proprio nel Paese nel quale avviene il loro sbarco sul territorio europeo).
Peraltro, anche volendo considerare quello alla ripartizione europea dei naufraghi un interesse pubblico, risulta veramente difficile dimostrare che si tratti di un interesse pubblico “costituzionalmente rilevante” oppure “preminente”. E la decisione del Senato non può prescindere dai principi stabiliti dalla Costituzione in materia di politica estera: le modalità per le iniziative politiche del nostro Paese nei confronti degli altri Paesi e delle istituzioni sovranazionali devono ispirarsi ai principi del diritto internazionale, espressamente richiamati dagli artt. 11 e 117 Cost.

6. L’importanza istituzionale della decisione del Senato. – La decisione che sarà assunta dal Senato sulla richiesta di autorizzazione del Tribunale di Catania, per tutte le ragioni esposte sopra, avrà un rilievo istituzionale, e non semplicemente politico. Come tutte le decisioni di rilievo istituzionale rappresenterà un ‘precedente’ che indirizzerà e condizionerà anche in futuro le decisioni delle Camere in materia di autorizzazione a procedere.

Di conseguenza, se per ragioni di ordine politico il Senato dovesse negare l’autorizzazione a processare il Ministro, introdurrebbe il precedente secondo il quale sarebbe insindacabile in sede giudiziaria la scelta – penalmente rilevante – di limitare la libertà personale di cittadini stranieri per mezzo del consapevole ritardo di un atto amministrativo dovuto (concretizzando così l’elemento soggettivo del reato), quale è da ritenere, anche in base alle convenzioni internazionali sottoscritte dall’Italia, la comunicazione alla nave che ha prestato i soccorsi in mare del porto sicuro attrezzato per lo sbarco e l’accoglienza. Tale precedente varrà, per identità di ragioni, anche in presenza di altre limitazioni della libertà personale disposte dal potere esecutivo nei confronti di cittadini o di stranieri e ciò, si ripete, in contraddizione con quanto sancito (indifferentemente per cittadini e per gli stranieri) dall’art. 13 Cost.

Prof. Eugenio Bruti Liberati

Prof. Fabrizio Cassella

Prof. Dino Rinoldi

Prof. Aldo Travi

Avv. Simona Viola, Presidente di
ITALIASTATODIDIRITTO

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