Libro e moschetto

10 Mar 2019

Domenico Gallo Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

Scene di tripudio hanno accompagnato mercoledì scorso alla Camera l’approvazione del disegno di legge che reca “modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa”. Con la Lega hanno esultato i deputati di Forza Italia e di Fratelli d’Italia che hanno innalzato numerosi striscioni con la scritta “finalmente una cosa di centro-destra”. Certamente la destra si è sempre battuta per le “liberalizzazioni”, intese come allentamento delle regole che soffocano l’iniziativa privata, che una norma “sovietica” della Costituzione italiana pretende di subordinare alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Però a tutto c’è un limite. Non ci saremmo mai aspettati che i fautori della deregulation arrivassero a rivendicare la liberalizzazione dell’omicidio. Perché di questo si tratta.

Stabilire per legge che in caso di violazione di domicilio sussiste sempre il rapporto di proporzionalità fra l’offesa ricevuta e la reazione dell’aggredito, significa legittimare l’omicidio, tanto più che la norma che punisce l’eccesso di legittima difesa è stata neutralizzata dalla previsione di non punibilità di chi ha agito “in stato di grave turbamento”.

Si dà il caso che il principio della proporzione fra l’offesa e la difesa è un principio antichissimo, che precede lo Stato liberale e che viene riconosciuto anche negli ordinamenti autoritari. Non a caso le regole che autorizzano la reazione violenta del soggetto minacciato nel caso di legittima difesa sono state scritte dal Ministro guardasigilli di Mussolini, Alfredo Rocco, ed inserite nel codice penale del 1930. Adesso che è stato scardinato l’istituto della legittima difesa scolpito nel codice Rocco, sarebbe molto semplice obiettare che si tratta di disposizioni incostituzionali, destinate a cadere sotto il maglio della Corte costituzionale, anche alla luce della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo che ammette la liceità dell’uccisione di una persona da parte del soggetto aggredito soltanto ove tale comportamento risulti “assolutamente necessario” per respingere una violenza illegittima in atto contro una persona (art. 2, comma 2) e non una mera aggressione al patrimonio. In realtà dal punto di vista pratico la norma ha scarsissima influenza, perché si contano sulle dita di una mano i processi per eccesso di legittima difesa. L’unico processo assorto all’onore delle cronache fu quello per l’omicidio del centrocampista della Lazio Luciano Re Cecconi, che fu ucciso il 18 gennaio 1976 da un colpo di pistola sparato da un gioielliere che temeva di essere rapinato, salvo scoprire subito dopo che si trattava di uno scherzo. Purtroppo le pistole sono oggetti stupidi, non capiscono lo scherzo.

Allora bisogna chiedersi: perché tanta enfasi per una riforma che ha un effetto pratico quasi nullo nelle vicende del processo penale, dove sta il valore aggiunto?

In realtà la riforma della legittima difesa è una riforma pesante perché ha un alto valore simbolico. Abbatte un vero e proprio tabù nella cultura popolare: il rispetto della vita umana. Si tratta di una riforma che ha senso solo da un punto di vista educativo, anzi dis-educativo. Insegna il ricorso alla violenza, a farsi giustizia da sé, senza scrupoli e senza limiti. Come ha fatto quell’imprenditore di Piacenza condannato per tentato omicidio di una persona che si era introdotta nel suo cantiere per rubare del gasolio. Le indagini della procura di Piacenza hanno stabilito che l’intruso fu immobilizzato, costretto a inginocchiarsi ed ebbe la testa sbattuta contro i sassi, a quel punto l’imprenditore esplose un colpo di lupara a distanza ravvicinata. Non a caso il nostro Ministro dell’Interno si è recato in carcere per esprimere solidarietà con il condannato, in spregio ai perfidi giudici, ed invocare la grazia. E’ il potere che insegna ai cittadini la cultura del linciaggio, quella che animava gli eroi del Ku Klux Klan nel dare la caccia all’uomo nero. L’Italia del rancore  ne uscirà inorgoglita ed esaltata. Anche in passato il potere insegnava ai giovani la cultura delle armi: libro e moschetto, fascista perfetto. Ma almeno c’era il libro, adesso ogni riferimento all’istruzione è stato giustamente eliminato: pistole e lupare per chi di odio vuole campare.

Magistrato, giudice della Corte di Cassazione. Eletto senatore nel 1994, ha svolto le funzioni di Segretario della Commissione Difesa nell’arco della XII legislatura, interessandosi anche di affari esteri, in particolare del conflitto nella ex Jugoslavia.

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