Il voto a sinistra/La virtù oltre la sconfitta

01 Mar 2019

Nadia Urbinati Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

Non tutte le sconfitte sono uguali e non sempre sono solo sconfitte. Saper leggere la specificità delle sconfitte elettorali è una scienza e un’ arte. La scienza ce la possono offrire gli istituti di ricerca, l’ arte spetta agli attori politici praticarla – e se ne sono digiuni, una sconfitta è solo una sconfitta. Ecco perché ha senso dire che la virtù politica si mostra soprattutto nella sconfitta.
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Consideriamo per esempio le due recenti sconfitte del centrosinistra nelle elezioni regionali della Sardegna e dell’ Abruzzo.
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Alla cui base vi sono certamente fattori nazionali: il declino dell’appealing del centrosinistra e il plebiscito dell’ audience di destra, ma in realtà di Salvini e del modulo retorico che ripete a Nord come a Sud: paura dell’ invasione, muscoli flessi contro l’ immigrazione. Le vittorie regionali della destra riflettono un trend nazionale. Diverso è il caso delle sconfitte.
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L’ottima prestazione di Massimo Zedda emerge se la si situa all’interno della mediocre gestione del governo regionale sardo di centrosinistra. La figura di questo giovane sindaco è interessante, lontana dallo stile della politica personalistico e plebiscitario. La storia politica di Zedda è un microcosmo della storia della sinistra dopo lo sfarinamento del Pci e le varie metamorfosi dal Pds a Sinistra Democratica fino a Sinistra Ecologia e Libertà fondata da Nichi Vendola. Nel 2011, quando era consigliere regionale, vinse le primarie del centrosinistra battendo per la candidatura a sindaco di Cagliari un nome dell’ establishment, Antonello Cabras. E divenne sindaco.
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Storia simile in Abruzzo, dove la lista guidata da Giovanni Legnini ha perso ma ha interrotto la frana del Pd. Le liste a sostegno della candidatura Legnini sono state inclusive (parità di donne e uomini) e attente alle esigenze delle comunità “periferiche”, che vivono lontano dalle aree urbane e sono spesso penalizzate in termine di accesso a servizi come sanità, trasporti e scuola.
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In Sardegna come in Abruzzo, il Pd non è rimasto nel solco tracciato dalle pratiche regionali e nazionali – ha abbandonato il leaderismo e praticato l’arte della discontinuità. Per esempio facendosi magnete d’attrazione di associazioni e liste civiche. In Sardegna, Zedda ha trainato una miriade di liste, senza i “big” nazionali in visita. Semmai è stato il candidato di destra ad aver ampiamente usato Salvini, gettando il partito autonomista dell’ antifascista e liberal-socialista Emilio Lussu nelle braccia della Lega xenofoba e continentalissima.
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Il buon risultato della lista Zedda è venuto dall’abbandono della vocazione maggioritaria, del voler far tutto da soli, senza mediare e allearsi, senza negoziare programmi e poltrone. La strada da percorrere, ci dicono le recenti sconfitte, non è quella del monopartito con la faccia del leader, ma l’ essere polo d’ attrazione per quelle associazioni e forze locali che si sono in questi anni difficili moltiplicate.
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Del partito democratico americano si è pensato di importare il maggioritarismo. Meglio sarebbe ispirarsi a un’altra sua caratteristica, oggi vincente anche oltreoceano: farsi traino di un arcipelago di idee e forze vive e attive nella società. Queste recenti sconfitte regionali ci dicono che l’uscita dalla democrazia dei partiti di massa non è solo leadership plebiscitaria e populista; può anche essere la cooperazione tra cento e mille fiori di vita associata, politica e civile.
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la Repubblica, 28 febbraio 2019

Politologa. Titolare della cattedra di scienze politiche alla Columbia University di New York. Come ricercatrice si occupa del pensiero democratico e liberale contemporaneo e delle teorie della sovranità e della rappresentanza politica. Collabora con i quotidiani L’Unità, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano e con Il Sole 24 Ore; dal 2019 collabora con il Corriere della Sera e con il settimanale Left.

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